CERVETTO
Famiglia di architetti operosa a Genova nei secc. XVIII e XIX.
Capostipite fu Benedetto, figlio di Giacomo, nato a Genova intorno al 1726. Residente a Genova nel quartiere della Maddalena, probabilmente in vico del Ferro, dove continueranno ad abitare i discendenti, Benedetto è ricordato dall'Alizeri (1864, p. 183) come capomastro addetto ai lavori della strada Cambiaso in Val Polcevera, la carrozzabile che da Sampierdarena portava a Campomorone, iniziata nel 1772, sotto il doge Giovanni Battista Cambiaso la cui famiglia era originaria della valle. Nel fascicolo relativo (Arch. di Stato di Genova, Sala B. Senarega, f. 1086) s'indicano i ponti da costruire o riparare e le varianti da apportare al tracciato antico (che venne ampliato, rettificato e reso più pianeggiante), ma non si nomina il capomastro. I lavori dovettero durare a lungo, se Benedetto poté avere come aiuto anche il figlio Giovanni Battista. Tale indicazione dell'Alizeri (1864, p. 183) trova indiretta conferma nei successivi incarichi affidati ai C. dai Cambiaso: tra questi pare lecito porre anche il viale d'accesso alla villa di Cremeno, fatto tracciare dal doge Giovanni Battista (Catal. d. villegenovesi, 1967, p. 326).
Che Benedetto fosse uno dei costruttori del conservatorio Fieschi allo Zerbino, iniziato nel 1763 (Alizeri, 1864, p. 184), pare smentito da una verifica d'archivio (Genova, Arch. del Conservatorio, Conti,ricevute et altro dal 1762 al 1768, f. 1): i lavori, documentati fino al 1765, furono eseguiti su disegno e sotto la direzione di Gaetano Cantoni con la collaborazione di Pietro e di Simone Cantoni.
Benedetto morì a Genova il 24 maggio 1789 e fu sepolto nella chiesa della Maddalena, nel cui archivio è annotato come "clarus dominus".
Giovanni Battista, figlio di Benedetto e di Rosa Salvo, nacque il 28 ag. 1760 a Genova in vico del Ferro dove visse. Iscrittosi all'Accademia ligustica, si distinse per i risultati conseguiti sotto la guida di Giacomo Maria Gaggini. Più tardi v'insegnerà a più riprese ornato (1795) e architettura (1805-1807). Completò la sua formazione con un viaggio a Firenze e a Roma, dove frequentò le lezioni dell'architetto G. Barberi. Tornato quindi a Genova, aiutando il padre nei lavori della carrozzabile della Val Polcevera, egli venne in contatto con la famigliaCambiaso, della quale diventò l'architetto di fiducia. Per essa eseguì tre palazzi in via Nuovissima, contribuendo a conferire un volto unitario e dignitoso alla via tracciata a partire dal 1778. Sono i tre palazzi contigui di via Cairoli, nn. 8, 10, 12, tra via S. Siro e salita dell'Oro, eretti sul terreno di proprietà dei Cambiaso probabilmente poco dopo il 1786, quando nella zona furono demolite alcune case e altre si dovettero puntellare per sistemare la nuova strada (Genova, Arch. storico del Comune, Magistrato dei Padri del Comune, f.285).
Il difficile compito di operare su preesistenze architettoniche e urbanistiche è risolto lasciando gli antichi vicoli che segnano il distacco fra i tre corpi di fabbrica, collegati su strada da un semplice muro a livello del piano terreno. Le fronti, diverse tra loro come linea di gronda e come disegno, sono però concepite in modo unitario: le due strette case laterali costituiscono, per il lieve incurvarsi della strada, discrete quinte al corpo di fabbrica principale (passato poi agli Zerbino), il cui prospetto, tripartito verticalmente, ha la parte centrale lievemente arretrata. Delicati motivi, decorativi a stucco (cartigli al primo ordine, bucrani tra ghirlande al secondo) denunciano l'ascendente esercitato dal Tagliafichi; singolare il finestrone termale sottotetto, arretrato rispetto alla fronte.
Per gli stessi marchesi Cambiaso Giovanni Battista eseguì le dimore di campagna sulla collina del Garbo in Val Polcevera e sulla collina di S. Maria della Sanità a Genova.
