CERQUOZZI, Michelangelo, detto Michelangelo delle Battaglie
Nacque a Roma il 18 febbr. 1602 da Marcello e da Lucia Vassalli, ambedue romani. Fu battezzato nella parrocchia di S. Lorenzo in Lucina. La famiglia, numerosa, doveva godere di buona situazione economica: il padre era un ricco mercante di pellami; un fratello diventò dottore in teologia, quindi cappellano e teologo dell'imperatore; due sorelle, religiose, erano badesse dei loro conventi. Al C. il padre propose di "adattarsi alle lettere per guadagnare il posto di qualche dottorato, o pure prender l'impiego in altro onorato esercizio"; ma il C. scelse la pittura e all'età di dodici entrò nello studio del Cavalier d'Arpino, il quale teneva allora in Roma "il primo luogo del credito, e della riputazione". Ciò secondo il Passeri, per il quale il C. passò nello studio di Jacob de Hase (1575-1634, detto Giacomo Fiammi) alla morte del Cesari. Ciò non è possibile, dato che questi morì nel 1640, cosicché può supporsi che il C. sia stato con il Fiammingo intorno al 1615. Il Baldinucci ignora del tutto l'alunnato presso il Cesari; più di recente l'ordine dei due maestri è stato a volte rovesciato, sicché ad esempio per lo Hess il C. sarebbe stato dapprima con il Fiammingo - tra il '12 e il '15 - quindi con il Cesari. È certo tuttavia che il C. non prese molto dal Cesari, mentre l'arte del Fiammingo lo indirizzò alla pittura di genere. Il Fiammingo dipingeva per lo più battaglie; così fece anche il C., e per le molte tele di piccole dimensioni dipinte con questo soggetto si acquistò già in giovane età il soprannome di Michelangelo delle Battaglie: nome rimastogli poi per secoli.
Di questa prima attività non è rimasto molto. Del resto il Passeri afferma che il C. "seguitava quella traccia con poca aura, e meno beneficio" . Qualche sua rara battaglia (come quella della Gall. naz. d'arte ant. a Roma) ancora esiste, ma non sembrerebbe databile ad anni così giovanili. Sempre secondo il Passeri, però, già in epoca antica il C. si mosse "all'imitazione" del Gobbo dei Carracci, o Gobbo dei Frutti, ponendosi anch'egli "a fare delli frutti" con una maniera "obediente al vero" che non gli procurò né benessere né fama, ché anzi egli soffrì all'inizio "una gran penuria di denaro"; "ma si sosteneva nel comodo di starsene solo con poca spesa, e meno briga". Secondo il Briganti, che ha riaperto il problema del C. pittore di nature morte, rimasto fino ad allora (1954) "un semplice riferimento letterario", il C. ebbe in questo campo "un successo notevole anche se non pari a quello che gli procurarono" le più note, e posteriori, bambocciate: citazioni di sue nature morte sono infatti frequenti negli inventari sei e settecenteschi, e una certa tendenza ad attribuirgli, anche se erroneamente, dei quadri con nature morte è durata da allora fino ad epoca recente. Il Briganti ricollega l'attività del C. in questo periodo al Gobbo dei Carracci e alla cerchia di casa Crescenzi ove, ad opera del Salini e del Crescenzi stesso, si andava creando un tipo di natura morta di tendenza realistica e d'impronta caravaggesca.
