CERVI
Famiglia di contadini, eroi della Resistenza italiana. Il capostipite Alcide nacque a Campegine (Reggio Emilia) il 5 maggio 1875 da Gelindo, un mezzadro che aveva partecipato attivamente ai moti del 1869 contro la tassa del macinato subendo sei mesi di carcere. Di formazione cattolica, Alcide, che aderì per breve tempo al partito popolare, sposò nel 1919 Genoveffa Cecconi, dalla quale ebbe nove figli, due femmine, Diomira (nata nel 1906) e Rina (nata nel 1912), e sette maschi, Gelindo (nato il 7 ag. 1901), Antenore (nato il 30 marzo 1904), Aldo (nato il 9 febbr. 1909), Ferdinando (nato il 19 apr. 1911), Agostino (nato l'11 genn. 1916), Ovidio (nato il 18 marzo 1918) ed Ettore (nato il 2 giugno 1921). Subita l'influenza della predicazione socialista prampoliniana, educò i figli all'amore per la libertà e la giustizia sociale.
Una svolta nella vita della famiglia fu rappresentata dall'esperienza compiuta da Aldo durante il servizio militare di leva (1929-1932). Questi, per aver sparato mentre era in servizio di sentinella a un sottufficiale che non aveva risposto alla parola d'ordine, venne processato e condannato a cinque anni (ridotti a tre nel processo d'appello) dal Tribunale militare di Trieste. Durante la permanenza nel carcere di Gaeta, protrattasi fino al 3 maggio 1932, venne a contatto con alcuni esponenti comunisti, che lo conquistarono alle loro idee, ed aderì all'attività clandestina del partito comunista italiano. Tornato in famiglia il 20 ottobre dello stesso anno, Aldo fondò a Campegine una cellula comunista, ottenendo la collaborazione dei fratelli più grandi all'attività politica e cospirativa. Per diffondere le sue idee riuscì ad ottenere l'incarico di bibliotecario comunale e a distribuire, tra gli altri libri, La concezione materialistica della storia di Antonio Labriola, Il Capitale di Marx, il Che fare? di Lenin e La madre di Gorkij. I fratelli collaboravano, facendo propaganda fra gli amici: si organizzarono anche delle riunioni nelle quali si discuteva apertamente della necessità di opporre una resistenza attiva contro il fascismo. Nel 1934 la famiglia, lasciata la mezzadria del fondo "Valle Re" di proprietà della contessa Levi-Sotto Casa, prese in affitto un podere in località Casa Nuova a Gattatico. Ma Campegine rimase il centro del lavoro politico del C., che si concentrò in varie forme: diffusione di manifesti e giornali, ospitalità e aiuto agli antifascisti ricercati, manifestazioni e boicottaggio delle iniziative fasciste. Nel 1936 Gelindo e Ferdinando si rifiutarono di partire come volontari per l'impresa di Etiopia; nel 1939 Gelindo subì l'ammonizione politica e fu processato per oltraggio al capo del governo.
Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, l'attività del C. si fece più intensa. Venne organizzata nel Reggiano la distribuzione clandestina dell'Unità e poco dopo la zona fu allargata fino a comprendere anche la provincia di Mantova. Si cominciò anche a provvedere all'acquisto di armi. La partecipazione dei fratelli C. alla Resistenza fu ancor più sollecitata dall'arrivo a Reggio di una compagnia di attori girovaghi, i Sarzi, i quali erano stati inviati dal partito comunista per prendere contatto con loro e organizzare la diffusione di materiale propagandistico.
La figlia maggiore dell'attore, Lucia, fece presto amicizia con Aldo e, quando il partito decise che il giornale venisse stampato nel Reggiano, impiantò insieme con lui, poco distante dalla loro casa, una tipografia rudimentale nella quale riuscivano a stampare fino a 10.000 copie alla volta. I Sarzi fungevano da intermediari fra le organizzazioni comuniste e la famiglia C.: insieme ebbero un ruolo importante nel diffondere la propaganda, nelle campagne circostanti, stimolando gli animi con recite, prestito di libri e discussioni politiche. Le recite servivano anche per raccogliere denaro che poi veniva versato nelle casse della Resistenza. Il teatro della famiglia Sarzi era divenuto un punto d'incontro per i partigiani e dietro la sua copertura si effettuava anche la distribuzione delle armi.
L'8 sett. 1943 i Tedeschi occuparono Reggio, fra lo sfacelo completo dei comandi italiani. Mentre i presidi militari, lasciati a se stessi, cadevano uno dopo l'altro, l'azione del C. si fece più efficace e rischiosa: venivano effettuate imboscate a pattuglie nazifasciste, assalti alle caserme per i rifornimenti di armi e sabotaggi alle linee elettriche. Insieme con i Sarzi, essi erano riusciti anche a fare fuggire degli internati dal campo di concentramento di Fossoli, dopo averne tagliato i reticolati di cinta. La loro casa era ormai un rifugio per i prigionieri alleati che, elusa la vigilanza, si erano dati alla macchia, per i disertori e per i partigiani.
La famiglia C. ospitò, in poco più di due mesi, circa cento ricercati di diversa origine: militari inglesi, americani, sovietici, polacchi, francesi e persino alcuni tedeschi che avevano disertato. Tutti ricevevano vitto e alloggio e, dopo essersi rifocillati, venivano indirizzati verso le montagne vicine. I feriti ricevevano l'assistenza delle donne e di un medico fidato.
Il 25 nov. 1943 la cascina venne circondata da circa centocinquanta militi fascisti che intimarono ai C. di arrendersi e di uscire all'aperto. La famiglia si difese sparando dalle finestre; ma, quando le munizioni furono esaurite e il fienile fu dato alle fiamme, per evitare un inutile massacro, Aldo convinse i suoi a deporre le armi e concordò con Gelindo la linea di condotta da tenere negli interrogatori: per scagionare tutti gli altri, essi soltanto si sarebbero assunta ogni responsabilità. Ma il piano non ebbe effetto. Dopo una breve permanenza nel carcere dei Servi a Reggio Emilia, furono tutti trasferiti nel carcere di S. Tommaso dove rimasero ancora insieme per circa un mese; poi, tranne il padre, vennero nuovamente portati via, apparentemente per essere processati a Firenze. All'alba del 28 dic. 1943, per l'uccisione del segretario del fascio di Bagnolo in Piano, i fratelli C. per rappresaglia vennero fucilati dai fascisti nel poligono di tiro di Reggio Emilia. Con loro morì anche il partigiano Quarto Camurri. A ciascuno venne assegnata la medaglia d'argento al valor militare.
Il padre, Alcide, rimase in carcere fino all'8 genn. 1944, ignaro della morte dei figli, finché un bombardamento aereo colpì l'edificio e gli permise la fuga. Tornato in famiglia, un'altra razzia fascista gli bruciò nuovamente parte della casa. Nel novembre 1944, stroncata dal dolore, morì la moglie Genoveffa.
Nel dopoguerra egli fu eletto al Consiglio comunale di Gattatico e presidente del Comitato nazionale dell'onore e del sacrificio. Morì a Gattatico il 27 marzo 1970.
Fonti e Bibl.: Lo studio più completo è quello di P. Nicolai, I fratelli C., Roma 1974. Sivedano anche le voci apparse nell'Encicl. dell'antifascismo e della Resistenza, I, pp. 520-522, e in F. Andreucci-T. Detti, Il movimento operaio italiano. Diz. biografico, II, pp. 13-19, a cui si rinvia per un'esauriente indicazione, di fonti e bibliografia.