cervelletto
La porzione dell’encefalo che occupa la parte posteriore e inferiore della cavità cranica; ha forma ellissoidale appiattita, con l’asse maggiore disposto trasversalmente, è formato da due lobi separati centralmente dal verme, e sta al di sotto dei lobi occipitali. Regola e controlla il tono muscolare, la coordinazione dei movimenti e le abilità motorie.
Come il cervello, anche il c. è costituito all’esterno da sostanza grigia (corteccia cerebellare) e all’interno da sostanza bianca, nel cui ambito sono compresi quattro nuclei di sostanza grigia. Profonde solcature presenti nella corteccia evocano, al taglio sagittale, il disegno di un albero (arbor vitae). Il numero di neuroni nel c. è enorme: pur avendo solo il 10% in peso e volume dell’encefalo in toto, contiene circa la metà dei neuroni cerebrali. Le fibre afferenti sono 40 volte più numerose delle efferenti; la struttura convergente delle fibre in entrata denota che il c. elabora infinite informazioni per il controllo delle funzioni motorie. La corteccia del c. è organizzata in tre strati: uno, detto molecolare, di fibre fittamente intrecciate; lo strato delle cellule di Purkinje; lo strato dei granuli. Caratteristica delle cellule di Purkinje è di avere il corpo avviluppato da una fitta arborizzazione costituita dalle espansioni neuritiche di altre cellule, dette cellule a canestro. Nel terzo strato vi sono ammassate cellule piccole (granuli) e le cellule del Golgi. I granuli inviano gli assoni nello strato molecolare, dove si biforcano a T (questa disposizione ad angolo retto permette di disporre arborizzazioni dendritiche separate, cioè che non si compenetrano senza che vi sia perdita di spazio tra di loro). Il c. è collegato al tronco dell’encefalo e al midollo allungato da tre paia di peduncoli cerebellari (superiori, medi e inferiori), costituiti da numerosi fasci di fibre, sia afferenti sia efferenti, che lo mettono in rapporto con i vari livelli dell’asse cerebrospinale.
La regolazione motoria si svolge in via riflessa: nessuna attività del c. è percepita coscientamente; esso sovraintende alla modulazione dei movimenti volontari originati dalla corteccia cerebrale. Dei 5 tipi di cellule del c., 4 sono inibitori: le cellule di Purkinje, che hanno azione inibitoria sui nuclei profondi del c. stesso e del vestibolo (utilizzando il neurotrasmettitore GABA), le cellule di Golgi, quelle a canestro e altre, dette stellate. Oltre al GABA, i neurotrasmettitori di queste ultime sono tra gli altri la dopamina e la serotonina.
Il c. può essere colpito da lesioni vascolari, tumori, lesioni tossiche (da alcol, piombo, abuso di solventi, ecc.). La compromissione delle funzioni del c. provoca alterazioni dell’equilibrio (➔ atassia), mancanza di fluidità e di coordinazione nei movimenti, tremori, nistagmo orizzontale, disartria. La deambulazione nelle malattie del c. è instabile, a gambe larghe, a piccoli passi, e devia dalla linea retta. La mancata coordinazione delle afferenze propriocettive, labirintiche e visive deriva, nell’andatura di tipo cerebellare, dalla mancanza di aggiustamenti rapidi nei cambiamenti posturali. Se la lesione è unilaterale, i disturbi degli arti sono omolaterali.
Il ruolo del cervelletto nell’evoluzione del cervello
La struttura del nostro cervello ha mantenuto le stesse grandi suddivisioni anatomiche degli altri Vertebrati; alla relativa uniformità sul piano dell’organizzazione generale si contrappone la variabilità nelle diverse specie. Per esempio, il cervelletto è molto sviluppato in alcuni Pesci (come il pesce elefante) dotati di un organo che emette deboli segnali elettrici utili per esplorare l’ambiente: essi vengono poi elaborati dal cervelletto. Al contrario, il cervelletto è quasi assente nei serpenti che, per la loro conformazione, hanno meno necessità di coordinare i movimenti. Nel corso dell’evoluzione dei Vertebrati le regioni anteriori del cervello sono diventate sempre più complesse; parallelamente, il cervello è anche aumentato di dimensioni. Oggi il rapporto fra peso del cervello e peso del corpo è maggiore nei Mammiferi e più basso nei Rettili, negli Anfibi e nei Pesci ossei.
