Certificazione
di Maria Alessandra Sandulli
Il termine certificazione, che, pur tradizionalmente utilizzato nell'ordinamento canonico, apparve nel diritto amministrativo sin dal 18° sec., è stato introdotto nell'uso comune soltanto nella prima metà del Novecento, e indica l'attività, esternata in documenti che prendono il nome di certificati con la quale soggetti pubblici o a essi equiparati attestano circostanze di cui abbiano avuto diretta e immediata conoscenza (Arena 1988, p. 46; Sandulli 1989, p. 638). Le c. rientrano pertanto nella categoria degli atti amministrativi non aventi carattere (e forza) di provvedimenti e, più in particolare, in quella degli atti non aventi contenuto di volizione, ma natura e contenuto meramente ricognitivo di situazioni di fatto preesistenti, di cui essi dichiarano - certificano - l'esistenza. A differenza di altri atti ricognitivi, che presuppongono un'attività di apprezzamento del fatto (come le ispezioni e le inchieste), le c. si limitano però a dare atto, al fine di informarne in modo più agevole e certo i terzi, di fatti già accertati e qualificati da un altro atto giuridico. Esse quindi - e in ciò sta il loro tratto distintivo dalle altre dichiarazioni di scienza - non aggiungono e non creano nuove qualità, ma semplicemente attestano quelle esistenti.
L'attività certificativa risponde quindi esclusivamente a un'esigenza di certezza pubblica. Come avvertito dalla dottrina che si è più specificamente occupata dell'argomento, negli attuali ordinamenti, caratterizzati da una sempre maggiore complessità tecnico-giuridica, l'operatore ha un crescente bisogno di certezze sull'esistenza delle realtà in cui si muove e alle quali il sistema normativo collega determinati effetti (per es., il certificato elettorale per votare o quello di residenza per poter circolare con la propria auto in zone a traffico limitato). La produzione di certezze pubbliche è stata di conseguenza definita come una delle funzioni basilari degli ordinamenti statali contemporanei, rispondendo perfettamente al ruolo di garanzia che lo Stato sembra privilegiare (Fioritto 2003, p. 343).
La descritta - concorrente - finalità degli atti certificativi - di garantire l'intrinseca certezza dei dati esternati, partecipandone potenzialmente l'esistenza all'intera collettività - impone che essi provengano da una fonte pubblica (o equiparata) e, come tale, istituzionalmente obiettiva, imparziale e autorevole.
L'ordinamento non definisce la nozione di c., ma il Testo unico della documentazione amministrativa (d.p.r. 28 dic. 2000 nr. 445) definisce il 'certificato' (che, come si è detto, è il documento in cui essa si esterna), come il documento "rilasciato da un'amministrazione pubblica avente funzione di ricognizione, riproduzione e partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche". La definizione rischia peraltro di creare confusione, accrescendo quella unanimemente denunciata derivante dall'uso promiscuo di espressioni (accertamenti, acclaramenti, c., attestazioni, certazioni), corrispondenti a diverse categorie giuridiche. Vengono infatti impropriamente chiamati certificati anche atti che sono invece il risultato di altri procedimenti dichiarativi, quali gli accertamenti e gli acclaramenti (v. oltre), che si distinguono dalle c. in senso stretto.
Come già anticipato, queste ultime si tipizzano invero nella più vasta categoria delle dichiarazioni di scienza (dirette in modo più generale a rendere noto un sapere) per il loro carattere meramente riproduttivo di conoscenze e di dati già acquisiti e qualificati da altri atti giuridici e, come tali, già conservati dall'amministrazione in appositi albi, registri oppure elenchi, ovvero dichiarativo di fatti dei quali il certificante sia venuto a diretta conoscenza (in quanto si tratti di operazioni da lui stesso effettuate o di fatti svoltisi in sua presenza; Sandulli 1989, p. 638).
La riferita, più rigorosa, accezione dell'attività di c. (condivisa dalla giurisprudenza penale) non esaurisce dunque la nozione più ampia di funzione certificatoria, alla quale la dottrina riconduce, accanto alle certificazioni in senso stretto, caratterizzate dall'assoluta assenza di ogni margine di discrezionalità (amministrativa o tecnica) e dal contenuto meramente dichiarativo/riproduttivo di fatti preesistenti a fini di partecipazione, altri atti, aventi, analogamente alle prime, la funzione di creare certezze pubbliche, ma del tutto autonomi da circostanze oggettive preesistenti e privi quindi del suddetto carattere riproduttivo (Stoppani 1960, pp. 795 e segg.).
