BORGIA, Cesare
Figlio del cardinale Rodrigo e di Vannozza Catanei, nacque nel 1475, probabilmente nel mese di settembre, maggiore dei figli nati da quell'unione, dei quali ci sono noti Giovanni, Goffredo e Lucrezia. La madre era allora legalmente sposata con Domenico d'Arignano. La relazione tra Rodrigo Borgia e Vannozza dovette terminare negli anni '80: i figli vennero affidati ad Adriana Mila, moglie di un Orsini, presso la quale crebbero in ambiente elegante e nobile. Ciononostante Vannozza, che morì nel 1518, mantenne stretti rapporti con i figli.
Il B. aveva un fratello di età maggiore, Pier Luigi, forse nato dalla relazione del padre con un'altra donna. Pier Luigi era stato inviato in Spagna, terra d'origine dei Borgia, e nel 1485 era stato creato duca di Gandia. Era naturale che Rodrigo, dopo aver ottenuto per il figlio maggiore una brillante posizione in campo civile, destinasse il secondo figlio alla carriera ecclesiastica. Nel 1482 Sisto IV, dietro insistenza del cardinale, nominava il B. protonotario apostolico. Subito dopo questi diventava canonico della cattedrale di Valenza, arcidiacono di Játiva e rettore di Gandia. Nel 1484 Innocenzo VIII gli conferiva altri benefici spagnoli: tesoriere della cattedrale di Cartagena, arcidiacono di Tarragona, canonico di Lérida. Il 12 sett. 1491, poi, diventava vescovo di Pamplona. Rodrigo inoltre volle che il B. ricevesse una formazione culturale adatta alla carriera ecclesiastica.
Nel 1489 il B. fu inviato a studiare a Perugia; nel 1491 si trasferiva a Pisa ove insegnava diritto canonico il famoso Filippo Decio. Durante gli anni di studio il B. visse come un gran principe della Chiesa. Aveva un seguito composto principalmente di Spagnoli; era stato presentato a Lorenzo de' Medici ed era in stretti rapporti con vari membri della sua famiglia, suo collega di studio a Pisa era Giovanni de' Medici, coetaneo del B., ma più avanti nella carriera ecclesiastica, poiché già cardinale. Tuttavia quando il B. venne invitato da Giovanni de' Medici i precettori di questo dubitarono di poter uguagliare il lusso di argenti e tappezzerie che avevano trovato nell'abitazione del Borgia. Proprio a Pisa il B. ricevette la notizia che doveva portare una svolta decisiva nella sua vita; l'11 ag. 1492 Rodrigo Borgia era stato eletto papa, col nome di Alessandro VI.
Appena ricevuta la notizia il B. lasciò subito Pisa, ma non fu presente all'incoronazione del padre. Probabilmente Alessandro VI cercò di evitare, all'inizio del suo pontificato, gli sfavorevoli commenti che la presenza del figlio in abito ecclesiastico avrebbe certamente provocato. Tuttavia il B. non fu dimenticato dal padre: pochi giorni dopo la sua incoronazione, il 31 agosto, Alessandro VI lo nominava arcivescovo di Valenza. Il B. viveva allora a Spoleto e giunse a Roma solo alcuni mesi più tardi, nel marzo 1493. Si stabilì allora con splendore principesco in un palazzo di Trastevere. Abbiamo notizia della sua partecipazione a feste e cacce nella campagna romana. Sin da allora parve evidente la scarsa inclinazione del B. per la vita religiosa, anche perché nel suo abbigliamento i simboli dello stato ecclesiastico erano ridotti al minimo. Ciononostante Alessandro VI continuò a insistere per una sua carriera nella Chiesa e il 20 sett. 1493 lo nominò cardinale, dopo aver decretato in una bolla che il B. era figlio legittimo di Vannozza e di Domenico d'Arignano. Tuttavia con altra bolla, diretta esclusivamente al B., confermava a quest'ultimo di essere suo padre.
Da questo momento il B. cominciò a svolgere un ruolo attivo nella politica vaticana, all'inizio, probabilmente, come assistente del padre, ma divenendo in seguito il più influente consigliere di questo. Già nell'aprile 1494 scriveva al fratello, il duca di Gandia, che nei negoziati per giungere all'alleanza tra Napoli e il papa egli, Cesare, aveva "del principe fins e la fi sempre yo ho entrevengat". Il nome del B. compare spesso nelle fonti quando, in seguito all'accordo tra il papa e Carlo VIII, egli accompagnò il re a Napoli, ufficialmente in veste di legato pontificio, in realtà come ostaggio a garanzia del buon comportamento del papa. Le truppe francesi lasciarono Roma il 28 genn. 1495 e raggiunsero Velletri il giorno seguente. La mattina dopo Carlo VIII seppe che il B. era scomparso. Dopo essersi recato, infatti, nei quartieri assegnatigli, il B. li aveva lasciati travestito da stalliere ed era fuggito in gran fretta. Di fronte all'indignazione del re per la fuga del B., il papa negò di essere a conoscenza del fatto e Carlo VIII, dopo alcune proteste, non prese ulteriori provvedimenti. Il B. si rifugiò nella fortezza di Spoleto, donde nel marzo 1495 raggiunse Roma; e quando il 27 maggio Alessandro VI, per evitare un incontro con Carlo VIII in ritirata da Napoli, lasciò Roma, il B. era al fianco del padre. La corte papale si stabilì prima a Orvieto, poi a Perugia e infine tornò a Roma il 27 giugno, quando ormai Carlo VIII aveva attraversato lo Stato della Chiesa.
Durante i due anni successivi il B. risiedette in Vaticano presso il padre. In questo periodo il favore del papa inclinava soprattutto verso il fratello minore del B., Giovanni. Questi, alla morte del fratellastro Pier Luigi, era accorso in Spagna per succedergli nel titolo di duca di Gandia. Alessandro VI lo richiamò in Italia per affidargli la campagna contro gli Orsini, il cui appoggio alla spedizione francese negli anni 1494-95 aveva suscitato le sue ire. Il duca di Gandia arrivò a Roma il 10 ag. 1496 e ottenne il comando delle truppe pontificie col titolo di gonfaloniere della Chiesa. La campagna contro gli Orsini si protrasse per tutto l'inverno 1496-97 e, dopo alcuni successi iniziali, si concluse con un fallimento. Ciononostante Alessandro VI continuò a favorire il figlio Giovanni e s'adoperò per farlo stabilire in Italia. Col consenso dei cardinali il duca di Gandia fu investito del ducato di Benevento, di Terranova e di Pontecorvo, feudi della Chiesa nel Regno napoletano, col diritto di trasmetterli ai suoi eredi maschi. Ma il 16 giugno il corpo del Gandia veniva ripescato nel Tevere. Era stato visto l'ultima volta due giorni prima a un banchetto nella casa della madre Vannozza, dalla quale era uscito insieme con il fratello Cesare.
Il B. è stato spesso ritenuto responsabile dell'assassinio del fratello. Certamente la morte di questo favoriva il B., sul quale ora necessariamente doveva cadere la scelta del pontefice per fondare la dinastia dei Borgia. Inoltre abbiamo notizia della gelosia del B. nei riguardi del fratello, per la preferenza dimostrata dal padre verso di lui e per il suo stato principesco. Sappiamo anche che i due fratelli si contendevano i favori di una donna. Né il carattere del B. consente di escludere la possibilità di un fratricidio. Tuttavia c'erano altri - come gli Orsini e gli Sforza - che anche avevano ragioni valide per desiderare la morte di Giovanni. Né possono essere esclusi motivi personali, come la vendetta di un marito tradito. E inoltre gioca a favore dell'innocenza del B. il fatto che il suo nome non fu fatto nelle voci popolari che circolarono all'indomani del crimine e che indicavano invece altre persone come autrici dello stesso; i primi sospetti su di lui, infatti, sorsero otto mesi dopo l'accaduto. Né ha riscontro nei fatti l'idea che il papa, subito dopo la morte del duca di Gandia, dimostrò freddezza nei riguardi di Cesare. Allo stato attuale delle nostre conoscenze - ed è poco probabile che queste possano migliorare è impossibile giungere a una conclusione definitiva.
