DALBONO, Cesare
Nacque a Roma nel 1812, da Paolo ed Adelaide Lucangeli; era fratello di Carlo Tito.
Trasferitasi, alcuni anni più tardi, la sua famiglia. a Napoli, dove il padre ricevette un'ottima accoglienza alla corte dei Borboni e ricoprì importanti cariche pubbliche, il D. seguì le lezioni del purista Basilio Puoti, che esercitò una profonda influenza su di lui. Giovanissimo iniziò un'intensa attività letteraria, collaborando alla rivista Il Progresso edita dal Ricciardi, e pubblicando discorsi e conimemorazioni, Sopra un bassorilievo di Tito Angelini (Napoli 1831), Discorso pronunziato nei funerali di Vincenzo Bellini nella chiesa di S. Pietro a Maiella il 2 dicembre 1835 (in C. Dalbono, Scritti vari, pp. 3-11), rivelando doti di scrittore fine ed elegante.
Nel 1838 fu chiamato in qualità di segretario al gabinetto. particolare di Ferdinando II, il quale lo condusse con sé in quasi tutti i suoi viaggi. Il D. conservò tuttavia l'amicizia con i letterati e gli uomini di cultura che più tardi parteciperanno attivamente ai moti del 1848. Alla corte di Napoli svolse un'importante azione culturale, presentando al sovrano illustri studiosi come Carlo Troya, per il quale ottenne la pubblicazione gratuita nella Stamperia reale della sua Storia, d'Italia nel Medio Evo. Il D. possedeva una buona cultura storica che utilizzò nell'opera il Quadro storico delle Due Sicilie (Napoli 1838), adottato come testodi storia nelle scuole del'regno borbonico, ed arricchito di aggiunte e modifiche nelle successive edizioni.
Nel descrivere i principali avvenimenti che caratterizzarono la storia del Regno delle Due Sicilie, il D., pur mostrando i limiti di una narrazione storica condotta a volte sulla base della tradizione - alla quale ricorre per ricostruire il periodo delle origini, in mancanza di documenti e testimonianze sicure - esprime giudizi non rigidamente unilaterali, e riconosce, ad esempio, ricordando la Repubblica napoletana del 1799, la grandezza e i meriti di uomini come il Cirillo, il, Pagano, il Pignatelli, il Caracciolo, mentre deplora la stolta politica del Direttorio, il quale aveva inviato a Napoli commissari politici tanto avidi e rapaci da meritare il biasimo dello stesso Championnet. Anche l'esperienza murattiana è analizzata dal D. con uno spirito libero da pregiudizi e pronto ad affermare le significative opere riformatrici nella legislazione e pubblica istruzione intraprese dal sovrano francese 'nel Regno di Napoli.
Il D. collaborò, insieme con altri letterati, alla stesura dell'opera Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze, 2 voll., pubblicata a Napoli nel 1845, in occasione del, settimo congresso degli scienziati, che si era svolto nella città in quell'anno.
Dopo, i moti del 1848, durante il regime costituzionale concesso da Ferdinando, II, ottenne dal sovrano di essere trasferito al ministero della Pubblica Istruzione, dove aveva già prestato servizio prima di essere chiamato alla segreteria di corte. Dal ministero venne allontanato nel 1849, quando Ferdinando II liquidò definitivamente le istituzioni liberali nel mutato clima politico che vide il trionfo della Restaurazione. Ritiratosi dalla vita pubblica, il D. si dedicò, negli anni successivi, ai suoi prediletti studi e ai diversi interessi culturali verso i quali lo conduceva un ingegno vivace ed acuto, ma alieno dal ricercare una maggiore fama e notorietà con la diffusione di scritti non destinati alla pubblicazione e conosciuti solamente nella ristretta cerchia degli amici, tra i quali contava il Settembrini, il Dall'Ongaro ed altri letterati.
Con la fine del regno borbonico e l'annessione dell'Italia meridionale al Piemonte, nel 1860, quando fu sciolto il ministero della Pubblica Istruzione - dove il D. era stato richiamato, nello stesso anno, con un grado più elevato di quello occupato precedentemente -, egli fu noniffiato, direttore della Accademia di belle arti a Napoli, carica che ricoprì fino al 1878. Sotto la sua direzione, l'Accademia accolse come insegnanti gli artisti più validi del tempo, e in quel periodo uscirono dall'istituto i migliori rappresentanti della moderna scuola pittorica napoletana. Il D. era solito, inoltre, svolgere all'Accademia un corso di conferenze su argomenti storici e geografici, che erano seguite con interesse non solo dagli alunni dell'istituto, ma anche da un pubblico più vasto, attirato dalla cultura e dalla notevole capacità discorsiva dell'oratore, il quale non di rado inseriva nella erudita illustrazione delle sue estese nozioni scientifiche, argute riflessioni e motti scherzosi.