Le principali categorie di tali procedimenti sono individuate negli acclaramenti, negli accertamenti e nelle certazioni. I primi si caratterizzano per il fatto che tendono a rimuovere una situazione di incertezza sull'esistenza di qualità o modi di essere tecnici (nel senso di propri alle scienze tecniche) di persone o cose. Possono essere semplici, quando si riferiscono a un unico fatto (per es., altezza di un edificio, grado di alcolicità di una bevanda; Sandulli 1989, p. 526) o complessi, quando richiedono un giudizio, espressione di discrezionalità tecnica dato su una pluralità di elementi di fatto: si sostanziano normalmente in perizie (per es., di idoneità di un veicolo a circolare) o consulenze tecniche. Non costituiscono un numerus clausus e possono essere quindi liberamente richiesti da un'amministrazione a un'altra. Assumono grande importanza nel giudizio amministrativo, soprattutto da quando, a seguito della riforma introdotta dalla l. 21 luglio 2000 nr. 205, accanto alle verificazioni, corrispondenti agli acclaramenti semplici, e alle perizie, il legislatore vi ha ammesso, anche nel giudizio di legittimità, la possibilità di disporre consulenze tecniche.
La medesima dottrina definisce invece come accertamenti quei procedimenti che, dopo l'acclaramento, compiono un giudizio valutativo sull'esistenza di una qualità di persone o cose basato però su profili giuridico-amministrativi: l'esempio riportato è quello, classico per le valutazioni tecnico-discrezionali della Pubblica amministrazione, del giudizio di idoneità di un partecipante a un pubblico concorso. Essi creano certezza legale fino a che non siano rimossi (e dunque, a differenza di quelli ricondotti alla categoria degli acclaramenti, non possono essere disattesi) e sono tipici e nominati.
Mentre gli acclaramenti e gli accertamenti sono diretti a far luce, per renderla certa, su una realtà in origine incerta, la finalità delle certazioni è quella di creare una realtà giuridica prima inesistente: gli esempi riportati sono quelli del certificato di sana e robusta costituzione e del certificato di collaudabilità dell'opera pubblica, ma a essi potrebbe analogamente aggiungersi la cosiddetta c. di qualità (v. oltre). Diversamente dalle prime due categorie, esse hanno efficacia costitutiva, creando una qualità giuridica delle persone o delle cose necessaria alla realizzazione di effetti ulteriori. In questo caso, soltanto la dichiarazione dell'avvenuta certazione crea certezza legale, mentre il risultato del giudizio costituisce una mera certezza notiziale o informativa, che, per quanto dotata di autorevolezza (maggiore o minore in relazione a quella di cui gode nel settore il suo autore), ammette in ogni caso la prova contraria: esso quindi è liberamente apprezzabile dal giudice (che è per es., notoriamente, peritus peritorum), valendo come mera presunzione iuris tantum.
Proprio sulla base dell'effetto prodotto, parte della dottrina sembra poi accogliere un'accezione più ampia di c. (Giacchetti 1988, p. 2; Arena 1988, p. 47; Fioritto 2003, p. 136), identificando sostanzialmente la categoria con tutti gli atti (ancorché implicanti valutazioni discrezionali) idonei a creare certezze pubbliche e distinguendo, all'interno di questi ultimi, tra quelli produttivi di certezze legali, cui spetterebbe la qualificazione di certificazioni proprie e quelli produttivi di mere certezze informative o notiziali (definiti come certificazioni improprie). La qualificazione avrebbe (v. oltre) il vantaggio di ricondurre alla categoria delle c. anche la nuova, amplissima, tipologia, delle certificazioni di qualità affidate a soggetti certificatori privati, all'uopo accreditati, a prescindere dal carattere estimativo o meramente dichiarativo/riproduttivo dell'attività da essi svolta.
Indipendentemente dall'effetto probatorio prodotto, che, come è stato giustamente rilevato (Giacchetti 1988, p. 3), riduce la tipizzazione della figura giuridica a un profilo processuale, il criterio più corretto di classificazione sembra tuttavia, ancora, quello che riconosce il proprium delle c. nel fatto di riprodurre dati e conoscenze già acquisiti dall'amministrazione per renderne partecipi i potenziali interessati, escludendone pertanto qualsiasi attività valutativa o estimativa, anche semplicemente tecnica.
Dalla richiamata funzione partecipativa discende che, sotto il profilo formale, le c. devono essere esternate in un documento - atto cartaceo (secondo l'esempio classico del certificato; Giacchetti 1988, p. 5) o marcazione (per es., bollo, sigillo, punzone ecc.) - che risulti idoneo ad attestare in modo duraturo e a far circolare le certezze che esso è preordinato a dare. Esse quindi non possono in alcun caso avere forma orale e devono chiaramente indicare il soggetto certificante, la data della c. e il fatto che, con riferimento a una determinata persona o cosa, si intende certificare.