Prima dell'assassinio del duca di Gandia, il B. era stato incaricato di rappresentare il papa, quale suo legato, all'incoronazione del re Federico a Napoli. Anche se, a quanto pare, Alessandro VI esitava a separarsi dal B. subito dopo la morte dell'altro figlio, tuttavia la missione fu portata a termine per le insistenze di Federico. Il B. lasciò Roma il 20 luglio 1497 accompagnato da un grosso seguito; le sue spese, pagate dal re di Napoli, furono molto alte e costituirono un grave peso per il suo ospite. Nella cerimonia dell'incoronazione, avvenuta il 10 ag. 1497, il B. svolse le sue funzioni ufficiali con dignità e rigida osservanza delle regole del cerimoniale, raggiungendo con il re accordi in favore della famiglia Borgia, tra cui quello relativo alla conservazione del ducato di Benevento da parte del figlio del Gandia. A Napoli, il B. si distinse per la sua vita dissoluta, contraendo anche, a quanto pare, la sifilide.
All'inizio di settembre il B. era di nuovo a Roma e dette un fastoso ricevimento cui parteciparono tutti i cardinali. Era ormai il personaggio più importante di Roma dopo il papa. Cominciarono allora a circolare voci secondo cui egli stava per abbandonare la veste cardinalizia e che si sarebbe sposato. Fu visto andare a cavallo a Ostia in abiti secolari e si notò che la sua partecipazione alle cerimonie religiose si faceva sempre più rara. Possediamo ancora una spada finemente lavorata fatta per il B. quando era cardinale. Una delle incisioni rappresenta Cesare che passa il Rubicone e un'altra un suo trionfo con l'iscrizione "Cum numine Cesaris omen": sebbene in età umanistica fosse quasi inevitabile il gioco sul nome di Cesare, tuttavia l'enfasi del riferimento è indicativa degli effettivi desideri del Borgia.
Egli però non volle abbandonare la posizione e le rendite garantite dalla condizione di cardinale senza esser sicuro di ottenere un'analoga situazione secolare. L'attenzione dei Borgia si rivolse allora al Regno di Napoli; ma re Federico, ben disposto a togliere i feudi al giovane duca di Gandia per consegnarli al B., non lo era altrettanto a dare sua figlia Carlotta al "figlio di un papa che era un cardinale", specialmente per l'opposizione della stessa Carlotta. Non riuscendo con il re di Napoli - e si è generalmente d'accordo nel ritenere che in quelle trattative il papa seguì i desideri del figlio - i Borgia si rivolsero al re di Francia. Questa mossa fu facilitata dalla conclusione del trattato di pace tra Luigi XII e Ferdinando d'Aragona, così che un avvicinamento alla Francia non era più incompatibile con gli stretti rapporti con la corona spagnola. Alessandro VI era sempre ben consapevole di quanto doveva all'appoggio della Spagna. Luigi XII, nel contempo, era desideroso di stabilire stretti legami con Alessandro VI perché aveva bisogno del permesso del papa per ottenere il divorzio dalla moglie e sposare la vedova di Carlo VIII, Anna di Bretagna.
Risultato di questi negoziati fu un trattato segreto tra Alessandro VI e Luigi XII. In virtù di esso il papa si impegnava a dare al re la dispensa necessaria per il matrimonio, mentre il B. avrebbe ottenuto inFrancia le contee di Valence e Diois e il castello di Issoudun quali feudi da parte del re; Valence sarebbe stata elevata a ducato così che il B. avrebbe assunto il titolo di duca del Valentinois. Al B. era poi garantita una rendita di 20.000 franchi in oro dai feudi francesi e un'entrata di altri 20.000 franchi in oro come sussidio della corona di Francia. Cento soldati pagati da Luigi XII sarebbero stati poi al suo comando. Inoltre il re si impegnava a sostenere la domanda di matrimonio del B. presso Carlotta, fermo restando, però, che Carlotta non doveva essere forzata. Infine la nuova posizione sociale del B. avrebbe trovato stabilità con la sua inclusione nel più alto ordine cavalleresco di Francia, quello di S. Michele.
Rassicurato da simili promesse di splendidi inizi per la sua carriera secolare, il B. richiese allora di abbandonare lo stato ecclesiastico. Le ragioni che addusse furono che egli era stato forzato ad entrare nel clero dal padre, sebbene la vita ecclesiastica fosse del tutto estranea alle sue inclinazioni naturali, e che egli era asceso alle più alte cariche della Chiesa in base a un falso fondamento: egli infatti non era figlio di Domenico d'Arignano come era stato dichiarato a suo tempo. Ferdinando d'Aragona, temendo che i Borgia diventassero troppo indipendenti, spinse i cardinali spagnoli ad opporsi alla richiesta di Cesare. Perciò i cardinali non vollero esprimersi sulla questione con un voto in un concistoro, ma rimisero il problema nelle mani di Alessandro VI. Nello stesso giorno, il 17 ag. 1498, il papa dava al B. la dispensa, e questi il 1º ottobre, vestito di seta e velluto, coperto di oro e gioielli e accompagnato da un largo seguito lussuosamente vestito, partì alla volta della Francia.
Viaggiò su galere francesi e arrivò a Marsiglia il 19 ottobre. Di qui raggiunse Avignone ove fu accolto dal cardinale Giuliano Della Rovere, che amministrava quel possedimento pontificio. Gli anziani della città contrassero un prestito per ricevere il B. "nel modo più onorifico". Trattenutosi dieci giorni in Avignone, il B. partì per Valence, la capitale del suo ducato, ove lo accolsero altri costosi festeggiamenti. Ancora splendide accoglienze trovò nella tappa successiva del suo viaggio, Lione. Finalmente il 19 dicembre era a Chinon ove incontrò Luigi XII e la sua corte, facendo la sua entrata "con tanto facto e tanta pompa, che mai imperator non entrò in Roma si magnifico". Lo splendore e il lusso del B. sbalordirono i Francesi; dalle fonti risulta che essi considerarono tanto sfarzo piuttosto volgare. I rapporti con Luigi XII divennero amichevoli. Il B. portò il cappello cardinalizio per il vescovo di Rouen, Giorgio d'Amboise, e il re ricevette la desiderata dispensa, così che il 7 gennaio poteva sposare Anna di Bretagna. Anche Luigi XII rispettò gli accordi: concesse al B. l'ordine di S. Michele e dette inizio a una serie di sondaggi per trovare una moglie di sangue reale per lui. Non riuscendo a vincere la resistenza di Carlotta di Napoli che viveva presso la corte francese, il re riuscì a convincere un'altra dama di sangue reale che viveva alla sua corte, Carlotta d'Albret, a sposare il Borgia. Anche questa e la sua famiglia - il padre Alain d'Albret e il fratello, re di Navarra - opposero all'inizio una forte resistenza; ma alla fine acconsentirono per le insistenze di Luigi XII dal cui appoggio dipendeva l'indipendenza della Navarra. Inoltre Alessandro VI concesse il cappello cardinalizio a un fratello di Carlotta. Il contratto matrimoniale fu molto favorevole a Carlotta. La sua dote fu fornita da Luigi XII e si stabilì che, in caso di morte del B., a Carlotta sarebbe spettata una rendita garantita, la tutela e l'educazione dei figli nati dal matrimonio e l'amministrazione delle proprietà francesi del B. fino alla maggior età dei figli. Una frase del contratto matrimoniale spiega il vivo interesse che il re aveva per il matrimonio del Borgia. Luigi XII, infatti, si aspettava che il B., la sua famiglia, i suoi amici e alleati lo servissero "nell'avvenire, e similmente per la conquista del suo regno di Napoli e del suo ducato di Milano".
