CERCOPI (Κέρκωπες, da κέρκος "coda")
Specie di folletti, sulla cui natura vagabonda e brigantesca si ha già un cenno in un poema comico attribuito a Omero (Suda, s. v. Κέρκωπες).
Ritorna in varî autori la menzione delle loro avventure ladresche, localizzate in luoghi assai varî, da Ecalia ad Efeso, al paese dei Liguri, alle isole Pitecuse, ma il maggior pso ha la citazione in Erodoto (vii, 126) di una "pietra del Melampygos" e delle "sedi dei C.", presso le Termopili. Questo passo testimonia anche l'accostamento, avvenuto nel mito, fra Eracle e i C., ridotti al numero di due, accostamento di cui è incerto se considerare causa o conseguenza il motto proverbiale "ἤ τευ μελαμπύγου τύχῃς" che si trova già in Archiloco (Fragm., 110). È esso infatti al centro del mito. Comunque l'antichità del collegamento dell'eroe con i due furfanti è testimoniata, come si vedrà, anche dalla documentazione figurativa. La narrazione completa del mito, invece, è assai tarda (Nonn., Narr. ad Gregor., Westermann, Mythogr., 375).
Il mito narra che i due C. Olo ed Euribato, nome quest'ultimo proverbialmente attribuito a furfanti, vagabondi e bricconi, furono ammoniti dalla madre, l'oceanina Theia (var. Mnemosine, Cercope) a guardarsi dal Melampygos (μέλας, nero; πυγή, natica). Nei loro furfanteschi vagabondaggi i due fratelli si imbatterono in Eracle, sdraiato sotto un albero, e gli rubarono la clava. L'eroe, accortosene, li afferrò e li legò per i piedi a un palo che si caricò sulle spalle. Da questa incomoda posizione essi riconobbero in lui il Melampygos, e, ricordando l'avvertimento materno, espressero il loro disappunto e i loro commenti sulla parte del corpo gigantesco di Eracle, che essi avevano sotto gli occhi, con motti così divertenti che l'eroe li lasciò liberi. Secondo altre fonti però Eracle indignato li avrebbe puniti ponendoli al servizio di Onfale, oppure li avrebbe sfracellati contro la terra; per altre ancora, avendo essi tentato di ingannare Zeus, furono dal dio trasformati in scimmie (versione che si collega con la localizzazione dell'episodio alle Pitecuse) o addirittura pietrificati.
La documentazione monumentale si limita a rappresentare il momento culminante dell'episodio, in cui domina la figura di Eracle, che porta appesi per i piedi i C., in modo che l'uno di essi si trovi con la testa all'altezza delle sue natiche e possa comunicare all'altro la constatazione fatta.
Questa scena comincia ad apparire col sec. VI a. C. su due pìnakes, una coppa e una lamina di bronzo corinzî, che esibiscono Eracle che cammina verso destra portando i C., di dimensioni ridotte rispetto all'eroe e con le braccia parallele al corpo; soltanto nella lamina i due ladruncoli appaiono di dimensioni normali e con le braccia penzoloni ai lati della testa. In tutte queste raffigurazioni l'eroe, che è privo dei suoi attributi abituali, ha dalle figure dei C. un nuovo contrassegno di identificazione. Sempre nel sec. VI abbiamo due famose rappresentazioni plastiche della stessa scena nelle metope del Thesauros del Sele e del tempio C di Selinunte, in cui i C. hanno dimensioni normali, ma, mentre nella prima capelli e braccia sono perfettamente composti ed aderenti, nella seconda le grosse masse delle chiome pendono dalle teste capovolte e le braccia, piegate a gomito e legate, hanno pure una qualche verisimiglianza di atteggiamento.
Nella ceramica attica a figure nere, compresa fra la seconda metà del VI e l'inizio del V sec. a. C., ricordiamo: un'anfora da Vulci, una òlpe di Bruxelles, una lèkythos da Gela, un'altra da Agrigento, in cui i C. sono rappresentati a dimensioni normali, e un'anfora del museo di Boulogne, una da Vulci, un frammento di Gottinga, una lèkythos di Palermo, un anforisco della Coll. Campana, in cui le dimensioni dei due appaiono invece notevolmente ridotte; la disposizione dei capelli e delle braccia ora resta legata allo schema che li presenta aderenti, ora cerca di adeguarsi alla legge di gravità. In questo gruppo di ceramiche a figure nere Eracle appare sempre fornito dei suoi attributi tradizionali.
