CERUTI, Giacomo Antonio, detto il Pitocchetto
Figlio di Giuseppe (Fiocco, 1966-67, p. 229, e 1968), nacque in Lombardia intorno al 1700 (Fiori, 1974).
Non si sa nulla intorno alla località dove nacque, visto che nei documenti è detto bresciano (Fiori, 1970 e 1974; Pinetti, 1930), ma anche milanese o bergamasco (Morassi, 1967, pp. 348, 364 nota 4). Manca di prove concrete la supposizione (Boselli, 1954), basata sulle notevoli differenze stilistiche tra opere firmate, dell'esistenza di due pittori diversi con lo stesso nome; certo esistevano omonimi contemporanei (Bassi Rathgeb, 1968).
Nulla si conosce sulla formazione del C.; prima opera che ci sia rimasta è il ritratto del Conte Fenaroli (Corneto, propr. Fenaroli: catal., 1953, ill. 115; Morassi, 1967, ill. 3), firmato e datato 1724. Intorno al 1728 era a Brescia, e il Maccarinelli elenca una serie di tele che il podestà Andrea Memo, poco prima che scadesse il suo mandato (1728), gli fece dipingere in alcune stanze del palazzo pretorio; queste opere sono andate tutte distrutte o disperse alla fine del Settecento (ma vedi Longhi, 1960).
Nel 1734 il C. firmava e datava la Madonna del Rosario per la chiesa di S. Maria di Artogne (Maruchelli, 1959), opera di non grande livello, dalla composizione incerta, di ascendenza lombarda. Si suppone che in tutti questi anni l'artista abbia abitato a Brescia. Probabilmente nel 1734 soggiornò per un certo tempo a Gandino: infatti nel contratto stipulato il 1º marzo 1734 tra i reggenti della chiesa di S. Maria di Gandino e il C. (Pinetti, 1930) si dice che i committenti dovevano dare conveniente alloggio al pittore per tutto il tempo in cui avrebbe lavorato per la chiesa. Sono tuttora conservate nella chiesa due grandi tele del C.: la Nascita e il Transito della Madonna.
Nella collezione del maresciallo J. M. von der Schulenburg (F. Haskell, Mecenati e pittori, Firenze 1966, ad Indicem)erano del C. almeno nove fra quadri di genere e ritratti (A. Binion, in The Burlington Magazine, CXII [1970], p. 298), ma non è stato possibile finora identificarli (Morassi, 1967). Quando dipingeva per Schulenburg il C. risiedeva a Venezia (1736), dove naturalmente poteva osservare le opere del Tiepolo e conoscere i pittori contemporanei (Piazzetta, Pittoni, Diziani e Simonini redassero l'inventario Schulenburg). Dai documenti pubblicati dal Fiocco (1966-67, 1968) risulta che il soggiorno più lungo del C. fu quello di Padova dove è registrato negli Stati d'anime e gli nascono e muoiono figli.
Nel 1737 (B. Gonzati, La basilica..., I, Padova 1852, doc. 126) si offrì di dipingere la pala col Battesimo di s. Giustina per la basilica di S. Antonio. Il dipinto (ora sulla scala che conduce alla biblioteca) fu consegnato nel 1738: pur popolato da molte figure, è ben costruito e presenta caratteri perfettamente veneti, da Veronese a Tiepolo. Varie opere sono attribuite al C. nelle guide (G. B. Rossetti, Descrizione delle pitture..., Padova 1780, pp. 150, 180, 255), ma sono irreperibili; sono da ritenere del 1740 circa le undici tele raffiguranti santi a mezzo busto, in grisaille sufondo dorato, di innegabile ascendenza tiepolesca (e del Tiepolo stesso è il dodicesimo, S. Luca), nella chiesa di S. Lucia (oggi Corpus Domini), per la quale il C. dipinse anche la pala dell'altar maggiore con Madonna,Bambino e i ss. Rocco e Lucia (tutti riprodotti in Fiocco, 1968, pp. 208-212). Durante il periodo padovano l'artista dipinse pure il Mendicante della coll. R. Bassi Rathgeb del comune di Abano Terme, firmato e datato 1737, e i ritratti di Gentiluomo e Gentildonna di casa Lavelli (Brescia, coll. privata; firmati e datati 1739; tavv. 64 s. in Testori; Mallè, 1967).