Risalendo questo filone - attraverso una citazione del Passeri dove si ricordano quadri del C. con figure a grandezza naturale "accompagnate da frutti, e da paesi" - si possono attribuire al C. opere di notevole formato come la Raccolta delle lumache, un Bacco, un Fanciullo che coglie l'uva, e semplici nature morte, tutte opere in collezioni private, e La raccolta delle melograne ora nel Museo Boymans di Rotterdam (Briganti, 31954; cfr. Bull. Museum Boymans van Beuningen, XVI [1965], pp. 10-13). Neanche queste opere, tuttavia, possono essere datate a un momento preciso, ma vanno scalate lungo tutto l'arco della vita del pittore, cioè tra il '30 e il '60. Questo fatto, oltre a dare la traccia della continuità di tale filone nell'opera del C., permette anche di valutare il significato della sua natura morta, che è per il Briganti una tappa fondamentale nella storia del genere proprio in quanto, movendo da un realismo apertamente caravaggesco, sbocca poi nella libertà barocca della visione "en plein air", facendosi così mediatrice dal caravaggismo al "barocco". Del tutto fuori luogo perciò l'affermazione del Passeri, secondo il quale qui non si vede nelle figure "una stringatezza di disegno, et una esquisitezza d'elezione nell'attitudine, nel panneggiamento, e nel partito del componimento". Ma nel 1625 "uscìfuori quel Pittore Olandese detto il Bamboccio" (Pieter van Laer) e con la sua "Pittura Bernesca più atta a far ridere il volgo" si conquistò molti, e fra gli altri il C. che subito "dietro quella traccia incominciò ad operare delle baronate, in varj accidenti ridicoli; ma di piccole figure e per lo più rusticani di contadini, Osterie, Villanelle, Passeggieri, e simili accidenti con accompagnamento di animali d'ogni genere, paesi, villaggi e cose simili..." eccellendo "nelle curiosità delli capricci, di Vignate, accidenti di villaggi, avenimenti Carnevaleschi, e simili baie, espresse con proprietà di costume, con imitazione del vero, e con escenze simili alle cose rappresentate" (Passeri). Dipinse anche marine, naufragi, tempeste; e si rese "singolare in ogni sorta di lavoro di figure, e grandi e piccole, frutte, fiori, paesi (ne' quali talvolta fu in concorrenza del Rosa), marine, ed in ogni altra cosa" (Baldinucci). In altre parole tentò tutti i campi che si aprivano alla pittura di genere.
Trovata la vena, il che avvenne secondo il Briganti (1954)intorno al 1630, il C. trovò anche gli acquirenti, e da quel momento inizia la diffusione straordinaria della sua opera, ritrovabile ovunque e presso diversi ceti sociali e divenuta ben presto, come osserva il Passeri, quasi moneta corrente di scambio (le sue tele passan "di giorno in giorno, da una all'altra mano, facendosi di quelle bazzarri, contratti, cambi, e diversi negoziati"). Secondo Baldinucci questo successo fu inizialmente dovuto a Domenico Vibla, il quale, di ritorno dalla Spagna, trovò un quadro del C. fatto per l'ambasciatore spagnolo con "un gusto di dipingere così sollevato e nuovo, che nulla più", da spingerlo a ricercarne l'autore, che languiva allora in miseria e in grave stato di infermità, facendogli commissionare altri quadri.
La storia può essere avvalorata dal fatto che D. Viola e il C. divennero amici, tanto che nel 1633 si trovavano a dividere la stessa abitazione in via Capo le Case; il '33 diverrebbe così il momento dei primi successi del Cerquozzi. Il "baroname" di cui parla il Passeri, cioè il genere che va oggi sotto il termine di "bambocciata", rimase la più caratteristica produzione del C., il che convogliò verso il pittore tutte le solite critiche riservate poi per tre secoli agli autori di tali soggetti, i quali secondo la famosa definizione del Bellori riproducevano non il migliore, e nemmeno la realtà com'è, ma il peggiore (non i simili, ma "li peggiori e li più vili"). Il Passeri tratta il C. alla pari di un pittore esoterico, appartenente alla setta di "tutti li fuggitivi dell'altre Assemblee"; egli non aveva "il possesso antecedente di qualche letteratura" quando andò a bottega dal Cesari, né un "buon principio di qualche scienza", sicché pur fornito di talento egli rimase un uomo dai costumi e dalla mentalità rozzi. Infatti rimaneva attaccato al naturale, "non potendo sodisfarsi a bastanza con la imaginazione ideale, e fantastica". "Il suo talento non molto sollevato dal vigore d'una sublime lettura, et inbevuto di massime grandi, con questo mezzo; il fece facilmente applicare a quelle bassezze, et alla viltà di quel costume, e se gli fece geniale una cosa, che forse non gli sarebbe stata, se si fosse trovo sollevato alla nobiltà dell'idee col possesso delle lettere...".
