DE NOBILI (Nobili), Cesare
Nacque a Lucca, probabilmente intorno al 1485, da Francesco e da Maria Caterina di Andrea di Poggio. Apparteneva alla famiglia dei Nobili di Dallo, di origine feudale, e divenuta poi di aristocrazia cittadina, una "famiglia che, se non si allineava tra le prime, era però nel nucleo di quelle più stabilmente e durevolmente inserite nei collegi e nelle cariche" (Berengo, Nobili e mercanti..., p. 108). Abbracciò, all'inizio, la carriera ecclesiastica, ma ben presto se ne staccò per dedicarsi agli studi giuridici e, nel 1503, si laureò in utroque a Bologna. Subito dopo entrò al servizio della Repubblica di Lucca. Questa attribuiva un'enorme, vitale importanza alla propria diplomazia: solo attraverso una incessante attività diplomatica poteva sperare di sopravvivere tra Stati tanto più forti di lei e in costante lotta tra loro; solo sapendosi abilmente inserire nelle discordie tra le varie potenze, e riuscendo a trattare con ognuna di esse, poteva sperare di salvaguardare la propria indipendenza. Il D. fu impegnato in questa fittissima rete di relazioni diplomatiche per quasi trent'anni, e innumerevoli furono le sue missioni al servizio di Lucca.
Secondo il Beverini, una prima missione, forse di carattere informale, fu compiuta dal D. nel 1504. I Lucchesi erano impegnati a sostenere Pisa contro Firenze e sollecitavano anche l'aiuto di Genova e Siena, ma, costantemente, cercavano di tener nascoste queste loro trame ai Fiorentini. Essendo state queste svelate, Lucca venne a trovarsi in una situazione difficile, e il D. fu inviato a Venezia per chiedere aiuto e "quid consilii capiendum. esset" (Beverini, Annalium..., p. 45). Il 30 genn. 1505 fu poi eletto oratore per assistere alle esequie dei duca di Ferrara Ercole I d'Este e per congratularsi coi nuovo duca Alfonso I.
Nel luglio 1507 il D. fu inviato a Firenze, e nel maggio 1510 di nuovo a Ferrara.
Nel 1510 fu ambasciatore straordinario in Francia insieme con Niccolò Cenami. In quell'anno Giulio II aveva cercato di coinvolgere Lucca nel tentativo di togliere Genova alla Francia. La Repubblica, in considerazione del rischio dell'impresa e dell'età avanzata del pontefice, aveva rifiutato le sue proposte, ma i contatti col papa avevano insospettito Luigi XII re di Francia. Alla fine del 1510 fu cosi deciso l'invio dei due ambasciatori per chiedere la riconferma della sua protezione su Lucca offrendogli 30-000 tornesi. Il 27 febb. 1511, a Blois, i due inviati sottoscrissero con Jean de Ganage, consigliere del re, un trattato che rinnovava tutti i precedenti accordi che stabilivano la protezione del re di Francia su Lucca, e, in particolare, quello stipulato l'anno precedente a Milano tra il cardinal Georges d'Amboise e l'oratore lucchese Giovanni Marco de Medici.
Tornato in Italia, nel luglio dello stesso anno, il D. andò poi a Firenze e, insieme a Bartolomeo Cenami, a Roma.
Il 12 luglio 1513, insieme a N. Tegrimi, era stato eletto oratore presso Leone X nell'ambito della controversia con Firenze per il possesso di Pietrasanta, ma il 15 luglio venne poi dispensato dall'incarico.
Nell'ottobre 1515 il D. fu incaricato di una nuova missione in Francia. Leone X stava cercando l'alleanza del nuovo re Francesco I, e si temette molto per una proposta del pontefice circa lo scambio di Parma e Piacenza con Lucca e Siena. Sebbene tale tentativo andasse a vuoto, i Lucchesi si allarmarono e il D. fu incaricato di chiedere al nuovo re la conferma dei precedenti trattati. La sua missione durò fino al gennaio 1516, ma non diede i frutti sperati perché "le pratiche degli agenti pontifici ne frastornarono l'adempimento" (Tommasi, Sommario..., p. 373); inutilmente il D. aveva offerto 24.000 aurei al re.