Più delicato è il profilo della natura - pubblica o privata - del soggetto certificante. Si è già detto che, pur essendo l'attività di c. tradizionalmente concepita come manifestazione del potere sovrano, gli atti certificativi possono essere emanati anche dai privati esercenti pubbliche funzioni (o pubblici servizi): si richiama l'esempio tipico dei notai. Come per qualsiasi c., la competenza deve essere peraltro stabilita dalla legge. Il problema delle cosiddette c. private ha assunto peraltro nuovo interesse e massima attualità con l'ingresso e la diffusione, anche a seguito dell'apertura del mercato unico europeo, nel sistema delle cosiddette c. tecniche e/o di qualità rilasciate da organismi privati, accreditati al fine di offrire certezze in relazione alle caratteristiche di imprese o di prodotti in condizioni di libero mercato: si pensi, per es., alle c. dei soggetti autorizzati al rilascio della firma digitale, o a quella delle imprese che operano nel settore dei lavori pubblici (in termini non dissimili da quanto avviene nel caso di accreditamento diretto, da parte dell'autorità pubblica, delle strutture e dei professionisti che operano all'interno del Servizio sanitario nazionale). Il fenomeno è frutto di una importante trasformazione dello Stato contemporaneo. Nell'attuale realtà giuridico-economica, lo Stato regolatore assume, anche in risposta alle sollecitazioni europee, forme nuove rispetto a quella di mero produttore di regole dirette a disciplinare il mercato e a correggerne le distorsioni, mentre lo Stato-apparato rinuncia alla sua funzione di controllore diretto del rispetto delle regole, per assumere sempre più spesso quello di garante della qualità e delle caratteristiche tecniche di soggetti privati, dotati di specifiche competenze tecniche, ai quali affida al suo posto la funzione di regolazione e di controllo (Fioritto 2003, p. 339). La diffusione delle c. di qualità è peraltro frutto anche di una sempre maggiore esigenza di 'affidamento' e di 'sicurezza', che non va tuttavia confusa con quella cui corrisponde il riferito obbligo/facoltà dell'Amministrazione (o dei soggetti a essa equiparati) di dare 'certezza' sulle circostanze di fatto già acquisite e qualificate nella realtà giuridica, ma si collega piuttosto a quello che viene definito come il problema della 'fiducia', (intesa come predisposizione individuale ad assumere un rischio sulla base di un ragionevole affidamento) meglio soddisfatto da soggetti specializzati (sistemi esperti) nei singoli settori. Ancora una volta, quindi, occorrerà distinguere, all'interno del più ampio genus degli atti tecnicamente definiti come c., tra quelli che, per le loro caratteristiche, corrispondono in concreto alla categoria, come sopra circoscritta, e quelli che, pur finalizzati a creare un 'affidamento' pubblico o addirittura idonei, come nel caso dei certificati di qualità delle imprese rilasciati dalle Società organismi di attestazione (SOA), a produrre 'certezze legali', presentano connotati estranei (per essere frutto di valutazioni tecnico-discrezionali) a tale modello.
Ripercorrendo molto rapidamente, le principali tipologie di c. rilasciate da organismi privati, si osserva che una parte di esse costituisce l'esito dell'accertamento di rispondenza di prodotti o di imprese a determinati requisiti tecnici, così accade per le c. ISO, che, pur senza trovare uno specifico fondamento normativo, attestano la conformità di un prodotto o di un'organizzazione a specifiche norme tecniche formulate, per moltissimi settori produttivi, dall'ente di normazione mondiale ISO (International Organization Standardization) e generalmente recepite dagli enti di normazione nazionale o sovranazionale, come quello europeo; o, per passare a quelle previste dall'ordinamento comunitario, per le varie certificazioni finalizzate al marchio CE o per le diverse specie di certificazioni alimentari; nonché per le più note c. di qualità delle imprese che operano nel settore dei lavori pubblici, affidate ad apposite SOA, sotto la vigilanza dell'autorità dei lavori pubblici, che, per ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, può anche disporne l'annullamento. Altre esprimono un giudizio sulla veridicità dei dati dichiarati dalle imprese: è il caso delle certificazioni dei bilanci, rese dalle apposite società di revisione, a loro volta autorizzate/controllate dalla Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) a garanzia dei terzi investitori. In tutti questi casi, l'attività svolta dal certificatore non si limita alla mera dichiarazione di fatti di cui sia venuto a conoscenza, ma si estrinseca essa stessa in una valutazione: ciò che esclude la possibilità di ricondurla alle c. in senso stretto, nell'accezione qui accolta.