Il fatto è che il C. è uno dei primi, se non il primo, ad introdurre in Italia un tipo di pittura di genere nato nei Paesi Bassi ma contrastante con la tradizione italiana. E questo genere egli tratta con un senso della luce e della verità ambientale decisamente caravaggesco, riunendo così in sé due aspetti ai quali una critica dominata da ideali accademici e classici (e che nasce infatti con il Sacchi e l'Albani) fece poi sempre costante opposizione. Questo, che è stato chiamato dal Longhi "caravaggismo a passo ridotto", è del resto l'elemento alla base del recupero moderno del Cerquozzi. Come già Pieter van Laer, il C. si dà all'esplorazione della vita umile del popolo romano, con i suoi ruderi, con le sue osterie e con le sue liti, "per illustrare un suo semplice teatro degli affetti e degli eventi quotidiani del popolo" (Briganti, catal., 1950). Luoghi di Roma e della Campagna appaiono con frequenza (L'Acqua Acetosa, Roma, Galleria nazionale; L'abbeveratoio, già nella collezione del cardinale Valenti); e gli umili personaggi della vita quotidiana nei suoi aspetti più reali e immediati divengono i veri protagonisti della sua arte (La cardatrice di lana e La fruttivendola, Roma, Galleria naz. d'arte antica; La prigione, Roma, coll. Incisa; La tarantella, Roma, Pinacoteca capitolina).
A confronto con quella del van Laer, con la quale è all'inizio strettamente legata, l'arte del C. si distingue per "una vena più direttamente popolare, più propensa all'illustrazione di un episodio" (Briganti, 1950). Questa tendenza lo porta però con il tempo a sviluppare una visione sempre più autonoma dove le osservazioni sono inquadrate e oggettivate in un'ampia e impegnativa prospettiva scenica, come nella famosa Rivoluzione di Masaniello, tuttora nella Galleria Spada di Roma, dove fu vista e descritta minutamente dal Baldinucci: qui le infinite notazioni, pur tendenti al grottesco e al sarcastico, si uniscono in quello che potrebbe chiamarsi un affresco storico in miniatura, con il mercato, la plebe irata, i ladruncoli, gli animali, il tutto serrato entro la vasta veduta della città che si apre sullo sfondo del Vesuvio. In questo stesso quadro potrebbe forse vedersi la collaborazione tra il C. e V. Codazzi, vedutista bergamasco; una collaborazione che, già ricordata da Baldinucci, Pascoli e De Dominici, è posta dal Briganti (1950) dopo il 1647, ma dal Longhi (1955) anticipata al 1630. Altro specialista col quale il C. collaborò fu un certo Angeluccio, paesaggista seguace del Lorenese: Briganti (1950) ricostituisce un gruppo di opere frutto di questa collaborazione.
Non tutta la produzione del C., del resto, era nell'ambito delle bambocciate. Egli eseguì una lunetta ad olio con un Miracolo di s. Francesco da Paola per il chiostro del convento di S. Andrea delle Fratte ora scomparsa (Hess), che a detta del Passeri, pur non essendo cattiva, non era buona come le altre sue opere, ma che per Baldinucci, essendo stata la prima opera che il C. "facesse in grande, in sua gioventù", era "degnissima d'ogni lode". Questo quadro era secondo il Passeri l'unica opera del pittore visibile in pubblico; però, secondo Baldinucci, il C. "dipinse anche più tavole da altare, che furon mandate nell'Isola di Sardigna, che si vedono in quelle chiese". Altri quadri di soggetto religioso sono citati dal Baldinucci, e alcuni si conservano tuttora in musei e gallerie (Ilfigliol prodigo nelle due versioni della Kunsthalle di Amburgo e della Gall. naz. d'arte ant. di Roma; Adamo ed Eva col cadavere di Abele della Galleria nazionale di Roma; due Storie di Giuseppe, della collezione Incisa di Roma). Una Predicadel Battista esiste ancora oggi nella Gall. naz. d'arte ant. di Roma, ed è forse la stessa citata dal Passeri come fatta per monsignor Salviati: quadro "vago d'avenimenti curiosi, accompagnato da un paese assai buono, e tinto mirabilmente in quel suo gusto più esquisito".