Nell'aprile 1516 il D. fu impegnato in una missione a Siena. L'alleanza con questa città contro il prepotere di Firenze era un punto fermo della politica lucchese, indipendentemente da chi detenesse il potere in Siena. Così, se prima c'erano stati buoni rapporti con Borghese Petrucci, dopo che questi fu cacciato dalla città si pensò di inviare il D. "per congratularsi con gli Ufficiali di Balia, perché nella rinnovazione del loro magistrato e nel ritorno in patria dei cittadini fuorusciti non era successa alcuna perturbazione" (Pardi, Notizie..., p. 104). Subito dopo il D. fu impegnato in una missione ben più importante in Francia. Probabilmente già nel maggio era stato deciso il suo invio presso la corte francese. Motivo principale della missione era il timore per un possibile abbandono di Lucca alle mire della politica papale; Francesco I era infatti alleato di Leone X, e si temette che il papa, dopo aver insediato il nipote Lorenzo de' Medici nel Ducato di Urbino (agosto 1516), volesse estendere poi le sue mire su tutta la Toscana. Il D. fu incaricato perciò di chiedere assicurazioni e protezione da parte di Francesco I, cosa che cercò di fare sollecitando, tra l'altro, 10.000 aurei per il re. Il D. rimase in Francia fino al marzo 1517.
Tornato in Italia fu a Firenze, insieme a Martino Buonvisi, nel settembre 1518.
Il 27 giugno 1521 il D. fu eletto conservatore delle Lettere, per il terziere di S. Salvatore insieme a L. Amolfini. Questa nuova magistratura di sei persone doveva vigilare sulle scuole e scoprire i ragazzi più dotati negli studi umanistici per indirizzarli alla carriera diplomatica, evitando che le famiglie li avviassero al commercio, introducendoli al servizio dei vari principi.
Poco dopo il D. fu impegnato in una delle più importanti tra le sue missioni. La guerra tra Francia e Impero, che nuovamente divampava violenta, obbligava Lucca a scegliersi una potente protezione per non venir travolta. Il D., per questo motivo, fu inviato nel luglio 1521 dal neoeletto imperatore Carlo V.
"Molte difficoltà contrapposero gli agenti cesarei, e principalmente il gran cancelliere Gattinara alle istanze dei lucchesi" (Tommasi, p. 379). Si rinfacciavano le passate richieste di protezione alla Francia e, soprattutto, si avanzavano richieste di elevatissime somme di denaro. Il D., che aveva incarico di offrire fino a 10.000 ducati, "lungamente espose le calamità della patria pel commercio scaduto, pel difetto del frumento necessario al consumo, e per i gravi dispendij che richiedevano le necessarie continue difese contro gli attentati dei Fiorentini, in fino, esibì, come fu praticato con Massimiliano, ducati novemila" (ibid., p. 380). Intanto, mentre le trattative ristagnavano, "non mancava chi facesse il pagamento se i Lucchesi titubassero ancora: uno tedesco, spagnolo l'altro, chiedevano Lucca in feudo". "Finalmente, dopo molte parole, le parti si accordarono in ducati quindicimila, pagabili in tre rate, in guiderdone della conferma e Protettorato, le due cose che chiedeva l'oratore. Ma l'Augusto, scarsissimo di danaro, ne imborsò soli dodicimila ottocento senza ritardo, lasciato il rimanente a profitto de mercatanti che anticiparongli la somma" (ibid., p. 380).
Raggiunto l'accordo nel maggio 1522, il D. tornò in Italia. Il diploma, che confermava Lucca come "città imperiale" e le assicurava "salvaguardia e protezione" rinovandole i privilegi dei precedenti imperatori, e in particolare quelli di Massimiliano I, porta la data del 1º maggio, ma, dice il Tommasi, "la carta fu realmente assai più tardi spedita del di i maggio che segna" (ibid., p. 381). Nella sua permanenza alla corte imperiale a Bruxelles, il D. si era convinto che Carlo V era il nuovo padrone dell'Italia, e credeva nella sconfitta certa della Francia, tanto "da consigliare addirittura ai mercanti lucchesi di evitare ulteriori investimenti di capitali nel commercio con la Francia" (Carocci, La politica estera..., p. 77). Il 10 febbr. 1522 Carlo V concesse al D. e ai suoi discendenti il titolo comitale e il privilegio di levare sul partito dell'arma l'aquila imperiale, e il 17 maggio 1522 lo creò suo consigliere aulico.
