FIERAMOSCA, Cesare
Terzogenito del nobile capuano Raynaldo, è ignota la data di nascita, che però, probabilmente, non si discostava di molto da quella di Guidone, il secondogenito (1479).
Nel 1513 il F. entrò al servizio del duca di Milano, Massimiliano Sforza, allora in guerra con Francesi e Veneziani. Fu posto con i suoi uomini a guardia di Cremona, ma alcuni abitanti si accordarono segretamente con i Veneziani, che poterono così penetrare nella città ed impadronirsene.
Nel 1515 era a Villafranca, nei pressi di Saluzzo, luogotenente di Prospero Colonna. Sembra che proprio il F., incaricato della sorveglianza, lasciasse le porte della città aperte e le mura sguarnite, cosicché un'improvvisa incursione dei Francesi il 15 agosto riuscì agevolmente ad avere ragione degli occupanti. Il Colonna e lo stesso F., catturati e condotti in Francia, riconquistarono la libertà nel marzo 1516. Tornato subito a combattere, in uno scontro con i Francesi, fra Bergamo e Brescia, nello stesso anno, il F. fu nuovamente fatto prigioniero.
Nel 1517 fu convocato dal nuovo re, Carlo d'Asburgo, in Spagna, dove il 17 giugno, forse anche per risarcire tardivamente il fratello Ettore, morto due anni prima, fu nominato mastro di campo dell'esercito spagnolo nel Regno di Sicilia citra farum, in riconoscimento della sua esperienza di cose militari ed in segno di riconoscenza, come è detto nel diploma, per la fedeltà dimostrata verso la casa di Aragona, di cui Carlo raccoglieva l'eredità. La permanenza del F. in Spagna durò sino alla fine del '19: nel marzo del '20 era di ritorno a Napoli, passando per Roma.
A Napoli il F. aveva il compito di scegliere quaranta cavalli delle famose razze del Regno per conto di Carlo e quindi di condurli in Fiandra, con l'accompagnamento di famigli e maniscalco.
Dopo la missione in Fiandra il F. si portò nuovamente in Spagna; dal novembre 1522 all'agosto '23 soggiornò a Valladolid. La sua ascesa alla corte spagnola proseguiva: fra il '22 e il '23 fu creato primo scudiero e quindi, in data imprecisata, consigliere reale. In occasione del solenne ingresso di Carlo in Toledo (27 apr. 1525), il F. fece parte della ristretta cerchia di grandi dignitari che lo accompagnarono e, spada sguainata nelle mani, gli cavalcò al fianco.
Segno ancor più evidente della stima e della fiducia che riponeva nel suo scudiero, Carlo V decise di affidare al F. - che nel frattempo aveva ripreso le armi ed era ritornato nel Cremonese, al comando di una compagnia di sessanta lance (estateautunno 1525) - un importante incarico diplomatico. Stando al Sanuto, nel gennaio del 1526 il F. avrebbe effettuato un'ambasceria presso il re di Francia; tale notizia non trova però altre conferme. È invece largamente nota la missione che il F. svolse presso papa Clemente VII, durante le convulse trattative di pace che precedettero il sacco di Roma: avrebbe dovuto convincere il pontefice a rompere con gli alleati della Lega di Cognac e a concludere un accordo separato con l'imperatore.
Il F. sbarcò a Gaeta il 20 genn. 1527. La sera del 25 giunse a Roma, accompagnato dall'arcivescovo di Capua e dal generale dei minoriti F. Quñones, e si recò subito dal papa nel Belvedere.
Sulla dinamica degli avvenimenti che seguirono lo stesso F. ci ha lasciato un preciso resoconto in una lettera indirizzata a Carlo V (Lanz, I, p. 230). Sappiamo dunque che si cominciò a discutere intorno ad una capitolazione molto sfavorevole per il papa, il quale, pressato dalle circostanze, finì per accoglierla, nonostante il parere negativo del Collegio cardinalizio. Si differì però la ratifica del trattato, onde offrire ai Veneziani la possibilità di aderirvi; frattanto, per otto giorni i contendenti dovevano interrompere le ostilità.