Il 10 maggio 1499 il matrimonio tra il B. e Carlotta d'Albret fu celebrato a Blois dal cardinale d'Amboise; la cerimonia fu seguita da splendide feste e tornei. I due sposi vissero insieme per meno di due mesi, prima a Blois poi a Issoudun, e anche questo periodo fu interrotto da un viaggio compiuto dal B. a Lione al seguito di Luigi XII. In luglio il B. lasciava la moglie dopo averle dato pieni poteri per l'amministrazione dei feudi francesi: Carlotta aveva allora diciassette anni ed era incinta; il B. non l'avrebbe più rivista, né avrebbe mai conosciuto la figlia Luisa nata nei primi mesi del 1500. Restò, però, in corrispondenza con la moglie e negli anni successivi insistette più volte, insieme con Alessandro VI, perché ella lo raggiungesse. Carlotta rifiutò sempre, non sembra per ostilità al B.; pare invece che Luigi XII la volesse trattenere in Francia nella speranza di avere un qualche potere su Cesare.
Lasciata Issoudun il B. si trattenne altri due mesi in Francia, a Grenoble e a Lione, al seguito di Luigi XII. Sempre con il re francese e con le sue truppe il B. si trovava quando queste entrarono in Italia. Il 19 settembre erano a Torino e il 6 ottobre Luigi XII entrava in Milano conquistata da poche settimane. Il B., insieme con Ercole d'Este, galoppava subito dopo il re e i cardinali.
Sin da quando si trovava in Francia il B. era denominato "Cesare Borgia di Francia, Duca del Valentinois, Conte di Diois, Signore di Issoudun, capitano di cento lance delle ordinanze del Re". Tali titoli sembrano rispecchiare esattamente la sua posizione. Egli era un uomo del re di Francia. Basandosi sull'appoggio francese sperava di realizzare la sua ambizione: ottenere un dominio in Italia e fondare la dinastia dei Borgia. Ma la dipendenza dal re francese limitava la sua libertà d'azione. In primo luogo, infatti, egli era tenuto a mettersi al servizio del re ogni qual volta questi ne avesse avuto bisogno per le imprese militari in Italia. E come vedremo varie volte egli fu costretto a interrompere le proprie azioni per correre al richiamo di Luigi XII. Inoltre al B. erano precluse le zone che il re considerava rientranti nella propria sfera di interesse: il che escludeva Milano e il suo territorio dalle ambizioni del Borgia. Infine era costretto ad agire con molta cautela nelle questioni in cui fossero coinvolti gli interessi di Venezia, alleata della Francia; egualmente incontrò l'opposizione di Luigi XII quando mosse contro Firenze e Siena che godevano della protezione del re. In tale situazione il B. fu costretto a ricercare un dominio nell'ambito dello Stato della Chiesa. E quelle regioni di tale Stato ove il potere del papa era divenuto solo nominale e che erano in mano a piccoli tiranni - vale a dire la Romagna - divennero inevitabilmente il primo oggetto delle sue ambizioni.
Così nel novembre 1499, con il pieno sostegno di Luigi XII, che lo nominò suo luogotenente, il B. si mosse per le sue conquiste. I primi obiettivi furono Imola e Forlì. Entrambe le città si arresero facilmente; solo i castelli offrirono resistenza, ma il loro assedio non durò a lungo. Il B. apparve dinanzi a Imola il 23 nov. 1499 ed era padrone della città e del castello l'11 dicembre. Forlì cadde nelle sue mani un mese dopo, il 12 genn. 1500. Queste città erano governate da Caterina Sforza per il figlio Ottaviano; la tenace difesa del castello di Forlì suscitò grande ammirazione. Dopo la presa di Forlì il B. dovette interrompere le operazioni perché le sue truppe francesi furono richiamate nel nord Italia da Luigi XII, che ne aveva bisogno contro Ludovico il Moro, il quale aveva riconquistato Milano. Così il ritorno al potere di Ludovico, sebbene di breve durata, arrestò le operazioni del Borgia.
Egli si recò allora a Roma, ove giunse il 26 febbr. 1500, traendo prigioniera Caterina Sforza che fu in un primo momento rinchiusa in Castel Sant'Angelo, e in seguito fu rilasciata per intervento di Luigi XII. Il B. si fermò a Roma fino al 1º ott. 1500: tra i fatti più noti avvenuti in questo periodo è l'assassinio del secondo marito di Lucrezia Borgia, il duca di Bisceglie.
La responsabilità del B. nel crimine è indubbia. Dopo esser scampato a un attentato in piazza S. Pietro, il duca venne strangolato da uno dei servitori e confidenti del B., Michelotto. Il motivo del delitto fu politico. Il duca di Bisceglie era figlio illegittimo di Federico di Napoli e l'alleanza con la Francia, sulla quale il B. si appoggiava, rendeva molto pesante il legame familiare con gli Aragonesi di Napoli. L'uccisione del duca di Bisceglie provocò una completa rottura tra i Borgia e il re di Napoli; diventava così impossibile una deviazione dalla politica filofrancese, deviazione desiderata dal B. ma non del tutto da Alessandro VI. L'assassinio conferì al B. la reputazione di uomo di inusitata crudeltà e immoralità.
La permanenza in Roma nell'estate del 1500 fu utilizzata dal B. - e da suo padre - per rafforzare la propria autorità, per consolidare il governo nelle terre da poco conquistate e per preparare la successiva espansione territoriale. Al suo ritorno a Roma il B. era stato accolto con grande pompa; furono date feste in cui veniva rappresentato il trionfo di Giulio Cesare; il papa lo creò gonfaloniere della Chiesa e gli dette la rosa d'oro. Il potere del B. a Imola e Forli fu legalizzato con la concessione del vicariato su quelle città. Durante il soggiorno romano il B. ricevette la notizia che anche un'altra città romagnola, Cesena, si era arresa alle sue truppe. Le future operazioni militari furono preparate sia mediante negoziati con Venezia, che promise di astenersi dall'interferire nelle attività del B. in Romagna, sia mediante una bolla con la quale il papa accusava i signori di Rimini, Faenza e Pesaro di non osservare i loro doveri verso la Chiesa. Si stabiliva così una base legale per l'azione del B. contro di loro.
All'inizio tale azione sembrò svilupparsi rapidamente e secondo i piani. Il B. lasciò Roma il 1º ott. 1500 e il 28 di quel mese era a Pesaro abbandonata da Giovanni Sforza; il 30 faceva la sua entrata in Rimini. Ma Faenza, ove Astorre Manfredi godeva di vasta popolarità, si difese ostinatamente. Il B. comparve davanti alla città il 17 novembre, ma, fallito un attacco attraverso una breccia nelle mura, abbandonò il campo nei primi mesi di dicembre lasciando davanti a Faenza solo un corpo di spedizione. Il B. passò i quattro mesi successivi a Cesena, la residenza da lui preferita in Romagna, e ad Imola ed incominciò a organizzare l'amministrazione dei suoi territori; alla fine di aprile ritornò al campo posto di fronte a Faenza ove erano arrivati rinforzi francesi. Dopo un violento bombardamento, Faenza, affamata, si arrendeva e riceveva onorevoli condizioni. Una di queste prevedeva che Astorre Manfredi fosse lasciato libero; il B. invece lo tenne presso di sé in seguito lo portò a Roma, lo imprigionò in Castel Sant'Angelo e infine lo fece uccidere. E per il clamore suscitato dall'eroica difesa di Faenza, l'assassinio di Astorre Manfredi rese ancora più tenebrosa la figura del B. agli occhi dei suoi contemporanei.