Nel febbraio 1524 il D. fu a Roma, insieme a Michele Burlamacchi e a Martino Buonvisi nell'ambasciata di obbedienza al nuovo papa Clemente VII; i tre, in quella occasione, dovevano anche cercare di convincere gli Imperiali a moderare le loro pretese circa i contributi richiesti a Lucca, ma il duca di Sessa, rappresentante imperiale a Roma, non si lasciò persuadere. Nell'aprile 1526 fu inviato a Firenze per separare le responsabilità di Lucca dagli attacchi del bandito Miglietto contro Pietrasanta.
Alla fine del 1527 il D., che godeva un grandissimo prestigio come giurista, fu chiamato a far parte di una commissione di dodici cittadini "veteres civitatis leges emendandae, aut novac condendac" (Beverini, pp. 189 s.). Nel marzo 1528 l'aggravarsi della situazione politica e militare intorno ai confini della Repubblica portò alla nomina di un'altra commissione, di cui il D. fu ancora chiamato a far parte, composta da dodici cittadini dotati di larghissimi poteri, e con l'incarico di trattare insieme al gonfaloniere, segretamente e in qualunque termine, con qualsiasi potenza, purché fossero salvaguardate la libertà e la giurisdizione della Repubblica. Tale commissione, però, suscitò vivi malumori in città e contro di essa si levò l'accusa di tirannide.
Una nuova missione diplomatica il D. la svolse alla fine del 1528, o all'inizio del 1529, quando si recò a Genova per congratularsi con Andrea Doria che, da poco passato dalla parte di Carlo V, aveva ottenuto i cosiddetti "patti della libertà di Genova".
Una nuova commissione speciale, di diciotto cittadini, per intavolare eventuali trattative con l'imperatore e i suoi agenti, fu creata, in seguito alle particolari situazioni contingenti, il 12 ott. 1529 e il D. fu chiamato a parteciparvi.
Le tensioni politiche e sociali esplosero in Lucca nel 1531, in quella che fu conosciuta come la rivolta degli straccioni, in realtà dei lavoratori delle seterie che, colpiti da alcuni provvedimenti del governo, si ribellarono all'oligarchia cittadina. Il D., all'inizio, fu con quella parte di nobiltà che era favorevole a un dialogo e a un'intesa coi popolari, ma "si allontanò dai popolari subito dopo i loro primi eccessi" (Carocci, La rivolta degli straccioni, p. 35). Il 20 ott. 1531 entrò a far parte del corpo dei Pacificatori, magistratura straordinaria che invano cercò di riportare la pace sociale in Lucca; nell'aprile 1532, quando i popolari, divisi, furono definitivamente sconfitti, il D. era uno dei più decisi fautori dell'Ordine.
Nel febbraio 1533 fu ambasciatore presso Carlo V a Bologna insieme a Matteo Giglio. Si era costituita la lega tra Impero, Venezia e Papato contro la Francia e, con gli altri Stati italiani minori, si volle includervi anche Lucca. I due inviati inutilmente cercarono di opporsi, adducendo la "piccolezza nostra", e il fatto che erano "minimi et sensa alchuna potentia" (Berengo, p. 13).
