DOMINICETI, Cesare
Nacque a Desenzano del Garda (prov. di Brescia) il 12 luglio 1821.
Iniziò gli studi musicali nella cittadina natale e si trasferi poi a Milano, ove studiò composizione privatamente. Esordi nel 1841 poco più che ventenne a Desenzano, ove fece rappresentare l'opera Ibegli usi di città che, dopo essere stata accolta con grande favore, cadde l'anno successivo al teatro La Fenice di Venezia. L'opera successiva, La fiera di Tobos, con cui si ripresentò al pubblico nel 1845, riportò un clamoroso insuccesso al teatro Comunale di Brescia nel marzo dello stesso anno.
Deluso profondamente dal fallimento del suo secondo lavoro teatrale, abbandonò le scene per un lungo periodo. Solo nel 1853 mise in scena a Milano, ai Filodrammatici, l'opera Due mogli in una, che ottenne un discreto successo di pubblico e di critica; incoraggiato, scrisse l'opera La maschera, che allestita al teatro alla Scala di Milano nel 1854, ottenne solo un parziale successo. Successivamente, forse per le delusioni subite. parti per l'America del Sud come maestro concertatore di una compagnia di canto ma, abbandonato dall'impresario in Bolivia, fu costretto a lavorare in una miniera di stagno, il che gli consenti di accumulare una discreta fortuna e di far così ritorno in Italia.
Stabilitosi a Milano, riprese la sua attività di compositore e nel 1873, molto probabilmente autofinanziandosi, fece rappresentare al teatro Dal Verme l'opera Morovico. Anche questa volta, però, il successo non arrise al compositore lombardo: l'opera venne infatti giudicata stilisticamente antiquata e non riusci ad ottenere più di sei repliche. D'altronde, come rilevato dai critici e dai compositori contemporanei, lo stile delle sue opere appariva ormai irrimediabilmente invecchiato, legato com'era all'epoca e agli stilemi artistici della sua trascorsa giovinezza (cfr. Enc. d. spett. e New Grove); inoltre i suoi lavori, anche se di buona fattura, non potevano competere con i capolavori di Verdi, divenuto l'assoluto dominatore del teatro musicale europeo e di quello milanese in particolare. Cosi, se A. Mazzuccato, eminente critico e direttore d'orchestra, aveva più volte e senza riserve lodato a suo tempo l'opera giovanile Due mogli in una, sulle opere del secondo periodo aveva manifestato sempre forti riserve. Tuttavia, una certa fantasia di ispirazione e l'ottima tecnica fecero riscuotere un considerevole successo all'opera Illago delle fate, rappresentata al Carcano di Milano nel 1878: sorta di grand-opera tardoromantica con evidenti riferimenti alla mitologia nordica, questo lavoro del D. riusci. almeno per un certo periodo, ad assicurarsi un posto stabile nelle stagioni operisfiche dei più rinomati teatri dell'Italia settentrionale.
Definito dramma fantastico, Il lago delle fate è strutturato secondo schemi tradizionali ed è suddiviso in vari numeri staccati; in esso il D. fa uso di un'armonia moderatamente cromatica e introduce una interessante scena di pazzia che segue tuttavia i già collaudati moduli di analoghe situazioni presenti in più di un melodramma ottocentesco.
Se si eccettuano le numerose romanze da camera scritte durante l'arco intero della sua carriera e che riscossero vivissimi consensi da parte della critica milanese, la produzione teatrale del D., nonostante la buona fattura ed un certo estro, non riusci mai ad imporsi nel panorama musicale italiano. Riconosciuto armonista poderoso e ricco di fantasia (Enc. d. spett.), fuconsiderato anche un brillante orchestratore (il che dette origine alla diceria, peraltro infondata, che egli avesse aiutato l'amico Arrigo Boito nell'orchestrazione del Mefistofele; cfr. P. Nardi, p. 401).