Nel 1868 il D. pubblicò a Napoli la traduzione dell'Alcibiade diPlatone, le cui opere in quel periodo erano note al pubblico italiano solamente in un'antica versione del Cinquecento o nelle traduzioni francesi; tuttavia a causa della limitata diffusione del volume (ne furono stampati circa sessantacinque esemplari), il pregevole e meritorio lavoro del D. non ricevette il riconoscimento che meritava.
Il De Gubernatis afferma che il D. aveva tradotto anche Luciano, ma dopo aver veduto la traduzione compiuta dal Settembrini, avrebbe distrutto la sua già pubblicata, conservandone solo due copie, per sé e per l'amico. D'altra parte il D., come confessò in una lettera diretta ad A. Tari nel 1875, non sentiva la necessità di un pubblico che l'applaudisse, ed irrideva la brama di successo di tanti scrittori suoi contemporanei, preferendo "leggere, studiare, e non domandare applausi, e guardare la tempesta dal lido!" con calma e con il tempo a propria disposizione, prerogative "che non hanno tutti coloro che vogliono far rumore e che stanno sempre nelle ferrovie e pei vapori".
Socio di varie accademie letterarie e scientifiche di Napoli, il D. frequentava assiduamente le adunanze, intrattenendo spesso gli accademici con dotte dissertazioni. Il 13 luglio 1878 lesse nell'Accademia Pontaniana lo scritto programmatico Del movimento scientifico in Napeli nell'ultimo secolo 1750-1850, nel quale, dopo, aver notato come più facilmente si redigono le storie dei movimenti artistici e letterari, trascurando il progresso scientifico, dichiarò di volere colmare tale lacuna, scrivendo una storia dei pensiero scientifico, limitata allo sviluppo delle scienze naturali a Napoli dalla metà del sec. XVIII fino al 1850; non ci risulta tuttavia che questa opera, di cui il D. espose i programmi d'indagine, sia mai stata condotta a termine. Il D. contribuì invece alla divulgazione in Italia dellateoria darwiniana, pubblicando a Napoli nel 1880 la traduzione dell'opera di E. Ferrière, Il Darwinismo. Nel decennio 1872-1882 infatti la nuova dottrina fu diffusa in Italia attraverso le edizioni di tutte le opere darwiniane, e divenne oggetto di discussione da parte di scienziati e uomini di cultura.
Il 3 giugno 1881 il D., nel presentare all'Accademia reale di Napoli la traduzione, rimasta inedita, del Neveu de Rameau, lesse un'ampia Memoria su Dionigi Diderot, da lui considerato come il maggior "precursore" del materialismo e dell'evoluzionismo, che ormai dominavano anche la cultura italiana. "In effetti - nota il Landucci - tutta la "memoria" è condotta sotto il segno dell'attuafità di Diderot", che si rivela "nostro contemporaneo", a parere del D., soprattutto per il suo interesse lungimirante attorno "a quelle arti le quali riguardate allora con tanto disprezzo, costituiscono oggi quella terribile potenza tutta moderna che qualche volta c'impaurisce e che si chiama l'industria".
L'Agresti afferma che il D. aveva iniziato, nell'ultirno periodo della sua vita, un saggio storico dal titolo Elisabetta Farnese, rimasto incompiuto per la morte dell'autore, il quale aveva inserito nella parte iniziale dell'opera ampie digressioni sulla varietà delle forme in cui si costituirono le signorie in Italia nella seconda metà del sec. XIII, e sul potere temporale dei papi che, nel Medioevo, si era affermato con caratteristiche feudali. La narrazione proseguiva con la storia della famiglia Farnese, della quale il D. ricordava i maggiori esponenti.
Il D. morì a Napoli il 29 maggio 1889.
Le sue prose principali - che confermano per la loro sobrietà efficace l'ideale di classica compostezza assorbito dal D. alla scuola del Puoti -, furono raccolte nel volume postumo C. Dalbono, Scritti vari, a cura di F. S. Arabia, Firenze 1891.
Bibl.: A. De Gubernatis. Diz. biogr. degli scrittori contemp., Firenze 1879, p. 338; F. Verdinois, Profili letterari napol., Napoli 1882, pp. 99-106; A. Agresti, Commemorazione del socio defunto C. D., in Atti della Accad. Pontaniana, XXI. (1891), pp. 1-13; F. De Sanctis, La letteratura, ital. nel sec. XIX, a cura di B. Croce, Napoli 1897, pp. 230 s.; L. A. Villari, Un magistrato umanista, Napoli 1917. pp. 123 s.; G. Mazzoni, L'Ottocento, II, Milano 1956, p. 1359; B. Croce, La letter. della nuova Italia, V, Bari 1957, pp. 358 ss.; E. Cione, Napoliromantica, Napoli 1957, ad Indicem; S. C. Landucci, Diderot "philosophe", in Belfagor, XVIII (1963), 3, p. 323.