Il 17 nov. 1534, con Giovanni Buonvisi, Baldassarre Montecatini e Bartolomeo Arnolfini, andò a Roma per portare l'ubbidienza al nuovo papa Paolo III, che in seguito si mostrò amico dei Lucchesi. Trattenne il D. presso di sé e, il 16 genn. 1535, lo nominò senatore di Roma, carica che il D. ricoprì fino alla fine del 1536, o all'inizio del 1537, quando ebbe la carica di presidente della Romagna. Anche Paolo III si servì dell'opera diplomatica del De Nobili. Nel febbr. 1537 volle infatti inviare nunzi straordinari a Carlo V e a Francesco I, per tentare di convincerli alla pace. A Roma si temeva infatti un prossimo attacco generale dei Turchi e si voleva inoltre spianare la strada al concilio, indetto l'anno precedente; anche la politica familiare di Paolo III, che voleva concludere il matrimonio tra Ottavio Farnese e Margherita d'Austria senza che la Francia rompesse con Roma, aveva bisogno della pace. Il D. ricevette le credenziali per recarsi da Francesco I il 15 febbr. 1537. Si mise in viaggio dopo qualche giorno; superate numerose peripezie giunse a Lione il 15 marzo. In quella città si incontrò col cardinale F. de Tournon con cui ebbe un primo scambio di vedute sulla sua missione. Il Tournon, dopo aver ribattuto alle accuse di alleanza con i Turchi mosse ai Francesi, ribadì tutta la diffidenza della Francia nei confronti di questa proposta di pace. Il D. capì subito che c'era poco da sperare per il successo della sua missione. Proseguì quindi per il Nord, dove il re si trovava per soccorrere Thérouanne. Giunse ad Amiens l'11 aprile dove si incontrò col nunzio ordinario Rodolfo Pio di Carpi. Poco dopo, al campo, si incontrò col connestabile Anne de Montmorency al quale espose i desideri del papa: una tregua che permettesse di resistere ai Turchi e di convocare il concilio; parimenti protestò per l'alleanza che si riteneva i Francesi avessero stretto con i Turchi e per una nuova tassa imposta al clero per sovvenzionare la guerra; il Montmorency respinse le accuse di alleanza con i Turchi e specificò che la tassa sul clero era un donativo spontaneo e non un'imposizione; per quanto riguardava la pace, poi, affermò che finché Carlo V avesse tenuto Milano, non si poteva nemmeno parlare di una tregua. Poco dopo il D. si incontrò con Francesco I e il re non fece che ribadire quanto già detto dal Montmorency.
A complicare le cose, poi, alla fine di aprile, giunse la notizia del prossimo matrimonio tra Ottavio Farnese e Margherita d'Austria. Il nunzio Pio di Carpi scrisse a Roma sottolineando in modo estremamente duro e drammatico le conseguenze negative che tale unione avrebbe avuto nei rapporti con la Francia; il D., dal canto suo, "fait des remarques identiques à celle de Carpi, mais en termes plus mesurés, sur cette union impérialiste" (ActaNunt. Gallicae, I, p. 264).
Quando nel maggio Pio di Carpi tornò a Roma il D. si senti subito molto a disagio all'idea di rimanere unico nunzio in Francia e cercò di essere richiamato al più presto; insisteva soprattutto sul fatto che gli mancava il denaro sufficiente per reggere da solo il peso della rappresentanza diplomatica. Il 28 maggio si recò a Parigi, dove, tra l'altro, dovette chiedere un prestito a un suo fratello, mercante in quella città. A Parigi l'8 o il 9 giugno si incontrò nuovamente con Francesco I e si parlò del concilio. Anche su questo punto il re si mostrò poco accondiscendente col papa: ricordò infatti come non fosse possibile, data la situazione, che un concilio fosse davvero universale come avrebbe dovuto essere; né i luterani né i re di Inghilterra e di Danimarca vi avrebbero infatti partecipato, e comunque neppure lui avrebbe partecipato a un concilio tenuto in Italia finché fosse durata la guerra con Carlo V. A corte il D. tornò il 13 giugno e ricevute, dopo lungo tempo, lettere da Roma, vi ritornò il 14; incontrò nuovamente il re e tentò di convincerlo che il matrimonio tra il Farnese e Margherita d'Asburgo non pregiudicava minimamente la neutralità del papa, cercò anche di minimizzare il fatto dandolo addirittura per non ancora certo. Francesco I non si mostrò affatto convinto e rinnovò la sua protesta. La missione del D. era comunque esaurita, e, giunto il nuovo nunzio F. Ferreri, il 20 giugno 1537 il D. prese congedo dal re e partì. Tornò alla presidenza della Romagna e vi rimase fino alla fine dell'anno.
Al D.3 che aveva lasciato una buona impressione alla corte francese, Paolo III pensò di nuovo nel luglio 1541, affidandogli il compito di accompagnare Orazio Farnese a Parigi. Ma il D. cadde malato e non poté svolgere la missione; in base ai dispacci dell'epoca "on peut penser que Dandino fut chargé de le remplacer" (ibid., p. XXXVII).
Il D. passò poi al servizio del duca di Ferrara Ercole II. Nel 1543 era suo consigliere di giustizia, e nel maggio di quell'anno fu inviato da lui in missione a Roma per una controversia con Bologna in materia di certi argini del Reno. Ancora nell'aprile 1549 il D. era consigliere dei duca.
Morì nel 1558; aveva sposato, forse già prima del 1537, Margherita di Giovanni Franchi.