Più significativa fu l'attività didattica del D.: egli fu insegnante di composizione al conservatorio di Milano dal 1881 al 1888 e si guadagnò la stima dei colleghi e la considerazione degli ambienti musicali milanesi, in particolare quella di A. Bazzini, allora direttore del conservatorio meneghino (Enc. d. spett.).
Il D. attese inoltre a numerose trascrizioni di lavori operistici e strumentali di autori italiani e stranieri e compose i recitativi per numerose opere: suoi sono i recitativi e alcune scene dell'opera Idragoni di Villars del francese Aimé Maillart, rappresentata a Milano nel 1856. Di una sua opera, Iram, su libretto di A. Boito, si è a lungo favoleggiato: è infatti noto che il D. non compose mai quest'opera, anche se sul Catalogo Ricordi del 1875 la partitura autografa risulta presente negli archivi della casa editrice milanese.
Il D. morì a Sesto San Giovanni (prov. di Milano) il 20 giugno 1888.
Opere (tutte rappresentate a Milano, salvo diversa indicazione): Ibegli usi di città, libretto di G. Anelli, Desenzano, teatro Sociale, 1841, Due mogli in una, libretto di C. Bassi, teatro dei Filodrammatici, 30 giugno 1853; La maschera, libretto di F. Guidi, teatro alla Scala, 2 marzo 1854; Morovico, libretto di anonimo, teatro Dal Verme, 4 dic. 1873; Il lago delle fate, libretto di A. Zanardini, teatro Carcano, 18 maggio 1878; L'ereditiera, teatro dal Verme, 14 febbr. 1881. Compose inoltre pezzi per pianoforte solo e numerose romanze per voce e pianoforte.
Musicista colto e tecnicamente agguerrito, il D. rappresenta l'espressione tipica dell'operismo minore italiano dell'Ottocento. Nella sua produzione teatrale, rivolta sia all'opera seria sia a quella comica, tentò sempre di assecondare i gusti del pubblico riuscendovi solo in parte: incapace di rinnovare il suo linguaggio, ancorato a stilemi superati, risenti del lungo esilio boliviano che lo tenne lontano dalle correnti innovative che dalla seconda metà dell'Ottocento portarono ad una sensibile evoluzione, formale e tecnica, del teatro musicale romantico. Ritornato in Italia tentò di reinserirsi nella compagine operistica, ma la sua sensibilità e i suoi ideali estetici si rivelarono ben presto inadeguati a soddisfare il mutato gusto del pubblico italiano ormai definitivamente dominato dal modello di melodramma romantico imposto da Giuseppe Verdi.
Eccellente melodista, il D. fu spesso lodato come brillante orchestratore e raffinato armonista. Va riconosciuta nelle sue partiture una raffinata scrittura timbrica, anche se la sua ricerca armonica e accordale non si discosta mai eccessivamente da un cromatismo più che moderato che mai riesce ad ampliare i confini imposti da un rigido uso della struttura tonale.
Completamente estraneo all'esperienza cromatica wagneriana, il D. si limita spesso all'uso di semplici accordi alterati o di collaudate transizioni armoniche che coloriscono la frase musicale senza peraltro mettere mai in discussione l'assoluta egemonia della scala diatonica.
Bibl.: P. Nardi, Vita di A. Boito, Milano 1942, p. 401; U. Manferrari, Diz. univ. Delle opere melodrammatiche I, Firenze 1954, p. 320; Baker's Biogr. Dict. of musicians, New York 1958, p. 389; C. Gatti, Il teatro alla Scala nella storia e nell'arte, Milano 1964, I, p. 129; II, p. 49; A. Caselli, Catal. delle opere liriche pubblicate in Italia, Firenze 1969, pp. 142 ss.; Encicl. della musica Ricordi, II, p. 77; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 453; Diz. Ricordi della musica e dei musicisti, p. 405; Encicl. dello spett., IV, col. 836; La Musica, Diz., I, p. 545; The New Grove Dict. of music and musicians, V, p. 538.