La caduta di Faenza non pose fine alla seconda campagna del B.; egli marciò contro l'unica città della regione che rappresentasse un effettivo potere, Bologna. Ma Luigi XII non era disposto a lasciar cadere Bologna nelle mani del Borgia. Perciò questi dovette accontentarsi di un trattato in virtù del quale Giovanni Bentivoglio, signore di Bologna, si impegnava a mettergli a disposizione cento soldati e gli cedeva Castel Bolognese. È probabile che il B., conscio dell'interesse francese su Bologna, altro non volesse ottenere, con la sua mossa contro la città, che quella importante fortezza. Se infatti Castel Bolognese, posto tra Imola e Forlì, fosse rimasto nelle mani di un altro signore, i nemici del B. avrebbero potuto facilmente penetrare in Romagna. Ora, invece, il B. era in possesso di un territorio precisamente delimitato. Alessandro VI legalizzò queste nuove conquiste creando il figlio vicario di Pesaro e di Fano e conferendogli il 15 maggio il titolo di duca di Romagna.
Questa campagna ebbe un seguito. Il papa richiese l'aiuto del figlio contro gli Appiani, signori di Piombino, che Alessandro VI accusava di disubbidienza alla Chiesa. Il B. invece di andare direttamente a Piombino, comparve a Campi, situata poche miglia a nord di Firenze. Sebbene Firenze fosse debole e disorganizzata, è improbabile che il B. avesse serie intenzioni di impadronirsi della città, uno dei più fedeli alleati di Luigi XII. Spaventando e umiliando Firenze, egli volle favorire uno dei più valenti condottieri, Vitellozzo Vitelli, il cui fratello Paolo era stato giustiziato dai Fiorentini. Ottenne inoltre l'impegno dei Fiorentini ad assumerlo per un periodo di tre anni come condottiero al soldo annuo di 36.000 ducati. Dopo aver ottenuto questa promessa, ricevette un messaggio di Luigi XII che gli ordinava di lasciare il territorio fiorentino senza arrecare molestie. Proseguì allora il suo cammino e, attraverso San Gimignano e Volterra, giunse di fronte a Piombino il 4 giugno. Ma la città, posta su rocce a picco sul mare, era ben difesa: il B. lasciò le sue truppe e tornò a Roma il 17 giugno.
Per un anno intero, fino al giugno 1502, il B. fu lontano dai suoi possedimenti di Romagna e impedito ad ampliarli. Subito dopo il suo ritorno a Roma, comandanti e truppe francesi apparvero nella città per la campagna diretta alla conquista di Napoli. In virtù dei suoi accordi con Luigi XII il B. fu costretto a parteciparvi in veste di comandante di truppe francesi. La sua azione più notevole fu l'assalto di Capua, seguito da un terribile massacro, da saccheggi e rapine; quindi raggiunse Napoli ove partecipò ai negoziati che dovevano porre fine al governo aragonese; ricevette un'ampia ricompensa finanziaria sia da Luigi XII sia da Ferdinando d'Aragona in riconoscimento dei suoi servizi. Ritornò a Roma il 15 sett. 1501. Le fortune dei Borgia erano allora all'apice. La caduta degli Aragonesi di Napoli aveva privato i Colonna del loro sostegno principale e Alessandro VI ne approfittò per espropriare le loro terre che vennero distribuite tra membri della sua famiglia. Un viaggio di ispezione in queste terre, intrapreso insieme con il padre, fu uno dei primi compiti espletati dal B. al ritorno da Napoli. Nel febbraio e nel marzo 1502 Alessandro VI e il B. fecero un altro viaggio simile, questa volta a Piombino, caduta dopo un lungo assedio. Ma il B. trascorse per lo più a Roma il periodo dal settembre 1501 al giugno 1502. Fu presente al matrimonio della sorella Lucrezia con l'erede degli Este il 30 dic. 1501, matrimonio che era un segno tangibile della potenza politica dei Borgia. La principale occupazione del B. durante l'inverno e la primavera 1501-02 fu l'organizzazione amministrativa del suo ducato di Romagna e la preparazione d'una futura campagna di conquista.
A questo punto sembra opportuno introdurre il discorso sui provvedimenti amministrativi introdotti dal B. in Romagna, anche se alcuni di essi furono presi solo nell'estate 1503. La storiografia ha accentrato la sua attenzione specialmente sul risultato dell'amministrazione del B.; è stato discusso se il suo sistema statale fu diretto a raggiungere una maggiore efficienza e imparzialità di governo. Bisogna dire, in primo luogo, che solo in tre brevi periodi nell'inverno 1500-01, in quello 1501-02 e infine nei mesi immediatamente precedenti la morte di Alessandro VI - il B. fu libero da altri impegni e poté dedicarsi all'organizzazione amministrativa dei suoi Stati. Solo nel primo di questi tre periodi il B. fu sul luogo. Egli procedette in modo certamente non diverso da quello di solito adottato in casi di conquiste territoriali. L'obbedienza dei sudditi fu assicurata con la forza delle armi: truppe al comando di un capitano furono stanziate nelle fortezze delle città. Il B. affidò a un podestà l'amministrazione della giustizia e a un governatore la guida generale degli affari. L'amministrazione ordinaria fu svolta da consigli e comitati composti, secondo l'uso comune, dagli abitanti. Né il B. introdusse sostanziali imiovazioni o cambiamenti nel sistema fiscale ed economico. Tuttavia nella politica amministrativa del B. troviamo due elementi notevoli. Il primo è la sensibile tendenza alla centralizzazione. Egli divise le terre conquistate in vari distretti: quello settentrionale comprendeva Forlì, Faenza e Imola; quello centrale si estendeva lungo la costa, Cesena, Rimini e Pesaro; infine quello meridionale comprendeva Fano, Senigallia, Fossombrone e Pergola (in seguito Urbino formò un altro distretto). A capo di ogni distretto fu posto un commissario speciale, sempre spagnolo: i commissari dipendevano dal governatore. Venne poi istituita una suprema corte di appello (rota), con competenza su tutto lo Stato, composta da un presidente e sette giudici; essa si spostava nelle principali città della Romagna. Il secondo aspetto rilevante dell'amministrazione del B. è costituito dal giusto trattamento dei sudditi. Nei trattati con cui le città si consegnavano nelle sue mani, il B. si impegnava a trattarle "con giustizia e bontà". Un esempio di questa politica è offerto dalla condanna a morte del governatore della Romagna, Ramiro de Lorqua, che era considerato uno dei più stimati ministri del B. (dicembre 1502). Nell'esporre pubblicamente i motivi della condanna, il B. dichiarò la più grande indignazione per le "gravi corrutele, estorsioni e rapine" commesse dal Lorqua e mostrò la più viva sollecitudine per il benessere dei suoi sudditi. Qualunque fosse la vera ragione della caduta in disgrazia del Lorqua - ed essa non è affatto chiara - era una buona propaganda presentare l'esecuzione del Lorqua come decisione presa nell'interesse del popolo della Romagna. Il B. aveva bisogno di popolarità perché troppi dei piccoli signori da lui spodestati - o almeno molti membri delle loro famiglie - erano ancora vivi e aspettavano l'occasione per ritornare al potere. Al B. interessava che i loro tentativi non trovassero appoggio tra i sudditi. E lo stesso fine di prevenire ogni possibilità di ritorno al precedente sistema di signorie locali ebbe la sua politica tesa ad indebolire le autonomie interne del suo Stato. Sulla base delle fonti in nostro possesso è impossibile attribuire al B. una nuova visione dei compiti del principe e delle funzioni dello Stato. È evidente che egli non si faceva illusioni sulla precarietà della sua posizione in Romagna e fece quanto necessario per dare al suo governo un fondamento più saldo. La brevità del suo ducato ci impedisce di formulare un qualsiasi giudizio sull'efficacia dei provvedimenti da lui adottati.