Sembra del resto probabile che, forse in una fase leggermente più avanzata rispetto alle bambocciate, e pur non abbandonando la proporzione minima delle figure, il C. si siaanche dato, come afferma il Passeri, "a fare Istorie in genere nobile, nel quale, l'uso divenuto natura, non poté mai abandonare la inciviltà del vestire, e dell'arie delle teste, e del costume de' personaggi, e non si curava d'uscire dal Campagniolo, con tutti li soggetti di avenimenti sagri overo eroici". Qualche soggetto di origine letteraria è citato anche dal Baldinucci (la Favola di Cimone): il C. vi avrebbe dipinto nudi alla maniera classica. Dell'Erminiafra ipastori esistono a Roma tre versioni (due alla Gall. naz. d'arte ant. e una nella collezione Incisa), mentre una quarta esisteva nella collezione Costaguti. Lo stesso famoso Bagno della collezione Incisa, al quale collaborò per l'architettura V. Codazzi, mostra la tendenza a ricatturare un certo senso di grandiosità classica, e nello stile un fare più sontuoso e meno popolaresco. Il C. fu amicissimo di G. Brandi, col quale per qualche tempo convisse; comperò una Casa a Trinità de' Monti, dove visse e tenne studio fino alla morte, avvenuta nell'aprile del 1660, dopo sei mesi di malattia. Stese un testamento il 29 marzo 1660, aggiungendovi un codicillo il 3 del mese seguente (Bertolotti, 1886).
Ebbe qualche seguace: Francesco Corti, "ottimo imitatore del maestro" (Baldinucci) specialmente nei quadri di frutta, e Bonaventura Giovannelli, entrambi romani.
Il carattere del C. è tratteggiato dal Passeri, come quello di un sempliciotto, e gli episodi che corredano la sua vita tendono a presentarlo in luce ridicola. Era il C. "di presenza non disdicevole, e di volto grato nelle sembianze, di pelo castagno, d'occhi vivaci, e brillanti: uso di tingersi del continuo la barba, e li capelli per occultare la calvizia, semplicità da donnicciole imprudenti...". Era di una semplicità che confinava con la follia; era un plebeo; era avarissimo, vendendo grande quantità di quadri e accumulando tanto denaro da perderne i sonni. "Dipingeva assiduamente", e "stava attaccato al guadagno" sì che "la struttura del suo vivere andava a proverbio". "Ancorché avaro per altro, nel vestirsi si trattò sempre civilmente, ma con moderatezza proporzionata ad uno stato conveniente: nel discorso fu assai popolare, e sfarzoso, valendosi delle voci più comuni della plebe, e l'articolava con accenti li più innetti praticati dagli sgherrani. Le sue conversazioni erano scarse, e poco frequenti: né si curò d'amogliarsi benché solo, e privo d'ogni comodità... La mattina mangiava alla disdossa senza apparecchio di menza, e la sera se ne andava a Casa d'una sua Comare, et ivi si ristorava con alcuna vivanda di cucina manipulata da quella Donna, che gli servì per continuo governo in tutte le sue bisogne, di vitto, e di biancarie. Hebbe sempre buona sanità, come uomo non disordinato...".