Il soggiorno in Padova sarebbe durato fin verso il 1741 o 1742: nel 1743 il C. era a Piacenza dove firmò il Ritratto di condottiero di collezione privata cremonese (ill. in Fiocco, 1968, p. 219), opera dal vivace colorismo di marca veneta, ma permeata pure da umori transalpini. Tuttavia il Fiori (1974) ritiene che l'artista si sia stabilito a Piacenza l'anno dopo, dato che il 18 novembre 1744 occupò la casa di proprietà dei marchesi Casati in parrocchia S. Andrea. Il 25 febbr. 1745 venne battezzata in S. Andrea la figlia Teresa, nata il 23, presente in qualità di padrino il nobile Gaetano Malvicini Fontana di Nibbiano (Fiori, 1970, p. 98 n. 28: ma vedi Fiori, 1974, p. 209). È presumibile perciò che sia intorno a quella data il ritratto eseguito dal C. a Donna Bradamante Scotti di San Giorgio, moglie di un altro Malvicini, dipinto smarrito, di cui però resta l'incisione di Pietro Perfetti (Fiori, 1974). Nel nov. 1746 l'appartamento abitato dal C. fu affittato da altri e quindi si ritiene che egli abbia lasciato Piacenza. A testimonianza della permanenza in questa città, attualmente rimane nella chiesa di S. Teresa la pala dipinta dall'artista, secondo i documenti (tutti in Fiori, 1974), dal 27 marzo al 5 giugno 1745 per la parrocchiale di S. Alessandro, con il Santo patrono che rovescia l'altare pagano. IlFiori (1974, pp. 209 s.), dà l'elenco dei quadri dipinti dal C. a Piacenza per il conte P. M. Scotti.
II Carboni (1760) e altri documenti citati dal Marini (1966, 1968) elencano numerose opere del C. a Brescia; è quindi probabile che egli si sia recato da Piacenza a Brescia, dove oltre alle opere identificate dal Marini dipinse in questo periodo anche per la famiglia Lechi (alcuni dipinti sono ancora nelle collezioni di famiglia: Lechi, 1968). Fu probabilmente eseguita in questi anni la famosa Lavandaia della Pinacoteca Tosio Martinengo, tradizionalmente assegnata al C., che, esposta alla Mostra fiorentina della pittura italiana del Seicento e del Settecento (Firenze 1922, p. 66 del catal.), servì a risvegliare i sopiti interessi degli studiosi sull'artista.
Si ignora la durata della permanenza del C. a Brescia: con certezza nel 1757 il pittore si trovava a Milano, dove ricevette un pagamento per aver compiuto il ritratto del Nobile Attilio Lampugnani-Visconti, benefattore dell'ospedale (Milano, Racc. dell'Ospedale Maggiore: G. Bascapé-E. Spinelli, Le raccolte dell'Ospedale..., Milano 1956, p. 175). Si tratta di un quadro di non grande livello, in cui sono lontane le cadenze coloristiche d'origine veneta. Nel 1761 il C. firmò il Ragazzo che mangia (Bergamo, coll. privata; Morassi, 1967), inferiore artisticamente a molti altri saggi da lui eseguiti. L'artista morì in località sconosciuta prima del 1º nov. 1768, giorno in cui si spegneva nella parrocchia milanese di S. Raffaele la moglie Matilde De Angelis (Caprara, 1978, p. 97).
Il Fiori (1974, p. 212 n. 14) suppose che il C. avesse cessato di vivere a Dresda o almeno che quivi avesse soggiornato alla fine della vita, poiché dipinse il ritratto di Bonaventura Rossi (R. Bassi Rathgeb, Un ritratto aulico del Pitocchetto, in Boll. del Museo Civico di Padova, LIV [1965], 1-2, pp. 117-120) e una Mater Dolorosa, incisi da Lorenzo Zucchi, che non si sarebbe mai allontanato dalla Germania. Ma siccome risulta che il Rossi, pittore della corte di Sassonia, risiedette anche a Venezia, questa suggestiva tesi non ha basi sicure.