A quest'ultima categoria sembrano invece appartenere le certificazioni di firma digitale (ora disciplinate dal Codice dell'amministrazione digitale approvato con d. legisl. 7 marzo 2005 nr. 82), dirette a garantire l'affidamento pubblico sull'imputabilità delle firme digitali ai soggetti che ne sono titolari e a consentire quindi l'identificazione di chi firma i documenti informatici: in particolare, atteso che le firme digitali sono basate su coppie di chiavi 'asimmetriche', di cui una pubblica e l'altra privata, la c. attesta il carattere pubblico della prima, che rende non disconoscibile il documento sottoscritto e consente a chiunque di verificare l'identità di chi ha apposto la firma. L'attività certificativa prescinde quindi da qualsiasi giudizio, anche di ordine tecnico, limitandosi a dichiarare a fini partecipativi quanto già conosciuto dall'amministrazione che ha fornito la chiave.
La disamina delle suddette certificazioni private ha rilevato come le stesse esulino in realtà ormai tendenzialmente dal potere dispositivo statale, per collegarsi piuttosto a disposizioni sopranazionali oppure addirittura a mere esigenze del mercato, autonome da ogni legittimazione pubblica. Si è così aperta la strada a una distinzione tra le certezze-stabilità, riservate, come è tradizione, dall'apparato pubblico (e dai soggetti da esso deputati) e le nuove certezze-affidamento, intese come mero affidamento sociale nelle qualità di persone e/o beni della vita e legate, invece che all'autorità propria degli organismi pubblici, all'autorevolezza che il soggetto certificante ha acquisito nel libero mercato.
Infine si parlerà delle autocertificazioni, ovvero delle dichiarazioni sostitutive di c. o di atti di notorietà. Introdotte in modo compiuto dalla l. 4 genn. 1968 nr. 15, e generalizzate dal Testo unico sulla documentazione amministrativa approvato con d.p.r. 28 dic. 2000 nr. 445, esse consentono agli interessati di sostituire in modo definitivo e a tutti gli effetti le c. amministrative relative a fatti, stati e qualità personali, con proprie dichiarazioni sottoscritte, che, unitamente all'esibizione del documento di identità (o, se inviate a mezzo posta, fax, o con altro mezzo idoneo, della relativa fotocopia), hanno lo stesso valore dei corrispondenti certificati. La sottoscrizione (che non deve più essere autenticata) può essere apposta anche con la firma digitale o mediante identificazione del sottoscrittore da parte del sistema informatico attraverso l'uso della carta di identità elettronica. L'attendibilità dell'autocertificazione - e la conseguente idoneità ad assolvere le finalità di partecipazione di dati 'certi' - è garantita da appositi sistemi di controllo sulla veridicità delle dichiarazioni, cui corrisponde un rigoroso regime sanzionatorio in caso di falsità delle medesime.
La possibilità di utilizzare le dichiarazioni sostitutive di c. è stata, come si è detto, notevolmente allargata - e pressoché generalizzata, pur conservando un regime di tassatività - dal Testo unico, che afferma, tra l'altro, l'obbligo di un'esplicita previsione normativa per eventuali deroghe all'elenco, mentre l'art. 18, nella l. 7 ag. 1990 nr. 241 conferma il divieto delle amministrazioni di richiedere ai cittadini c. relative a dati che dovrebbero acquisire d'ufficio e comunque di non acquisire, ove previste, le dichiarazioni sostitutive.
Ancora più importante è la possibilità, disciplinata dall'art. 47 del medesimo Testo unico, di utilizzare le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà al fine di comprovare tutti quegli stati, qualità personali e fatti che non risultano compresi tra quelli per i quali è possibile il ricorso alla dichiarazione sostitutiva di dichiarazione, con la sola eccezione di quelli per i quali questa possibilità sia esplicitamente esclusa da una legge. L'autocertificazione può anche avere a oggetto stati, qualità personali e fatti di altri, purché il dichiarante ne abbia conoscenza diretta e personale. Le modalità di redazione e presentazione dell'autodichiarazione, che può essere utilizzata anche per ottenere il duplicato di un documento di riconoscimento smarrito, senza più obbligo di previa denuncia alla polizia, sono disciplinate dall'art. 47, 4° co., nel medesimo Testo unico, il quale dispone che la sottoscrizione può anche non essere autenticata nel caso in cui sia effettuata di fronte al dipendente pubblico o sia stata trasmessa unitamente alla fotocopia di un documento di identità.
Se si considera che il Testo unico indica lo strumento telematico come la modalità preferenziale attraverso la quale le amministrazioni procedenti devono accedere agli archivi di quelle certificanti, si comprende poi l'affermazione che il sistema si muove ormai nettamente verso una progressiva decertificazione, ossia la completa eliminazione dei certificati e delle stesse autocertificazioni attraverso lo scambio di dati tra amministrazioni per via telematica (Fioritto 2003, p. 144).
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