Questo il ritratto del Passeri, il cui tono irridente procede da un preconcetto di natura ideale, per un pragmatismo di stampo ancora vasariano. Il Baldinucci invece lo descrisse dotato "d'una memoria rarissima, aggiunta ad una sì chiara e sì forte fantasia, che con grandissima facilità esprimeva in pittura, ciò ch'e' s'era trovato a vedere anche per molti e molti anni avanti". Di bell'aspetto, avvenente, allegro, "faceto nelle conversazioni", "di onoratissimi costumi, e fedelissimo in ogni suo affare"; "ne' prezzi fu modestissimo", e "non volle gara con altri pittori". Tali ottime qualità, e "l'avvenenza del suo tratto cortese... fecero sì, che non fu... Cardinale, Prelato o altro Principe in Roma, che la sua stanza non frequentasse molto alla domenica", e fra questi in special modo monsignor Salviati. Così "ogni altro, che veniva in quella città, o Principi, o grandi intendenti nelle nostre arti, i quali godevano non solo di conoscerlo, ma di starsi con lui per grand'ore...". Il duca di Savoia "procurò di averlo a sé ... ma non poté riuscirgli, perché Michelangelo non volle mai abbandonare il cielo di Roma e gli amici, che furono molti". Altri contemporanei, e i posteri, mantennero verso il C. un atteggiamento ambivalente. Come s'è visto i teorici spregiano il suo stile mentre i collezionisti si disputano i suoi quadri; gli uni, spalleggiati dai maggiori pittori del momento, parlano in nome dell'ideale classico, gli altri non discutono ma accettano il genere e acquistano, sì che le opere "fatte di sua mano adornano le più nobili gallerie d'Italia e fuori, le chiese, i monasteri e le case eziandio di particolari persone" (Baldinucci). Al tempo in cui scriveva il Baldinucci alla fine del secolo esistevano infatti quadri del C. nelle gallerie dei Chigi (grandi tele con battaglie), dei Salviati (Le stagioni; Predica di s. Giovanni nel deserto),dei Carandini (battaglie, storie di s. Giovanni, marine e "molte belle mascherate ed apparati di commedie"), degli Spada, dei Corsini (matrimoni di contadini, cacce, soldati), dei Teodoli (nature morte) e in molte delle altre maggiori collezioni del tempo. Dopo secoli di velato disprezzo la critica degli ultimi due decenni è tornata finalmente sui suoi passi restituendo al C. i meriti ideali di una fama guadagnata sul campo, dando ragione ai molti ammiratori d'ogni tempo.
Fonti e Bibl.: Oltre allabibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, pp. 297s., vedi anche:A. Bertolotti, Le ultime volontà di M. delle Battaglie, in Arte e storia, V (1886), p. 22; V. Golzio, Documenti artistici sul Seicento nell'Archivio Chigi, Roma 1939, p. 152; K. Noehles, La chiesa di S. Luca e Martina..., Roma 1969, doc. 47; J. Garms, Quellen aus dem Arch. Doria-Pamphili..., Rom-Wien 1972, pp. 332, 334; G. B. Passeri, Le vite, a cura di J. Hess, Leipzig-Wien1934, ad Indicem; F.Borroni Salvadori, Le esposizioni…, Firenze 1974, pp. 21, 75, n. 362(opere esposte nel 1715; Id;? L'esposizione di opere d'arte del 1674…, in Mitteil. des Kunsthist. Institut in Florenz, XXII(1978), p. 366; B. De Dominici, Vide de' pittori...,III, Napoli 1763, p. 203; F. Baldinucci, Notizie