Pittore cimentatosi in ogni genere, il C. dimostra la duttilità comune a molti artisti del Settecento. Le sue pale sacre, sebbene alcune siano di buona qualità, non lo pongono in primo piano; le nature morte sicuramente di sua mano, denotanti squisito senso del colore, sono assai poche; s'ignorano completamente le opere di soggetto mitologico; più importante è la produzione ritrattistica, varia e, in certi casi, di alto livello. Ma ciò che rende il C. artista tra i più singolari del XVIII secolo è la serie di quadri che rappresentano, in chiave realistica e con grande potenza pittorica, tutta una folla di umili e illustrano aspetti della vita quotidiana. Sono dipinti che, se pure certamente non motivati da consapevolezza sociale e politica, descrivono senza indulgenza, molte delle piaghe sociali dell'epoca: il lavoro imposto ai fanciulli (Portaroli) o svolto in locali non igienici (Donne che lavorano), i vecchicostretti a mendicare, il bisogno che induce alla disonestà (Ragazzi che giocano acarte)e così via. Nell'ambito della pittura di genere, molto diffusa nel XVIII secolo, il C. si distingue per la sua sobrietà che non cede mai al pittoresco, specialmente se si mantiene il catalogo in termini rigorosi, senza largheggiare nelle attribuzioni. Non è stata ancora adeguatamente studiata l'influenza del C. sui contemporanei.
Oltre alle opere citate, tra quelle di autografia certa o fortemente probabile, sono da considerare le undici tele della collez. Salvadego a Padernello (in origine per i Fenaroli di Corneto), tutte con soggetti di genere e una firmata: fatte conoscere dal Delogu; i quadri conservati nella Pinacoteca di Brera e assegnati al C. (vedi, nella stessa Pinacoteca, Inventario napoleonico [1808-42], ms., pp. 17 s.): Gamberi su un piatto,Frutta,Ritratto d'uomo,Autoritratto, oltre ai due Portaroli; a Bergamo, Pinacoteca Carrara: Ragazza con ventaglio; a Bogliaco sul Garda, coll. Bettoni Cazzago: Vecchio mendicante e ragazzo con cesta; a Brescia, coll. Brognoli: Mendicante seduto,Uomo col gozzo,Soldato con le grucce,Due ragazzi che giocano suuna cesta; Pinacoteca Tosio Martinengo: I due disgraziati,Autoritratto; racc. Seccamani, Vecchio mendicante seduto; a Castiglione delle Stiviere, già racc. Marini: Il parroco di Breno, 1732; a Desenzano, propr. Pelizzari: Soldati che giocano a carte; a Firenze, Fondazione Longhi: Pellegrino in riposo; a Lovere, coll. Zitti: Ritratto d'uomo con boccale; a Milano, coll. privata: Ragazzo con tinozza; coll. Sciltian: Le due sorelle,Soldati che giocano a carte; Musei civici: Giovane filatrice e uomo con gerla,Giovane pifferaio; Museo Poldi Pezzoli: Ritratto di monaca; racc. Bonzi: Contadino appoggiato alla vanga; a Nigoline di Corte Franca, coll. Monti: Il bravo,Vecchia contadina; a Novate, coll. Testori: La famiglia dei poveri; a Paderno Franciacorta, coll. privata: Portarolo; a Roma, Gall. naz. d'arte antica: Ritratto di giovane; già racc. Morandotti: La colazione dei poveri,Soldato ferito; a Torino, coll. privata: Il mendicante moro; Museo civico: Scena di piazza; a Treviglio, racc. Ferraris: Bambino seduto su una cesta. Per le riproduzioni dei quadri in collez. private si vedano i cataloghi delle mostre del 1935 e 1953.
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