Nell'inverno 1501-02 sembrava che la fortuna dei Borgia non avesse limiti. Le notizie sulle feste tenute a Roma, molte delle quali date dal B., ci fanno ritenere che egli ora pensasse soltanto a divertirsi. Anche se manca un ritratto contemporaneo del B., le fonti ce lo descrivono come un bell'uomo. Negli ultimi anni il suo volto fu sfigurato da pustole prodotte, come si diceva, dalla sifilide. Fisicamente era molto forte. Il suo appetito sessuale era grande, ma il suo comportamento non dovette essere diverso da quello di altri contemporanei. Possediamo scarse notizie su sue amanti, ma sappiamo che ebbe due figlie illegittime. I suoi interessi letterari e artistici erano quelli di un grande signore del Rinascimento, senza che al riguardo mostrasse uno zelo particolare. Ebbe un segretario dalla cultura umanistica e favorì alcuni poeti e letterati minori. Sembra che egli avesse un particolare interesse per l'architettura, specie per quella militare; e proprio per questo aspetto della sua attività Leonardo da Vinci fu in contatto con lui. Nel giugno dell'anno 1502 il B. assunse Leonardo come "architetto e ingegnere generale" e Leonardo esaminò dietro suo ordine lo stato delle strade e delle fortificazioni.
Nell'inverno 1501-02 l'ostilità e l'odio verso i Borgia erano molto diffusi in Italia. Sin dall'inizio del pontificato di Alessandro VI i Borgia erano stati guardati con sospetto e diffidenza perché stranieri; e tali sentimenti si erano saldamente mantenuti perché sia il papa sia il B. preferivano circondarsi di Spagnoli. L'aperta noncuranza per le apparenze mostrata da Alessandro VI, col riconoscere e favorire pubblicamente i propri figli, alimentò l'ostilità verso i Borgia che vennero considerati capaci di ogni crimine. Furono reputati responsabili delle sofferenze italiane per aver chiamato i Francesi e aver turbato la prosperità della penisola. In particolare per quanto riguarda il B. questa ostilità si univa alla paura. I suoi successi e la crudeltà da lui usata per raggiungere i propri scopi - dimostrata con l'assassinio del duca di Bisceglie, con quello di Astorre Manfredi e con il sacco di Capua - aumentarono il suo prestigio, ma lo resero terribile. La sua rapida ascesa al potere lo fece arrogante e nei negoziati era breve e imperioso. Tutte le sue azioni erano seguite con grande attenzionee si attendevano con ansia le sue mosse ulteriori.
La grande potenza raggiunta dai Borgia fece nascere invidie e ansie; cominciarono a progettarsi alleanze per limitare la loro espansione prima che fosse troppo tardi. Sebbene tra i Colonna e gli Orsini esistesse una tradizionale inimicizia, la sconfitta dei primi allarmò i secondi e gli altri feudatari dello Stato della Chiesa, timorosi di andare incontro allo stesso destino. Anche i piccoli signori che ancora governavano alcune città dello Stato pontificio compresero che poteva accadere a loro quello che era successo ai Manfredi a Faenza, agli Appiani a Piombino e agli Sforza a Pesaro e a Forlì. Pensarono allora che unendo le loro forze avrebbero potuto frenare la crescente potenza del B., perché dalle loro file provenivano i condottieri di cui questi aveva bisogno per le imprese militari. Infatti, se all'inizio i soldati francesi posti da Luigi XII a disposizione del B. avevano costituito la sua forza militare, tali truppe non erano più sufficienti per le sue cresciute ambizioni. Il B. fece alcuni tentativi di arruolare gli abitanti delle zone rurali della Romagna, ma preferì continuare ad appoggiarsi principalmente su capitani di ventura.
Quando all'inizio dell'estate del 1502 riprese le operazioni militari, il B. voleva espandere le sue conquiste. Ma tale sua politica suscitò una violenta reazione che mise in pericolo anche le sue precedenti conquiste, così che la lotta per l'ulteriore espansione divenne anche una lotta per conservare intatto il ducato. L'obiettivo dichiarato del B. era Camerino, ma l'azione militare nell'Italia centrale ebbe inizio con un avvenimento di natura del tutto diversa, con la rivolta, cioè, di Arezzo e della Val di Chiana contro il dominio di Firenze. La rivolta era ispirata e sostenuta da due condottieri del B., Vitellozzo Vitelli e Giampaolo Baglioni. Il B. dichiarò di non aver nulla a che fare con gli avvenimenti di Arezzo; ma una tale dichiarazione gli era imposta dalle circostanze, dato che altrimenti non avrebbe potuto conservare i buoni rapporti con il potente alleato di Firenze, il re di Francia. Certamente veniva a suo vantaggio che Firenze si indebolisse e non fosse in grado di porre ostacoli alla sua azione; e in prospettiva, la città toscana poteva essere pronta a cadere in suo potere. Dopo questo preludio il B. stesso andò in guerra apparentemente contro Camerino, ma improvvisamente mutò la direzione di marcia alle sue truppe e si diresse verso Urbino. Il 20 giugno Guidobaldo da Montefeltro abbandonò la città e il B. si impossessò del ducato: erano passati solo dieci giorni dalla sua partenza da Roma. Sull'onda di questo mirabile successo, il B. dovette sperare di essere in grado di assumere il controllo di Firenze; ma ancora una volta Firenze fu salvata dal re di Francia. Luigi XII arrivò in Italia e impose al B. di tenersi lontano da Firenze e nel contempo inviò truppe per aiutare i Fiorentini a soffocare la rivolta di Arezzo. Il B. fu allora costretto a riprendere la sua azione contro l'obiettivo originario, Camerino, che conquistò il 21 giugno. Poi interruppe la campagna. Corse a Milano poiché sentiva di dover riparare al suo contrasto col re di Francia. Riuscì a ristabilire rapporti cordiali con Luigi XII: questi, sebbene avesse guardato con una certa apprensione l'aumento di potenza del B., aveva ancora bisogno del suo aiuto per rafforzare la posizione francese a Napoli, ora minacciata dagli Spagnoli. Il B. promise a Luigi XII il proprio aiuto e si impegnò a non conquistare Firenze a patto che il re gli lasciasse mano libera per Bologna. E di nuovo Luigi XII destinò sue truppe al Borgia. Questi ritornò a Imola per preparare la guerra contro Bologna. I suoi avversari sapevano che, se volevano frenarne la potenza, dovevano agire prima che le truppe francesi lo raggiungessero e che egli avesse preso Bologna. Perciò al castello degli Orsini, La Magione, si radunarono vari condottieri - tre Orsini (Paolo, il duca di Gravina e il cavalier Orsini), Oliverotto da Fermo, Giampaolo Baglioni - alla presenza di altri membri della famiglia Orsini e di rappresentanti del signore di Siena, Pandolfo Petrucci, di quello di Bologna, Giovanni Bentivoglio, e del duca di Urbino. Il 9 ottobre fu stipulata un'alleanza in base alla quale i firmatari si promettevano reciproco aiuto.
Qualche giorno prima a Urbino e a Camerino erano scoppiate rivolte contro il B.; gli alleati della Magione, allora, fecero irrompere le loro truppe a Urbino ove venne sconfitta la guarnigione lasciata dal B. ed ove il 18 ottobre Guidobaldo da Montefeltro poteva ritornare riassumendo il potere. Era chiaro che l'ulteriore mossa degli alleati sarebbe stata quella di cacciare il B. da tutta la Romagna. La sua situazione sembrava disperata.
In realtà non era tanto seria quanto sembrava. Essendo, infatti, figlio del papa e godendo perciò delle risorse del papato, il B. conservava sempre la possibilità di recupero anche se fosse stato cacciato da tutti i suoi possedimenti di Romagna. Inoltre erano arrivate le truppe francesi. La conseguenza fu che gli alleati, i quali costituivano un gruppo eterogeneo tenuto insieme solamente dalla paura del B., furono indecisi sul da farsi. Alcuni aprirono negoziati col Borgia. Il 10 nov. 1502 questi e Paolo Orsini giunsero a un accordo che una settimana più tardi fu accettato dagli altri alleati della Magione, a eccezione di Giampaolo Baglioni, signore, di Perugia, che rifiutò di sottoscrivere l'accordo, e di Giovanni Bentivoglio, signore di Bologna, il quale concluse col B. un trattato separato in base al quale Bologna restava a lui in cambio di aiuto finanziario e militare al Borgia.