Questa corrisponde probabilmente all'edificio, in seguito trasformato, al n. 42 di salita S. Maria di Sanità, che conserva l'elegante portale classicheggiante su cui sono impresse le lettere "C G" (forse iniziali di Cambiaso Gaetano). Tuttora di proprietà Cambiaso, sia pur divisa in appartamenti, è la villa del Garbo: il blocco, privo di interesse nella parte a valle, si articola a C verso monte, dov'è l'accesso, con una fronte simmetrica coronata da timpano con finestra termale e ravvivata in origine dai motivi dipinti delle colonne binate e di un fregio orizzontale, ora sbiaditi. È stato demolito di recente il palazzo costruito in Carignano per i Balbi, passato poi ai Casareto: sorgeva sul luogo dove ora è il condominio di via Corsica, n. 10. Pure scomparsa, nelle trasformazioni che subì la zona tra il 1865 e il 1890, la palazzina Rossi che sorgeva presso la porta di S. Bartolomeo di Montaldo, per il cui giardino Giovanni Battista compose ornamenti "di ispirazione romana": "tra obelischi e decorazioni e artifizi d'acqua è un arco quasi di trionfo, parco di linee, aggiustato di proporzioni" (Alizeri, 1864, p. 184).
Lo stesso spirito doveva guidarlo nei disegni dei "trionfi" eseguiti per le due ultime incoronazioni dogali: Michelangelo Cambiaso nell'anno 1792 e Giuseppe Maria Doria nel 1794. Per il governo francese eseguì, su testimonianza dell'Alizeri, opere in palazzo S. Giorgio, nel Portofranco, nella dogana. Nel primo decennio del XIX secolo Giovanni Battista risulta particolarmente vicino a Carlo Barabino, l'architetto a cui lo legava tra l'altro l'analoga formazione romana presso il Barberi: mentre si alternavano nell'attività didattica all'Accademia ligustica, aprirono insieme uno studio professionale, dove attendevano a commissioni per privati, e nel 1807 un "burò d'istruzione" in piazza delle Vigne. Subentrati i Savoia, Giovanni Battista fu scelto dal Randoni, architetto di corte, come collaboratore nei restauri e nelle riforme di palazzo Doria Tursi, quando questo fu acquistato (1820) da Vittorio Emanuele I per sua residenza a Genova. Giovanni Battista morì a Genova il 25 giugno 1822.
Benedetto (II), primogenito di Giovanni Battista e di Angela Bianchi, nacque a Genova in vico del Ferro il 1º giugno 1792 e visse sempre nella casa paterna rimanendo celibe. Risultava ancora vivo nel censimento del 1851.
Seguendo le orme del padre, divenne accademico e diresse la scuola di architettura dal 1821 al 1824. Esercitò l'attività professionale probabilmente presso lo studio e all'ombra del più giovane fratello Domenico; infatti, rispetto ai molti progetti presentati da questo al Consiglio d'ornato tra il 1827 e il 1857, due soli disegni sono firmati da Benedetto.
Uno, del 5 marzo 1828, riguarda la sistemazione di una casa all'Acquasola e l'altro, del 23 giugno 1838, un ornato per il palazzo Gropallo (originariam. Pallavicini) alla Nunziata. Questo, rispettato nel restauro generale compiuto nel 1930 dell'edificio in piazza della Nunziata, n. 6, presenta un festone di frutta sospeso tra rosette da cui escono nastri; anche il disegno del portale sottostante, ad arco con lastre di marmo (non originali) formanti un motivo a bugnato liscio, è ottocentesco. Non più riconoscibile invece l'intervento di restauro del portico su strada, proposto pochi mesi dopo, il 22 apr. 1839, su disegno di Domenico Antonio, prova della stretta collaborazione tra i due fratelli.
Domenico Antonio, nato a Genova l'8 ott. 1802 da Giovanni Battista e da Angela Bianchi, continuò la professione del padre con studio in Portoria. Alle scarse e vaghe notizie date dall'Alizeri, suppliscono le numerose indicazioni dell'Archivio civico, che lo delineano come uno dei più attivi professionisti genovesi della prima metà dell'Ottocento. Poiché sembra da escludere il suo intervento nella ricostruzione della chiesa di S. Sisto (1827), indicato dall'Alizeri nelle Notizie... (1864), ma non nella Guida... (1847 e 1875), la sua prima opera documentata (lavori dal 1827 al 1830) è la facciata del palazzo già Costa Galliera nella nuova via Carlo Felice, che era stata tracciata dal Barabino nel 1825.