dei professori..., a cura di P. Barocchi, cfr. Indice, a cura di A. Boschetto,Firenze 1975; L.Pascoli, Vite..., I, Roma, 1730, pp. 31-37, 132; M. Chiarini, I quadri della collezione del Principe Ferdinando di Toscana, in Paragone, XXVI (1975), 301, pp. 63-65, 84; 303, p. 95; 305, p. 78; M. L. Strocchi, Il Gabinetto d'"opere in piccolo" del Gran Principe Ferdinando..., ibid.,309, p. 122; XXVII (1976), 311, p. 92; G. J. Hoogewerff, Pieter van Laer en sijn vrienden, in Oud Holland, L (1933), pp. 256s.; G. Briganti, Pieter van Laer e M. C., in Proporzioni, III(1950), pp. 183-198; Id., I Bamboccianti…(catal.), Roma 1950, ad Indicem; Mostra del Caravaggio... (catal.), Firenze 1951, ad Indicem; G. Briganti, M. C. pittore di nature morte, in Paragone, V (1954), 53, pp. 47-52; H. Voss, Ein unbekanntes Hauptwerk von M. C., in Kunstchronik, VII 1954), pp. 151 s.; N. di Carpegna, Caravaggio e i caravaggeschi (catal.), Roma 1955, ad Indicem; R. Longhi, V. Codazzi e l'invenz. della veduta realistica, Paragone, VI (1955), 71, pp. 40-47; The Connoisseur, CXXXIV (1955), 542, p. 134; Illustrated London News, CCXXVI (1955), p. 1023; N. di Carpegna, Paesisti e vedutisti a Roma nel '600 e nel '700 (catal.),Roma 1956, ad Indicem; E. Brunetti, Some unpublished works by Codazzi, figures added by C., in The Burlington Magazine, C (1958), pp. 311-15; O. Marini, Un'opera inedita di V. Codazzi e M. C., in Paragone, X (1959), 113, pp. 43 s.; R. Longhi, Codazzi e l'antologia, ibid., XI (1960), 123, pp. 41-44; Id., F. Baldinucci sul Codazzi e sul C., ibid., pp. 47-50; I. Faldi, in La natura morta ital. (catal.),Milano 1964, ad Indicem; L. Salerno, Pal. Rondinini, Roma 1964, pp. 297, 300 s.; A. E. Pérez - Sánchez, Pintura ital. dels. XVII en España, Madrid 1965, ad Indicem; F. Haskell, Mecenati e pittori..., Firenze 1966, adIndicem; Minneapolis Institute Bull., LV (1966), p. 76; J. Gamer, Königin Christine auf dem Wegnach S. Paolo fuori le Mura, in Pantheon, XXV (1967) pp. 224-26; A. Moir, The Ital. followersof Caravaggio, Cambridge, Mass., 1967, ad Indicem; E. Borea, Caravaggio e caravaggeschi nelleGallerie di Firenze (catal.),Firenze 1970, ad Indicem; A. Binion, From Schulenburg's gallery andrecords, in The Burlington Magazine, CXII (1970), pp. 302 s.; A. E. PérezSánchez, Pintura ital. del s. XVII en España (catal.),Madrid 1970, pp. 185 ss.; W. Prinz, Die Samml. der Selbstbildnisse in den Uffizien, I, Berlin 1971, pp. 83, 140, 174 s.; La Galleria dell'Accad. di Belle Arti inNapoli, Napoli 1971, p. 106, figg. 2 a.; A. Neerman, Ital. old master drawings from the Sixteenthto the Eighteenth cent., London s. d. (ma 1971),p. 26; R. Spear, Renaiss. and baroque paintingsfrom the Sciarra and Fiano coll.s,Roma, 1972, pp. 48 a.; R. Lefevre, Palazzo Chigi, Roma1972, p. 216; La Pinacoteca civica di Savona (catal.),Savona1915, pp. 158s. e tav. 273; F. Zeri, Nota a T. Salini, in Diari di lavoro, II, Torino 1976, p. 107 s.; E. Brunetti, Scrittid'arte (1950-1970), Urbino 1976, pp. 46 n. 1, 49, 55-61, 66 n., 75, 17 s., figg. 16-20, 23, 27a, 28; The origins of the Italian veduta, (catal.), Providence, R. I. 1976, n. 38.