L'accordo con gli altri alleati della Magione stabiliva che i condottieri sarebbero ritornati al servizio del B. e si impegnavano a restituirgli Urbino e Camerino. Nello stesso tempo i Borgia e i condottieri formarono una lega in cui i partecipanti si impegnavano a difendersi reciprocamente ed agire insieme contro gli eventuali trasgressori dell'accordo. I condottieri credevano di aver ottenuto in questo modo una garanzia sul mantenimento dello status quo, in quanto il B. non aveva più la possibilità di sconfiggerli uno dopo l'altro, ma era avvertito che, se si fosse mosso contro uno di loro, avrebbe trovato tutti gli altri contro di lui.
Le successive azioni del B. mostrano come egli non fosse affatto disposto ad accettare queste limitazioni alla sua libertà di azione. Ma in primo luogo voleva approfittare dei vantaggi derivatigli dall'accordo. I condottieri, che si erano impegnati a restituirgli Urbino e Camerino, furono d'accordo di agire contro Senigallia. Oliverotto da Fermo entrò nella Città il 26 dicembre e venne lì raggiunto da Paolo Orsini, il duca di Gravina, Vitellozzo Vitelli e il cavalier Orsini. Il B., lasciata Imola il 10 dicembre, dopo aver trascorso alcuni giorni a Cesena, arrivò a Senigallia il 31 dicembre. Incontrò i condottieri fuori della città e baciò il Vitelli su una guancia in segno di riconciliazione. Insieme entrarono nella città ove stazionavano poche truppe di Oliverotto, decisamente inferiori di numero a quelle portate dal Borgia. I quartieri del B. erano stati preparati dal suo consigliere Michelotto in un palazzo della città. Il B. chiese ai suoi compagni di entrarvi con lui per predisporre i piani per le successive battaglie. Quando essi si furono seduti, il B. lasciò la sala e a un suo segnale i condottieri vennero circondati da uomini armati e fatti prigionieri. Il Vitelli e Oliverotto furono strangolati la notte stessa. Paolo Orsini e il duca di Gravina furono prima trattenuti dal B. e poi uccisi due settimane dopo.
Il B. mostrò una notevole acutezza nel progettare una simile azione. Aveva indotto i condottieri ad illudersi, abbandonando gran parte delle truppe francesi prima di lasciare Imola. L'esecuzione di Ramiro de Lorqua, del quale i condottieri si erano lamentati, avvenuta in quel periodo, era servita allo stesso scopo. Infine il B. stesso aveva elaborato il piano in tutti i dettagli, comunicandolo poi soltanto ai pochi che lo dovevano porre in atto, così che ben scarse erano le possibilità che alcunché trapelasse. È sintomatico il fatto che tra i contemporanei il "bellissimo inganno" di Senigallia produsse consensi più che indignazione. È stato anche detto che i condottieri erano odiati come oppressori, mentre il B. fu ammirato per il realismo politico con cui li aveva eliminati, rappresentando essi ostacoli all'ulteriore espansione dei suoi Stati.
Lo stesso realismo politico il B. dimostrò nelle azioni successive. Sfruttando a pieno l'immensa impressione suscitata dall'episodio di Senigallia, marciò rapidamente per sottomettere quelli dei suoi avversari che gli erano sfuggiti. Si diresse allora a ovest. Il 5 gennaio fu raggiunto dalla notizia che Città di Castello si era arresa; il giorno dopo seppe che il Baglioni aveva lasciato Perugia e che la città si era data a lui come gonfaloniere della Chiesa. Si fermò ad Assisi e cominciò i negoziati con i Senesi per la loro resa, chiedendo la cacciata del Petrucci. Passò poi a Pienza e lì fu informato che i Senesi avevano espulso il Petrucci il quale era fuggito (30 gennaio). Il 4 febbraio era a Viterbo ove rimase per due settimane. Nel frattempo, a seguito dell'azione compiuta dal B. contro i condottieri della famiglia Orsini, si era ad un'aperta frattura tra il papa e gli Orsini. Loro truppe comparvero di fronte a Roma e il papa chiamò il figlio per affidargli la condotta della guerra. Il 26 febbraio il B. era di nuovo a Roma.
La lotta contro la potente famiglia romana durò fino alla metà di aprile. L'azione si accentrò su Ceri, uno dei castelli degli Orsini, e più volte il B. si recò a dirigere l'assedio. Il castello si arrese l'8 aprile. Bracciano, il castello principale degli Orsini, non fu attaccato perché il suo signore, Giangiordano, era, al pari del B., un cavaliere dell'Ordine francese di S. Michele le cui regole imponevano ai membri di non combattere tra al loro. Anche l'Orsini che difendeva Ceri fu lasciato libero dopo la resa: e il mite trattamento degli Orsini fu probabilmente dovuto a un intervento di Luigi XII in loro favore. Egli incoraggiò anche Firenze, Siena e Lucca a resistere contro il B. e il Petrucci poté ritornare a Siena sotto la protezione del re francese Luigi XII. Il re era molto inquieto per l'aumento del potere dei Borgia, temendo infatti che essi divenissero tanto forti da abbandonare l'alleanza con la Francia e, congiungendosi alla Spagna, potessero cacciare i Francesi dall'Italia centrale e meridionale. I timori erano accresciuti dal comportamento di Alessandro VI, che aveva apertamente espresso il suo disappunto per la dipendenza dalla Francia e aveva cominciato a negoziare con Venezia e gli Spagnoli. Non è chiaro fino a qual punto il B. condividesse la politica del padre e prendesse in considerazione un cambiamento di alleanza. Padre e figlio, tuttavia, erano d'accordo nel ritenere che essi avevano bisogno di disporre di una notevole forza militare, che sola avrebbe loro consentito di conservare l'indipendenza politica di fronte all'imminente urto franco-spagnolo. Perciò essi avevano urgente bisogno di denaro per assoldare truppe. È questo il periodo in cui Alessandro VI procedette nel modo più cinico alla vendita degli uffici della Curia ed alla creazione simoniaca di nuovi cardinali. E a causa del vantaggio finanziario che ne derivava al papa, ogni volta che un cardinale moriva circolava la voce che era stato avvelenato dai Borgia. Il B. restò a Roma per tutta la primavera e l'estate del 1503, dedicandosi al miglioramento dell'amministrazione della Romagna. Il motivo principale del suo soggiorno romano era la sua volontà di essere presso il papa al momento in cui questi si sarebbe dovuto decidere tra Francia e Spagna, il cui scontro diretto si andava sempre più avvicinando. Fu in questa situazione critica che il 18 agosto Alessandro VI morì.
Il Machiavelli scrive nel famoso settimo capitolo del Principe che, nei giorni dell'elezione di Giulio II, il B. gli aveva detto "che aveva pensato a ciò che potessi nascere morendo el padre, et a tutto aveva trovato remedio, eccetto che non pensò mai, in su la sua morte, di stare ancora lui per morire". Siano vere o false queste parole, la realtà è che il B. ebbe scarsa o nessuna possibilità di conservare la sua posizione e i suoi possessi. Quando Alessandro VI morì, le lotte tra le grandi potenze per l'egemonia in Italia erano appena cominciate. La stabilità - che comprese anche la stabilità dei domini territoriali - si affermò soltanto trent'anni dopo, quando Carlo V trionfò su Francesco I. I cambiamenti territoriali e dinastici avvenuti in Italia durante le guerre tra gli Asburgo e i Valois fanno ritenere che difficilmente avrebbe potuto conservare il suo titolo un principe nuovo, i cui domini si trovavano in una regione contesa da Venezia, Milano e il Papato e che per di più non aveva solidi sostegni. Un altro più realistico quesito è se il crollo del dominio del B. doveva avvenire così improvvisamente e definitivamente come avvenne. Ancora una volta bisogna dire che il B. si trovò di fronte a difficoltà quasi insuperabili. Le dinastie cacciate da Urbino e dalle altre città di Romagna erano sempre in attesa di ritornare mentre Venezia era ansiosa di espandersi in quella regione. Era perciò urgente la presenza del B. in Romagna per sventare tali attacchi. D'altro canto però egli possedeva quelle città in veste di vicario della Chiesa e disponeva di truppe in quanto gonfaloniere di questa. Pertanto il rinnovo di tali titoli da parte del nuovo papa era il requisito primo per il suo governo in Romagna e poteva essere ottenuto meglio rimanendo a Roma e cercando di influenzare il corso degli eventi in quella città. In questo dilemma il B. seguì una linea incerta e oscillante. Egli, alla morte del padre, non aveva ancora ventott'anni; una malattia che lo colpì proprio al momento della morte di Alessandro VI complicò la situazione. Ma in ogni caso sarebbe stato difficile per un giovane, sempre favorito dalla fortuna, attuare il necessario mutamento da una quasi onnipotenza a prudenti manovre tra uomini fino allora da lui considerati e trattati come inferiori. Le azioni del B. ci danno l'impressione che egli tardò a rendersi conto che la sua posizione era cambiata e mancò di quella valutazione realistica delle circostanze che in precedenza aveva saputo mostrare.