Gli venne chiesta una importante e delicata sistemazione architettonica e urbanistica, dovendo la facciata unificare due vecchie case all'uopo restaurate, divise dal vicolo Portafico, che il Consiglio d'ornato imponeva di conservare con diritto di accesso pubblico. Ne venne una lunga fronte simmetrica tra vico Testadoro e vico Domoculta, la più lunga e importante della via con undici assi di aperture e la parte centrale di tre assi lievemente aggettante. Lo zoccolo con intonaco a bugnato è scandito da aperture ad arco (ora in parte rettificate dai negozi) sormontate da quelle rettangolari dei mezzanini; il varco centrale che dà accesso contemporaneamente al vestibolo e al vicolo è sormontato da un balcone al primo piano. I due piani sopra lo zoccolo sono unificati da lesene giganti con corposi capitelli corinzi. Un timpano con stemma nella parte centrale e statue formano il coronamento della lunga fronte.
Con questo e con l'altro progetto relativo a un palazzo della stessa via, presentato nel 1828 per G. B. Figari (non identificato), il C. ebbe un peso determinante nella qualificazione architettonica della nuova strada, come l'opera del padre era stata importante in strada Nuovissima.
Difficile invece chiarire il contributo di Domenico Antonio nel distrutto palazzo Faraggiana che sorgeva in piazza Acquaverde sul luogo dell'albergo Columbia. Il monumentale edificio, iniziato da Domenico Antonio nel 1828 e proseguito con varianti nel 1830 da Ippolito Cremona, a cui l'Alizeri attribuisce il maggior merito, presentava un pronao timpanato sopra un alto zoccolo.
Intorno al 1830Domenico Antonio era già un professionista rinomato, se come architetto di fiducia degli ospedali civili fu scelto col Barabino, architetto civico, per la progettazione del manicomio (distrutto) nella zona di S. Vincenzo.
Per difficoltà insorte a causa del tema stesso, del terreno inadatto e di incomprensioni tra i due fu aggiunto loro l'arch. Celestino Foppiani, per cui il Barabino, risentitosi, si dimise proprio quando la costruzione stava per iniziare (1834). Domenico Antonio, invece, seguì l'opera, che fu poi continuata dal solo Foppiani con varianti, fino al 1840. L'importante complesso è documentato da vari disegni della Collezione topografica del Comune, di cui quattro (nn. inv. 3604-3607) recano la firma del solo Domenico Antonio: seguendo aggiornati esempi stranieri, esaminati in uno specifico viaggio all'estero di questo, venne adottata la forma radiale: sei lunghi bracci diramantisi da un corpo ellittico.
La vasta attività svolta con l'aiuto del fratello Benedetto, documentata da quasi cento progetti presentati al Consiglio d'ornato tra il 1827 e il 1858, è relativa solo in minima parte a nuove costruzioni, tra l'altro non più esistenti, perché erette in zone totalmente trasformate, quali via Giulia, Portoria, Castelletto, Carignano. Tutti gli altri sono interventi in antichi edifici del centro storico: restauri di facciate secondo il gusto ottocentesco della regolarizzazione delle aperture e sopralzi di uno e più spesso due piani. Può essere d'esempio tra i pochi esattamente indicati lo stretto e anonimo caseggiato in piazza dei Greci, n. 1, dai prospetti scanditi da una fitta serie di alte finestre (talune finte), con balaustre quelle del secondo piano: interventi come questo hanno modificato profondamente il volto e i volumi del centro antico, procurando quella uniformità di prospetti e quelle sopraelevazioni che ora lo caratterizzano. Più garbato doveva essere l'intervento di Domenico Antonio negli arredi urbani delle botteghe, disegnate soprattutto per via S. Luca. Lavori di lieve entità eseguì per i Doria Pamphili (il tetto della chiesa di S. Benedetto nel 1827) e per i Brignole Sale (la trasformazione delle scuderie di Palazzo Bianco a uso rimesse nel 1849).