Il F. si assunse personalmente l'onere di consegnare il documento ai comandanti dei due eserciti: il legato A. Trivulzio e il viceré C. de Lannoy. Il suo arrivo sul posto coincise con l'attacco portato dalle truppe pontificie agli Spagnoli; il F. si trovò preso fra due fuochi, con grave pericolo per la sua incolumità, né fu possibile ratificare la pace già conclusa. La situazione sembrava volgere in senso sfavorevole agli Imperiali; il Lannoy era costretto ad indietreggiare, mentre si apriva la campagna contro Napoli di Luigi di Lorena conte di Vaudemont, erede dei diritti angioini, ed era atteso a Roma l'inviato dell'Inghilterra con un congruo aiuto pecuniario. Si pensò allora di moderare sensibilmente le condizioni di pace. Il F., che era rimasto diversi giorni al campo, su richiesta del papa ritornò a Roma, dove, insieme con il Quiñones, stese un nuovo trattato, meno duro del precedente. Dopo vari rinvii, durante i quali il F. tornò al campo, Clemente VII sottoscrisse alfine una capitolazione, con la condizione che, se il Lannoy non l'avesse firmata a sua volta entro otto giorni, sarebbe rimasta priva di effetti. Si scrisse quindi al viceré affinché il F. fosse da lui rimandato il più presto possibile a Roma. Il Lannoy aveva intanto inviato il F. a Napoli per comunicare in gran segreto a H. de Moncada la sua intenzione di attaccare l'esercito pontificio e stabilire la data in cui l'evento si sarebbe verificato. Obiettivo dell'ambasceria del F. era di evitare che il Moncada fosse colto impreparato nel caso di un insuccesso spagnolo, che avrebbe aperto le porte ad un'invasione del Regno da parte dei pontifici. Sopravvenne dunque a Napoli il segretario Serenon con l'ordine di ricondurre a Roma il F.; ma questi era già ripartito. Fu raggiunto nella notte a Capua da un corriere, sicché il giorno seguente si recò in compagnia del Serenon al campo del viceré presso Ceprano. Quindi i due proseguirono per Roma, dove, nella notte fra il 15 e il 16 marzo, venne finalmente firmato un armistizio di otto mesi. Clemente VII era convinto che anche Carlo di Borbone non avrebbe mancato di aderire a quanto i rappresentanti imperiali avevano deciso.
Le trattative fallirono; e il 30 marzo 1527 l'armata imperiale dette inizio alla marcia che si sarebbe conclusa tragicamente con il saccheggio di Roma.
Il sacco di Roma a opera delle soldatesche di Carlo V strappò finalmente Francesco I alla indifferenza con cui, dopo la liberazione dalla prigionia, aveva seguito le cose d'Italia e lo convinse a rinnovare l'alleanza con Enrico VIII, la Repubblica di Firenze, Milano e Venezia. Odet de Foix visconte di Lautrec ebbe l'ordine di procedere alla conquista del Regno di Napoli. L'esercito francese si fece strada dalla parte della Puglia. Gli Spagnoli concentrarono le forze a Barletta e Manfredonia. cui fu posto l'assedio per terra e per mare. La difesa di questa città fu affidata a Guidone Fieramosca, il quale, pur potendo avvalersi di un folto manipolo di soldati, chiese al F. un rinforzo di fanteria. Il F. sopraggiunse con 2000 fanti che dovevano essere distribuiti fra Manfredonia, Barletta e Monte Sant'Angelo (marzo 1528); lasciatane una parte a Manfredonia, ripartì per condurre a destinazione i rimanenti. Ma, trattandosi di soldati lombardi, circondati da pessima fama, nessuna delle città cui si avvicinò volle riceverli. Dopo un lungo girovagare, con gli uomini ormai vicini all'ammutinamento, il F. si ripresentò alle porte di Manfredonia, dove fu accolto solo grazie ai buoni uffici di Guidone. Da Manfredonia, nell'aprile del '28, il F. si portò a Napoli, che il Lautrec aveva cinto d'assedio, sperando di prenderla per fame, mentre sul mare le galere di Filippino Doria intralciavano l'approvvigionamento di grano. Nel tentativo di rompere il blocco, il Moncada armò sei galere, qualche fregata ed un brigantino.
Era con lui anche il F., imbarcato sulla galera "La Gobba". Le navi imperiali, partite da Posillipo il 28 maggio 1528, affrontarono gli avversari nei pressi di Capo d'Orso (Sassari). In questo scontro la galera sulla quale era imbarcato il F. colò a picco e il corpo del F., probabilmente colpito da un'archibugiata, non fu recuperato.
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