BETTELONI, Cesare
Nacque di agiata famiglia a Verona il 26 dicembre 1808. "Per raggiungere la gloria - scrisse Vittorio Betteloni, suo figlio - dove forse non gli mancava l'ingegno, gli mancava realmente la forza ed il coraggio". Soprattutto il coraggio: il conflitto che determina la poesia e costituisce il tormento della vita del B. è di natura romantica: è il conflitto tra il vivo desiderio dell'azione e la coscienza desolata d'essere impotente ad agire. E infatti il B., se prese l'avvio dal Pindemonte - la cui melodiosa malinconia non dimenticò in tutta la sua opera -, ammirò il Byron, di cui tradusse la Parisina, e imitò l'Hugo.
Documento degli ultimi tristissimi anni del poeta (le sue condizioni di salute, sempre precarie, si erano andate aggravando) sono gli Ultimi versi che egli con lo pseudonimo di Callofilo Benacense pubblicò a Firenze nel 1855.
Il suicidio, segretamente meditato per vent'anni, gli parve infine unico rimedio alle sue miserie (Bardolino sul Garda, 27 settembre 1858). Gli Ultimi versi, insieme a un poemetto in ottave sul Lago di Garda (1834) e ad altre cose minori (v. la raccolta delle Poesie; Verona 1874), sono gli unici versi editi lui vivo. Le Favole e eli Epigrammi, infatti - per lo più traduzioni o imitazioni dal La Fontaine e da altri -, furono, tranne pochi editi prima sparsamente, pubblicati postumi da G. Biadego (Verona 1890).
Bibl.: Basti rimandare al discorso commemorativo di G. Biadego, più volte ristampato (Verona 1902; poi in Discorsi e profili letterari, Milano 1903, p. 263 segg.; infine in Letteratura e patria negli anni della dominazione austriaca, Città di Castello, 1913, p. 117 segg., seguito da paralipomeni, p. 177 segg., specialmente interessanti per i rapporti del B. con l'Aleardi). Saggi delle poesie di lui, con una notizia, sono stati pubblicati da S. Benco in appendice a Le più belle pagine di V. Betteloni, Milano 1927, p. 235 segg.