Egli si assicurò il possesso del tesoro di Alessandro VI, consistente in 100.000 ducati in monete, ma non si assicurò il possesso di Castel Sant'Angelo. Sebbene disponesse di più di 10.000 soldati in Roma, non aveva il monopolio della forza militare. Gli Orsini e i Colonna irruppero in città con bande armate; un esercito francese era a Nord presso Viterbo mentre gli Spagnoli si avvicinavano dal Sud. In tale situazione egli non era in grado di imporre al conclave l'elezione di un proprio candidato. I cardinali insistettero per essere liberi da pressioni nella scelta e riuscirono ad esserlo. Il 2 settembre il B. dovette ritirarsi a Nepi, che era sotto la protezione delle armi francesi. Aveva giurato obbedienza al conclave e i cardinali lo avevano assicurato che durante la vacanza del soglio pontificio egli avrebbe conservato la carica di gonfaloniere della Chiesa; ma la sua influenza sul risultato dell'elezione era limitata. Aveva dalla sua parte undici cardinali spagnoli e gli erano favorevoli anche i francesi. Ma a causa del conflitto tra Spagna e Francia, questi due gruppi non potevano accordarsi su un unico candidato. Il risultato fu un compromesso: fu eletto Francesco Piccolomini, che assunse il nome di Pio III. Il nuovo papa confermò il B. come gonfaloniere e vicario di Romagna. Ciononostante il potere scivolò velocemente dalle mani del Borgia. Già durante la vacanza del soglio pontificio Guidobaldo da Montefeltro era tornato a Urbino, gli Appiani a Piombino, i Varano a Camerino, Giovanni Sforza a Pesaro e Pandolfo, Malatesta a Rimini. Erano rimaste fedeli al B. solo Cesena, Faenza, Forlì e Imola. Il suo potere militare stava gradualmente diminuendo; poiché altri, come gli Spagnoli e i Francesi, sembravano garantire un impiego più sicuro, le truppe cominciarono ad abbandonarlo. Adducendo una malattia, egli ottenne dal papa il permesso di ritornare a Roma. Quando vi arrivò, il 3 ottobre, aveva con sé meno di 1.000 uomini. Il ritorno a Roma fu senza dubbio un errore. Pio III, debole e malato, non era in grado di impedire che a Roma giungessero condottieri ostili al B. con le loro truppe. Gli Orsini e i Colonna congiurarono contro di lui; egli tentò invano di uscire dalla città con i suoi uomini; dovette abbandonare il suo palazzo in Borgo, che stava per essere assalito dagli Orsini, e rifugiarsi in Castel Sant'Angelo, ove restò virtualmente prigioniero. Tre giorni dopo, il 18 ottobre, Pio III moriva. Questo avvenimento portava vantaggi al B. perché gli Orsini erano costretti a lasciare Roma per consentire una libera elezione del papa. Giuliano Della Rovere, ansioso di non perdere la possibilità di divenire pontefice, fece promesse a tutte le parti, per ottenere voti: ai cardinali spagnoli promise di conservare il B. come gonfaloniere e di lasciargli i suoi Stati. Ma gli impegni per il B. non erano più forti di quelli assunti verso gli altri. La sua elezione, avvenuta il 1º novembre, non migliorò la posizione del Borgia. Sebbene gli confermasse il vicariato per la Romagna, Giulio II esitò a nominarlo gonfaloniere. E anche la conferma del vicariato fu ispirata principalmente al timore del papa che ogni altro mutamento potesse creare caos in Romagna e favorire il tentativo veneziano di assumere il controllo della regione.
Dopo l'elezione di Giulio II, il B. fu invitato in Vaticano dal papa, ma il 18 novembre lasciò Roma per Ostia. Intendeva assicurarsi una condotta dai Fiorentini e, al comando di truppe pagate col loro denaro, difendere i domini in Romagna. Pensava che i Fiorentini avrebbero accettato di buon grado di finanziarlo essendo interessati a tenere i Veneziani lontani dalla Romagna. Nel frattempo, però, la posizione del B. in quella regione andava vieppiù peggiorando. Il 18 novembre Faenza si arrendeva ai Veneziani e il 25capitolava il castello. Il 29 Fano si sbarazzava del governo del Borgia. Gli unici punti di forza rimasti al B. erano le fortezze di Cesena, Forlì e Bertinoro. Ma il pontefice Giulio II temette che anche queste ultime potessero essere conquistate dai Veneziani e inviò due cardinali a Ostia per chiedere al B. di cedere al pontefice le fortezze ancora in suo possesso. Essendosi il B. rifiutato, fu costretto a tornare a Roma ove fu arrestato e chiuso in Vaticano. Capì che se voleva riacquistare la sua libertà doveva arrendersi. Il 2dicembre comunicò a Guidobaldo da Montefeltro, creato da Giulio II gonfaloniere della Chiesa, le parole d'ordine che avrebbero consentito alle forze pontificie di penetrare nelle fortezze romagnole. Il comandante di Cesena, però, si rifiutò di far passare i messaggeri pontifici perché non era sicuro che il B. avesse dato gli ordini spontaneamente. Non è chiaro se il rifiuto fosse stato concordato segretamente col Borgia. In ogni caso erano necessari nuovi negoziati tra il B. e il papa. Per dimostrare che non era sottoposto a pressioni gli fu concesso di recarsi a Ostia donde poteva sistemare la cessione delle fortezze entro quaranta giorni. A Ostia sarebbe stato affidato al cardinale Carvajal e dopo la cessione della fortezza sarebbe rimasto libero. Questo accordo fu raggiunto il 29gennaio e il B. fu condotto a Ostia il 16 febbraio. Vi furono ulteriori ritardi perché i comandanti del B. si rifiutavano di capitolare. Alla fine Bertinoro e Cesena si arresero e il B. depositò 15.000ducati richiesti dal comandante della fortezza di Forlì per la capitolazione. Carvajal ritenne allora che il B. avesse adempiuto ai suoi impegni e gli consentì di partire da Ostia. Si imbarcò su galere spagnole e il 28 aprile raggiunse Napoli dove si riunì al cardinale Lodovico Borgia e a suo fratello Goffredo. Qui ritornò immediatamente attivo, sebbene le sue finanze fossero quasi esaurite. Riuscì a radunare una piccola forza militare e progettò di imbarcarsi per Piombino o Pisa e di lì raggiungere la Romagna ove Forlì ancora resisteva. Ma quando il 26 maggio si recò da Consalvo di Cordova per ottenere il permesso, fu rimesso agli arresti. Consalvo sapeva infatti che il re di Spagna tendeva a stabilire buone relazioni con Giulio II e non voleva essere responsabile della riapparizione del B. in Italia contro i desideri e i piani del papa. Il B. restò prigioniero in Castel Nuovo dal 26 maggio al 20agosto, chiuso in una stretta cella: gli venne proibito ogni contatto con l'esterno. Il 10 agosto il comandante della fortezza di Forlì, informato di nuovo che il B. desiderava la sua resa, capitolava: veniva così a mancare ogni motivo per trattenere ulteriormente il B. in Italia. Il 20 agosto egli si imbarcava su una galera spagnola e partiva per la Spagna. Giunse a Valenza alla fine di settembre e venne imprigionato nel castello di Chinchilla nella provincia di Albacete. Essendo poi venuto alle mani col comandante del castello, fu condotto a Medina del Campo, residenza reale nel centro della Spagna. I cardinali spagnoli, Lucrezia Borgia e il cognato del B., il re di Navarra, intervennero allora in suo favore presso re Ferdinando. Ma questi fu irremovibile: considerava il B. suo nemico per aver servito il re di Francia. L'atteggiamento di Ferdinando potrebbe esser stato anche influenzato dalla duchessa di Gandia, cognata del B., tenuta in grande stima alla corte spagnola, che riteneva il B. responsabile dell'assassinio del marito. E d'altro canto nemmeno il re di Francia voleva muoversi in suo favore. Il B. infatti riuscì a chiedere a Luigi XII di versare il sussidio al quale si era impegnato al momento del matrimonio del Borgia, ma che non aveva mai ricevuto; e il re Luigi XII non solo non accolse la sua domanda, ma lo privò anche dei suoi feudi francesi per non aver adempiuto agli impegni presi per la campagna francese contro Napoli. Perciò, stante l'ostilità sia del re di Spagna sia del re di Francia, l'unico sostegno del B. rimase il re di Navarra; e presso di lui egli si rifugiò.