Fonti e Bibl.: La maggior parte dei documenti sul D. si trova nell'Arch. di Stato di Lucca, per cui cfr. Inventario del R. Arch. di Stato in Lucca, I, a cura di S. Bongi, Lucca 1872, p. 180; Inventario dell'Arch. di Stato in Lucca, VI, Archivi gentilizi, a cura di D. Corsi, Lucca 1961, ad Indicem;G. Carocci, La politica estera di Lucca fra il 1480 e il 1530 studiata nelle relazioni dei suoi ambasciatori, in Notizie degli Archivi di Stato, IX (1949), pp. 77-81. Cfr. inoltre R. Castaldi, Tractatus de Imperatore, Romae 1540, p. CLI; G. Guidiccioni, Opere, a cura di C. Minutoli, I, Firenze 1867, pp. 264 s.; Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, Diaria, I, Friburgi Brisgoviae 1901 ad Indicem; Id., Acta, I, ibid. 1904, ad Indicem;M. Sanuto, Diarii, LVII, Venezia 1902; ad Indicem; Acta Nuntiaturae Gallicae, a cura di J. Lestocquoy, I, Rome-Paris 1961, ad Indicem;III, ibid. 1963, ad Indicem; La nunziatura in Francia di Rodolfo Pio (1535-1537), a cura di P. G . Baroni, Bologna 1962, ad Indicem;G. Guidiccioni, Le lettere, a cura di M. T. Graziosi, Roma 1979, ad Indicem;T. Tomai, Historia di Ravenna, Ravenna 1580, p. 143; G. Fabri, Effemeride sagra et istorica di Ravenna antica, Ravenna 1675, p. 420; O. Raynald, Annales ecclesiastici, XIII, Lucae 1755, pp. 435 s., 439; A. Vendettini, Serie cronol. de senatori di Roma, Roma 1778, p. 108; F. A. Vitali, Storia diplom. de senatori di Roma, Roma 1791, II, p. 504; A. N. Cianelli, Dissertazioni sopra la storia lucchese, in Mem. e doc. per servire all'Istoria della città e Stato di Lucca, II, Lucca 1814, pp. 244, 263; B. Beverini, Annalium ab origine Lucensis urbis, IV, Lucae 1832, pp. 44 s., 47 s., 66 s., 84, 87, 98, 100, 160, 190, 192, 194, 313 s., 365; A. Mazzarosa, Storia di Lucca dall'origine fino a tutto il 1817, II, Lucca 1842, p. 43; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca dall'anno MIV all'anno MDCL, in Arch. stor. ital., s. 1, X (1847), pp. 373, 379-381, 417; A. Frizzi, Mem. per la storia di Ferrara, IV, Ferrara 1848, p. 342; G. Sardi, Dei mecenati lucchesi nel sec. XVI, Lucca 1882, pp. 63 s., L. Pompili Olivieri, IlSenato romano, I, Roma 1886, p. 289; A. Pieper, Zur Entstehungsgeschichte der ständingen Nuntiaturen, Freiburg im Brisgau 1894, ad Indicem;S. Berniccoli, Governi di Ravenna e di Romagna dalla fine del sec. XII alla fine del sec. XIX, Ravenna 1898, p. 63; G. Pardi, Notizie sulle relazioni tra Lucca e Siena, in Bull. senese di storia patria, VIII (1901), p. 104; L. Staffetti, La politica di papa Paolo III e l'Italia, in Arch. stor. ital., s. 5, XXIII (1904), pp. 71 s.; P. Barsanti, Ilpubblico insegnamento in Lucca dal sec. XIV alla fine del sec. XVIII, Lucca 1905, p. 72; G. Sforza, Ricordi e biografie lucchesi, Lucca 1918, pp.4 s.; M. Rosi, Cenni sulla politica lucchese durante l'assedio di Firenze, in Miscell. lucchese di studi storici e lett. in memoria di S. Bongi, Lucca 1931, pp. 218 s.; S. Paoli Puccetti, La congiura e la sediz. tumultuosa degli straccioni, Pescia 1942, p. 14; G. Carocci, La rivolta degli straccioni in Lucca, in Riv. stor. ital., LXIII (1951), 1, pp. 28 s., 34 s., 54; L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1959, ad Indicem;M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, ad Indicem;H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes jusqu'en 1648, p. 100; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, IV, p. 837.