Notevole l'apporto di Domenico Antonio come urbanista: il piano regolatore di Genova del 12 maggio 1856 èfirmato da lui, dall'architetto Carlo Cecchi e dal capo d'opera Angelo Descalzi (Coll. top. del Comune, n. 1323).È indicata in costruzione la via Assarotti, mentre sono progettate due strade di circonvallazione che dovevano unire attraverso le colline via Assarotti con Castelletto, incontrando tutte le strade progettate e quelle in costruzione, e una strada di raccordo tra l'Acquasola e porta S. Bernardino. Il piano realizzato di massima è l'attuazione con alcune varianti dell'ampliamento di Genova verso la collina, progettato dal Barabino fin dal 1825: siconserva l'idea barabiniana della successione a intervalli regolari di blocchi di edifici, privi di cortile, separati da giardini godibili dalla strada attraverso cancellate di disegno uniforme, ma si aumentano le altezze dei corpi di fabbrica (da quattro a sei piani) e si diminuiscono gli spazi verdi.
Tale piano non prevede ancora in via Assarotti la chiesa dell'Immacolata, il cui progetto è affidato a Domenico Antonio nello stesso 1856. I lavori sono sospesi nel 1858 per la morte del committente Pietro Gambaro. A quest'anno si fermano pure le notizie che abbiamo su Domenico Antonio, morto presumibilmente poco dopo.
La costruzione sarà ripresa solo nel 1864 sotto ladirezione dell'architetto Maurizio Dufour, che rispetterà l'impianto a croce greca inscritta, ma rivestirà il tempio di forme neorinascimentali venete, lontane da quelle neoclassiche di Domenico Antonio.
Fonti e Bibl.: Genova, Arch. della parrocchia della Maddalena, Libri Baptismatorum, 1742-1778; 1778-1813; Liber Defunctorum, 1742-1829; Genova, Collez. topograf. del Comune, nn. inv. 2068, 2075 (per Giovanni Battista); 1122-45, 1323, 1323 bis, 1972, 3604-3607 (per Domenico Antonio); Genova, Arch. stor. del Comune, Censimento del 1851; Ibid., Consiglio d'ornato. Deliberazioni,Amministraz. decurionale, vol. 682 (per Domenico Antonio); Ibid., Consiglio d'ornato. Ricorsi,Amministraz. decurionale, voll. 686 s. (per Domenico Antonio e Benedetto [III]); Ibid., cartella 1267, fasc. 121 (per Domenico Antonio); G. Portigliotti, L'assistenza ai malati di mente a Genova. Note storiche, in Annali dell'Ospedale psichiatrico, Genova 1830, p. 14; F. Alizeri, Guida artist. per la città di Genova, III, Genova 1847, p. 165 (per Domenico Antonio); Id., Notizie dei professori del disegno in Liguria, I, Genova 1864, pp. 106, 122 s., 183-185; II, ibid. 1865, pp. 200 s., 207, 209 (per Giovanni Battista); III, ibid. 1866, pp. 9 s., 102, 107-109 (per Domenico Antonio); Id., Guida illustrata del cittadino e del forestiero per la città di Genova ..., Genova 1875, pp. 216 s., 446 (per Domenico Antonio); M. Labò, Un architetto neoclassico: C.Barabino, in Emporium, LIV (1921), pp. 207-223 (per Giovanni Battista); G. Gambaro, P. Gambaro1804-1858, Genova 1938, pp. 23, 25 (per Domenico Antonio); G. Martinola, Notizie su architetti neoclassici, in Archivio storico lombardo, s. 8, II (1947), p. 72 (per Giovanni Battista); Catal. delle ville genovesi, Genova 1967, pp. 326 (per Benedetto [I]), 468, 474 (per Giovanni Battista); E. Poleggi, Strada Nuova..., Genova 1968, p. 289 (per Giovanni Battista); Genova nelle vecchie stampe (catal.), Genova 1970, p. 96 (per Domenico Antonio); E. De Negri, Ottocento e rinnovamentourbano. Carlo Barabino, Genova 1977, ad Indices (per Giovanni Battista e Domenico Antonio); P. Costa Calcagno, Ottocento a Genova. Contributiper la storia urbanistica..., in Bollett. ligustico, XXVIII(1976 [ma 1978]), pp. 48 ss. (per Domenico Antonio); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 303.