Alla ceramica di stile severo appartiene l'unico esemplare a figure rosse esibente questo mito: un cratere di Monaco, in cui è ripetuta l'identica scena dei monumenti precedenti, che riappare poi ancora in una corniola, datata al IV secolo a. C. Eracle porta invece i due C. chiusi in un cesto, a Euristeo, nella rappresentazione di un'anfora italiota, già a Catania, ispirata da una delle numerose versioni del mito diffuse dalla commedia e dal dramma fliacico.
La Zancani, che, a proposito della metopa del Sele, presenta una completa documentazione monumentale e bibliografica della leggenda dei C., suggerisce che tutte queste raffigurazioni dipendano da una prima interpretazione del mito, realizzata in ambiente corinzio, che creò lo schema di Eracle che porta appesi ad un palo i frutti delle sue fatiche, schema sfruttato poi anche per altri episodi; ma esso appare legato, più che ad ogni altra, all'avventura dei C., in quanto solo questa posizione dei due furfantelli poteva rispecchiare con evidenza il momento che caratterizza salacemente il loro incontro con il Melampygos.
Monumenti considerati. - Per l'elenco completo dei monumenti, la loro riproduzione e la relativa bibliografia si veda: P. Zancani Montuoro-U. Zanotti Bianco, L'Heraion alla foce del Sele, ii, Roma 1954, p. 185 ss. Pìnakes corinzî: A. Furtwängler, Vasensammlung im Antiquarium, Berlino 1885, i, p. 79, nn. 766 e 767; G. Perrot-Ch. Chipiez, Histoire de l'art, ix, fig. 112; P. Zancani, op. cit., fig. 36; coppa corinzia: P. Zancani, op. cit., p. 190, nota 3; lamina da Olimpia: E. Kunze, Neue Meisterwerke griechischer Kunst aus Olimpia, 1948, p. 22, tav. 45; metopa del Sele: P. Zancani, op. cit., p. 185 ss., fig., 35 e tavv. xxxv e lxix-lxxi; metopa di Selinunte: H. Kähler, Das griechische Metopenbild, Monaco 1949, tav. 26; anfora da Vulci, ora al Museo Arch. Naz. di Madrid: C. V. A., iii, He, tavv. 17, 2; 19, 1; òlpe di Bruxelles, Museo del Cinquantenario: C. V. A., iii, Ja, tav. 1, n. 12; P. Zancani, op. cit., fig. 41; lèkythos da Gela, all'Ashmolean Museum di Oxford: P. Gardner, Cat. of Greek Vases in the Ashmolean Museum, Oxford 1897, p. 17, tav. 8; lèkythos da Agrigento: P. Zancani, op. cit., fig. 44; anfora del museo di Boulogne: P. Zancani, op. cit., fig. 39; anfora da Vulci, ora al Museo Arch. di Firenze: C. Albizzati, Due nuovi acquisti del Museo Gregoriano Etrusco, ed. Musei Vaticani, 1929, fig. 8; frammento di Gottinga: P. Jacobstahl, Göttinger Vasen, Berlino 1912, n. 15, fig. 17; lèkythos del Museo Naz. di Palermo: P. Zancani, op. cit., fig. 43; anforisco della Coll. Campana: P. Zancani, op. cit., fig. 45; cratere di Monaco n. 2382: P. Zancani, op. cit., fig. 46; corniola di Copenaghen: A. Furtwängler, Gemmen, tav. xix, 13; anfora italiota: G. Libertini, Il Museo Biscari, Milano-Roma 1939, tav. lxxxiii.
Bibl.: Seeliger, in Roscher, II, i, c. 1170 ss.; Adler, in Pauly-Wissowa XI, 1921, c. 309 ss.; C. Robert, Griechische Heldensage, II, Berlino 1921, p. 504 ss.; F. Brommer, Vasenlisten zur griechischen Heldensage, Marburg-Lahn 1956, p. 56 ss.