cero
. L'unica presenza del vocabolo, in Pd X 115, ha senso traslato. E riferito a Dionigi l'Areopagita, chiamato cero, cioè luminare della Chiesa, convertito da s. Paolo al cristianesimo, poi primo vescovo di Atene e martire (cfr. Act. Ap. 17, 34), che s. Tommaso indica a D. come sesto della prima corona di dodici beati incontrati nel cielo del Sole fra gli spiriti sapienti: Appresso vedi il lume di quel cero [" cioè di quello splendore, che arde come un cero ", Buti] / che giù in carne [" durante la corporea vita terrena "] più a dentro vide / l'angelica natura e 'l ministero, " conobbe e spiegò meglio d'ogn'altro la natura e l'ufficio degli angeli " (Scartazzini). D. gli attribuisce tale merito in quanto erroneamente lo crede autore della celebre opera De Coelesti hierarchia (cfr. Ep XIII 60 Quod satis aperte tangere videtur Dionysius de Coelesti Hierarchia loquens: cfr. Pd XXVIII 130-132).