La corteccia del cervelletto è uno strato di sostanza grigia trilaminare ripiegato in maniera complessa, che riveste le sottili lamine di sostanza bianca che si distendono a ventaglio dalle più estese masse centrali, in modo molto simile alle pagine di un libro parzialmente aperto. Il tessuto corticale che corrisponde a una plica elementare, largo circa 1 mm alla base e con una circonferenza di 3-4 mm, è chiamato folium (lamella); alla base di ciascun folium il tessuto corticale si piega all’indietro nelle due lamelle adiacenti senza soluzione di continuità. Di conseguenza, lo strato corticale tra due lamelle contigue presenta sempre una ripiegatura all’interno con la concavità rivolta verso l’esterno. Le arborizzazioni neuronali sono pertanto sottoposte a una continua trasformazione cartesiana, passando da ‛convesse’ nella parte più alta delle lamelle, a ‛dritte rettangolari’ lungo la loro parte rettilinea, a ‛concave’ rispetto all’interno del cervelletto. Tali trasformazioni cartesiane della rete neuronale modificano radicalmente la ‛geometria’ delle ramificazioni dendritiche e assoniche. La lunghezza delle lamelle varia enormemente non soltanto tra specie con cervelletto di dimensioni molto diverse, ma anche nella stessa specie, a seconda della zona del cervelletto in cui esse sono situate. Tra i Mammiferi, il cervelletto raggiunge il suo massimo sviluppo nell’uomo e nei Cetacei (ma le zone maggiormente sviluppate nel cervelletto dei Cetacei, che costituiscono più della metà degli emisferi, sono di modeste dimensioni nell’uomo).
La corteccia cerebellare si sviluppa dalla porzione caudale della lamina cerebellare primitiva. Le cellule del cervelletto sono generate dal 13° giorno in poi: prima le cellule dei nuclei, poi le cellule di Purkinje, infine le cellule di Golgi, del futuro strato granulare. Una fase decisiva dello sviluppo corticale cerebellare si ha al 17° giorno, allorché un gran numero di cellule dà origine allo strato granulare esterno; le cellule di Purkinje si allineano dapprima in parecchi strati, poi in un’unica fila tra lo strato granulare esterno e i nuclei cerebellari profondi. Al 22° giorno le cellule dell’abbozzo del cervelletto si trovano nelle posizioni dalle quali inizierà l’istogenesi cerebellare, ossia il differenziamento e il movimento dei neuroni nelle loro posizioni definitive.
L’aspetto più notevole è l’arborizzazione dendritica piana, disposta ad angolo retto rispetto al decorso delle fibre parallele, che riguarda prevalentemente i dendriti delle cellule di Purkinje. La forma e la disposizione spaziale caratteristiche dell’arborizzazione della cellula di Purkinje, somigliante al candelabro a sette braccia (menorah)
della liturgia ebraica, sono chiaramente interpretabili come un metodo ingegnoso di disporre arborizzazioni dendritiche separate (cioè che non si compenetrano) senza che vi sia perdita di spazio tra di loro.
I paleoneurologi concordano nell’ipotesi che l’aumentata encefalizzazione è un’importante dinamica dell’evoluzione del cervello dell’uomo. Possono essere proposte alcune associazioni relative al contributo del cervelletto e degli emisferi cerebrali alle funzioni cognitive, se si esaminano i rapporti della fossa cranica posteriore, dove è alloggiato il cervelletto, con il volume in toto del cranio. Il volume cerebellare varia significativamente rispetto all’intero volume cerebrale fra i vari Mammiferi, e in particolare fra i Primati. Negli australopitechi è stato osservato che gli emisferi cerebrali erano più grandi rispetto al cervelletto se comparati ad altri Ominidi. Questo andamento continuò negli umani anche nel Medio e Tardo Pleistocene, includendo l’uomo di Neandertal e Cro-Magnon. Solo recentemente si è invertito il rapporto, con il cervelletto più grande rispetto al resto del cervello. Sembra che il cervelletto e gli emisferi cerebrali si siano evoluti reciprocamente, e che lo sviluppo del cervelletto negli umani dell’Olocene possa aver permesso un incremento dell’efficienza cognitiva. In termini di volume del cervello, l’uomo della nostra era sembra essere capace ‘di fare di più con meno’, forse proprio grazie a una seconda espansione cerebellare che ha permesso una maggior operatività cognitiva, senza che ci fosse un’ulteriore espansione del volume del cervello. Recenti studi neuroanatomici e di neuro-imaging funzionali hanno infatti dimostrato che il cervelletto gioca un ruolo in diverse funzioni cognitive, e che possiede, tramite il talamo, reciproche connessioni con le principali 14 regioni neocorticali importanti per l’evoluzione cognitiva dell’uomo.