GAMBARA, Cesare
, Cesare. - Nacque a Pralboino, presso Brescia, nel 1516, figlio del conte Gianfrancesco e di Corona Martinengo. Nel 1530 circa, quando probabilmente era già dottore in utroque iure, intraprese la carriera ecclesiastica. Nel 1546 fu nominato governatore di Perugia. Il 13 maggio 1548 al G. fu affidata la diocesi di Tortona, in seguito alla rinuncia del prozio, il cardinale Uberto Gambara. Contrariamente agli usi del tempo, il nuovo vescovo stabilì la sua residenza nella diocesi. Nel 1554, prima ancora che il concilio di Trento fissasse la normativa per le visite pastorali, il G. visitò le chiese della città di Tortona, instaurando una prassi del suo governo che fu intensificata dopo il concilio di Trento e il primo sinodo provinciale milanese del 1565.
Il 20 giugno 1560 Pio IV confermò il G. nella carica di vicelegato della Marca a Macerata, designazione effettuata dal legato Cristoforo Madruzzo. In tale veste il G. ottenne l’apertura di un collegio di gesuiti a Macerata. Nel giugno del 1565, tra i primi in Italia, eresse il seminario nelle due sedi di Tortona e Voghera: quest’ultimo ebbe breve durata e già nel 1576 aveva cessato di esistere. Il seminario di Tortona venne invece dotato con una decima sui benefici della diocesi e sui beni di varie chiese soppresse. Non avendo potuto ottenere la presenza dei gesuiti, il corpo insegnante venne costituito da membri della Congregazione dei preti riformati di Tortona, da poco fondati da Francesco Corneliasca. Nel 1568 il seminario venne affidato ai chierici regolari somaschi, che avevano assorbito i preti riformati tortonesi. Nei suoi sforzi per rinnovare la diocesi, il G. si scontrò con i membri del clero regolare, gelosi dei propri privilegi. Nel 1589, il cardinale Michele Bonelli, prefetto della congregazione dei Vescovi e Regolari, con una lettera del 18 dicembre, gli riconoscerà ufficialmente le prerogative che il concilio di Trento aveva assegnato agli ordinari diocesani nei confronti dei religiosi; nella pratica tuttavia la sua autorità venne totalmente ignorata. L’8 marzo 1564 furono promulgati decreti per le monache e il G. applicò in modo rigoroso le restrittive disposizioni di Pio V relative alla clausura, ricorrendo anche alle maniere forti, tanto che nel 1579 fu tacciato di eccessivo rigore dal cardinale M.A. Maffei.
Se dal punto di vista morale la situazione del clero secolare si presentava accettabile, il vero problema era invece l’ignoranza. Per questo fin dal 1570 il G. prescrisse un livello minimo di istruzione per i sacerdoti con cura d’anime e ordinò di dar vita alle congregazioni, aventi lo scopo di discutere temi pastorali proposti dal vescovo, che Carlo Borromeo aveva introdotto a Milano nel 1565. Il 26 febbr. 1576 il G. emanò un Editto per il culto e modo di conversar nelle chiese, nel quale erano contenute le nonne sul comportamento nei luoghi di culto: non tenervi riunioni profane, non fare strepito, non introdurre cani da caccia e anni, non concludervi negozi e non emettervi sentenze civili o criminali, riservando le chiese alla preghiera. Furono inoltre istituiti Monti di pietà, erette diverse confraternite e stabilito il tribunale dell’Inquisizione. Il IO sett. 1574 fu collocata la prima pietra della nuova cattedrale, che il G. aprì al culto il 2 ott. 1585. Accanto a essa sorse poi il palazzo episcopale.
Il G. fece una breve comparsa alla settima sessione del concilio di Trento, tenutasi a partire dal 15 luglio 1563. Il 26 luglio e il 14 agosto intervenne nella discussione sui matrimoni clandestini, chiedendone una precisa regolamentazione e partecipò poi ai cinque sinodi provinciali 10mb ardi riuniti dopo il concilio. Il G. ebbe frequenti contrasti con Carlo Borromeo, che gli rimproverava le numerose assenze dalla diocesi per ritirarsi nella casa di Pralboino con il pretesto della salute cagionevole. L’arcivescovo di Milano riteneva anche eccessivo il suo attaccamento ai nipoti, che il G. giustificava con il desiderio di evitare loro le cattive occasioni che si incontravano a Tortona e di provvederli di una buona educazione. Le difficoltà col Borromeo indussero il G. a pensare seriamente di rinunciare al governo della diocesi. Nel 1576 il visitatore apostolico Gerolamo Ragazzoni lo giudicava poco atto al governo pastorale e, probabilmente d’accordo con l’arcivescovo di Milano, propose come suo successore il barnabita Alessandro Sauli. Tuttavia il G. seppe valersi dei suoi appoggi presso la Curia romana per preparare la successione al nipote Maffeo Gambara.
Il G. mori a Pralboino, nella casa di famiglia, l’11 ott. 1591.
Fonti e Bibl.: A. Sala, Documenti circa la vita e le gesta di s. Carlo Borromeo, II, Milano 1857, pp. 399 s.; Concilii Tridentini, VI, Actorum, a cura di S. Ehses, Friburgi Brisgoviae 1924, pp. 656, 708; L. Fé, Bresciani al concilio di Trento, Venezia 1882, p. 7; V. Legé, Il seminario di Tortona. Cenni storici, Torrona 1904, pp. 4-6; L. Tacchella, La riforma tridentina nella diocesi di Tortona, Genova 1966, pp. 58-92; Id., C. G. vescovo di Tortona e riformatore 1548-1591, in Iulia Dertona, s. 2, XXIII-XXV (1975-77), pp. 6-12; G. van Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, 111, Monasterii 1923, p. 310; Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), a cura di C. Weber, Roma 1994, pp. 285, 688.