La fuga da Medina del Campo avvenne il 25 ott. 1506. Calandosi dalla finestra della sua camera il B. si ferì, ma fu ugualmente in grado di montare su un cavallo pronto per lui. Ciò accadde durante i mesi turbolenti che seguirono la morte di Filippo d'Asburgo, marito di Giovanna di Castiglia, e sembrò che il B. godesse di aiuti esterni nella sua fuga. Per lo meno il conte di Benavente gli consentì di trascorrere alcune settimane nel suo castello per curarsi. Poi, viaggiando attraverso le montagne, raggiunse Santander, donde arrivò per mare a Castro-Urdiales e di lì, di nuovo attraversando le montagne, alla residenza di suo cognato, Pamplona, ove giunse il 3 dic. 1506. Di lì annunciò la sua fuga agli Este e ai Gonzaga e lì progettò di assalire re Ferdinando in Castiglia con l'aiuto degli Asburgo e a nome di questi. Ma l'incarico che ricevette in primo luogo fu quello di aiutare il cognato nella lotta contro vassalli ribelli. Quando le truppe di Navarra posero l'assedio al castello di Viana, gli assediati fecero un tentativo di sortita durante la notte per approvvigionare il castello. Scoperti, cominciarono a combattere. Il B., nel buio della notte, restò isolato dai suoi uomini, venne circondato dai nemici e dopo una dura lotta cadde ucciso (12 marzo 1507). I suoi nemici, che non sapevano chi avevano ucciso, gli tolsero i vestiti; il suo corpo nudo venne ritrovato la mattina seguente. Il re di Navarra gli fece solenni onoranze funebri a Viana e innalzò sulla sua tomba un monumento, che, però, non è giunto fino a noi.
Bibl.: La fama del B. è dovuta specialmente al fatto che il Machiavelli nel settimo capitolo del Principe lo presentò come modello del "nuovo principe". Egli divenne l'incarnazione delle idee politiche del Machiavelli. Il ritratto, da questo tracciato, del B. come rappresentante del potere politico spietato e amorale fu ripreso e rielaborato da Jakob Burckhardt nella sua Civiltà del Rinascimento in Italia. Influenzato dalle idee del Burckhardt, il Nietzsche vide nel B. un uomo che seguiva i suoi istinti naturali, vivendo "al di là del bene e del male". Il B. divenne così il primo esempio di quell'idea, diffusa tra la fine del secolo diciannovesimo e l'inizio del ventesimo, secondo la quale il Rinascimento italiano, aveva per primo formulato un'etica nuova, moderna, "naturale" in contrapposizione all'antiquata moralità cristiana e borghese.
Questa interpretazione della figura del B. ha poco a che vedere con la sua realtà. È stato dimostrato che già il ritratto che di lui fece il Machiavelli costituisce una stilizzazione che modificava i dati di fatto per arrivare a una precisa formulazione politica. Il Machiavelli incontrò varie volte il B., prima a Urbino nel giugno e luglio 1502, poi in Romagna durante i giorni della Magione e a Senigallia tra l'ottobre 1502 e il gennaio 1503, e infine a Roma, dopo la morte di Alessandro VI, negli ultimi mesi del 1503. E i suoi rapporti al governo fiorentino contengono alcune delle più acute descrizioni del B. in azione. Ma il ritratto che si trae da tali rapporti non coincide affatto con quello del settimo capitolo del Principe (sulproblema vedi G. Pepe, La politica dei Borgia, Napoli 1946, pp. 271-284; e G. Sasso, Sul VIIcapitolo del Principe, in Rivista storica italiana, LXIV [1952], pp. 172-207). Ma sebbene il ritratto offerto nel Principe sia stilizzato, l'idea che il B. fosse una figura insolita e singolare era generalmente diffusa tra i suoi contemporanei. Sembra sufficiente riferirsi, a questo proposito, alle Storie fiorentine di Francesco Guicciardini, il quale afferma che il B. mostrava "perfidia, lussuria e crudeltà grande", ma aveva "reputazione grande" ed era un "signore valente e molto liberale e amato da' soldati".
Poiché il B. era già in vita una figura leggendaria, è difficile dare una valutazione storica precisa della sua carriera e personalità e separare i fatti dal "mito". La descrizione offerta in questa sede si è rigidamente attenuta a quelli che sembrano sicuri dati di fatto.
In generale le fonti per la vita e la politica del B. sono le stesse usate per il pontificato del padre: si rinvia perciò alla voce Alessandro VI del Dizionario Biografico degli Italiani. Per un'aggiornata e vasta bibliografia sui Borgia, v. S. Schüller-Piroli, Borgia, Freiburg 1963; e M. Mallett, The Borgias, London 1969. Ci sono, poi, numerosi studi monografici accentrati sui problemi della carriera del B. e basati su fonti e archivi locali: per una tale bibliografia si rinvia all'elenco offerto da W. H. Woodward, C.B., London 1913; e da G. Sacerdote, C. B.,la sua vita,la sua famiglia,i suoi tempi, Milano 1950. A questi devono aggiungersi anche i rapporti del Machiavelli sulle sue missioni presso il B., editi in Niccolò Machiavelli. Legazioni e commissarie, a cura di S. Bertelli, I, Milano 1964. L'esame più accurato del viaggio del B. in Francia si trova in E. L. Miron, Duchesse derelict. A study the life and times of Charlotte d'Albret, London 1911. Le fonti relative agli ultimi anni del B. in Spagna sono accuratamente indicate nel secondo volume di Ch. Yriarte, Les Borgia,C. B.,sa vie,sa captivité,sa mort, Paris 1889.
Esistono, poi, numerose biografie del B. ma solo poche di esse hanno valore scientifico. Quella dello Yriarte può considerarsi la prima descrizione della vita del B. basata sull'esame di un ampio numero di fonti. Anche G. Sacerdote si basa su una vasta ricerca di tutte le fonti in nostro possesso. I due autori, però, riescono meglio nel raccogliere il materiale che non nell'interpretarlo e valutarlo. La migliore biografia è quella citata di W. H. Woodward, anche se l'autore è eccessivamente propenso a interpretare positivamente le azioni e i piani del Borgia. In sostanza manca ancora una biografia del tutto soddisfacente.