Ceramica
Sullo scorcio del sec. XII si assiste in Italia a un radicale rinnovamento delle tecnologie ceramiche per il vasellame da mensa. Vengono introdotti infatti due nuovi metodi di rivestimento a doppia cottura: con ingobbio e vetrina piombifera o con smalto stannifero. Le ceramiche invetriate possono essere decorate a sgraffito, ravvivato da ritocchi dipinti in giallo e verde, oppure possono presentare una decorazione dipinta in due colori (giallo ferraccia e verde ramina), ampiamente diffusa nell'Italia centromeridionale. Già nell'ultimo quarto del sec. XII compare la prima ceramica invetriata graffita, prodotta in Liguria, a Savona, e detta ceramica graffita tirrenica (GAT); nel sec. XIII la graffita è prodotta anche nella Pianura Padana, dove conoscerà lungo sviluppo e ampio successo. Le ceramiche invetriate dipinte bicrome hanno un ruolo notevole nel contesto delle ceramiche in uso nell'età federiciana e conoscono esiti diversi nelle varie regioni dell'Italia centromeridionale e in Sicilia.
La novità più saliente e caratterizzante l'età federiciana è costituita tuttavia dall'introduzione della ceramica rivestita con smalto stannifero, che ha un processo produttivo distinto in due fasi. Il vaso foggiato al tornio viene sottoposto a una prima cottura e si ottiene il biscotto; questo viene ricoperto da una miscela acquosa costituita da ossido di stagno e ossido di piombo calcinati e da sabbia quarzifera, finemente macinati. Questa miscela viene assorbita dalla superficie porosa del biscotto, formando una leggera pellicola, sulla quale il vasaio dipinge la decorazione. I colori sono ottenuti dalla macinazione di ossidi di minerali di manganese, di ferro, di rame e di cobalto, dai quali si ottengono rispettivamente i colori nero-viola, giallo, verde e blu-azzurro. Il vaso viene quindi sottoposto a una seconda cottura, dopo la quale la decorazione risulta nitida, su un fondo bianco, lucente e impermeabile.
Questa tecnologia appare prioritariamente a Pisa e in Puglia, cioè in due aree aperte a contatti transmarini. Pur essendo quasi contemporanee, la produzione pisana e quella pugliese si distinguono per caratteri sia morfologici che decorativi, per cui sono contraddistinte da due diverse denominazioni, rispettivamente 'maiolica arcaica' e 'protomaiolica'. La maiolica arcaica presenta sia forme aperte che forme chiuse ed è decorata in bruno e verde. L'area di produzione è centrosettentrionale e il centro più precoce è Pisa, dove compare nel 1210-1230.
La protomaiolica caratterizza invece l'Italia meridionale e la Sicilia in età federiciana. Le ricerche sulla protomaiolica iniziarono negli anni Trenta del sec. XX con i grandi scavi nel Mediterraneo orientale. Comparsa dapprima nel castello di ῾Atlāt, fu riconosciuta da Arthur Lane ad al-Mīna e quindi, in quantità notevole, a Corinto e Charles H. Morgan (1942) ne diede una classificazione rimasta a lungo basilare. Gaetano Ballardini ne ipotizzò la provenienza dall'Italia, confermata in seguito. Gli scavi di Brindisi e di altri centri pugliesi hanno rivelato come la Puglia fosse la zona di produzione più precoce e più feconda.
Sin dagli inizi la cronologia della protomaiolica apparve ben circoscritta, in quanto giaciture stratigrafiche, connessioni numismatiche e circostanze storiche ne assicuravano la presenza nel corso del sec. XIII nei siti del Levante. Lo scavo nell'area di S. Pietro degli Schiavoni a Brindisi ha circostanziato la cronologia della produzione locale alla prima metà del secolo per l'associazione con monete datate dal 1209 al 1244-1246.
I vasi in protomaiolica erano un prodotto di lusso, costoso per la copertura a base di stagno, che infatti nelle forme aperte era stesa soltanto all'interno, mentre l'esterno era lasciato nudo. Il tipo di argilla, le forme vascolari, i colori variamente accoppiati e alcuni elementi stilistici ci consentono di individuare le principali aree di produzione della protomaiolica, che sono la Puglia, la Sicilia e infine la Campania, dove sembra tardiva ed estranea all'età federiciana. In ogni area operarono più centri di produzione, la cui individuazione resta ancora incerta per la scarsità di scarti di lavorazione finora noti. Solo per la produzione pugliese abbiamo un'ampia serie di dati per cui possiamo prospettare un bilancio circostanziato.
In Puglia si individuano due aree di produzione, nel Tavoliere e nel Salento; centri principali appaiono rispettivamente Lucera e Brindisi. Per quanto riguarda Lucera, non abbiamo sicuri contesti di scavo. Ne provengono tuttavia splendidi esemplari, rinvenuti durante i lavori di restauro del castello. I vasi sono realizzati in una fine argilla avana e sono dipinti in nero, verde e giallo; eccezionale è la presenza del blu. Ricca la serie delle forme aperte, tra cui è frequente la ciotola a bassa carena e su piede ad anello, spesso con due fori di sospensione. Non mancano i piatti con labbro aggettante inclinato verso l'interno. Rare le forme chiuse: peculiare è il boccale a larga base piana, corpo conico e lungo collo, una forma di origine araba che ben si spiega in questa colonia saracena fondata da Federico II. La decorazione comprende tematiche assai varie: guerrieri, esseri fantastici (arpia) e animali (cerbiatto, uccello, pesce). Più vasto e frequente è il repertorio di carattere vegetale con tipici grandi mazzi di fiori, foglie e boccioli centripeti; vasto il repertorio geometrico. La produzione lucerina è posteriore all'impianto della colonia, dedotta nel 1224 con saraceni trasferiti dall'Agrigentino: inizia nel secondo quarto del sec. XIII e continua in epoca angioina fino alla distruzione della città (1300). Altri centri del Tavoliere, anche piccoli, producevano protomaiolica, come Torrione del Casone e Fiorentino, la cui produzione presenta molte assonanze con Lucera. Dal Tavoliere è presumibile che la protomaiolica si sia diffusa nel Molise, dove si individua anche una produzione locale. In maniera limitata raggiunse anche la Morea Franca e il Levante.
Brindisi ha dato il più ricco complesso di protomaiolica di produzione locale finora noto in Italia; presenta argilla molto fine, color crema; è decorata in nero, giallo e blu. Prevale la ciotola con piede ad anello, corpo emisferico e bocca a orlo modanato; non mancano ciotole a bassa carena e piatti a larga tesa. Le forme chiuse sono rarissime: il boccale si caratterizza per un lungo collo svasato e breve corpo globulare su basso piede a disco. Nel repertorio decorativo è tipico il motivo del cerchio campito a reticolo, che occupa il fondo interno delle forme aperte; è noto in cinque varianti, distinte dai diversi motivi complementari che vi si di-spongono attorno. Tipici sono anche altri motivi geometrici, come i cerchi crociati tangenti fra loro con brandelli di arabeschi neri interposti e i reticoli contenenti nelle maglie punti in colore contrastante. Rari i motivi vegetali a semplici foglie radiali e quelli zoomorfi (pesce, leone); eccezionali la nave e la figura umana. A Brindisi la protomaiolica venne in uso nei primissimi anni del sec. XIII e restò in voga per tutta la prima metà del secolo; mentre nella seconda metà divenne più sciatta e corsiva, tendenzialmente monocroma; incerto il limite cronologico inferiore. In Italia venne esportata limitatamente, sia sulle coste adriatiche che su quelle tirreniche. In particolare, dal castello federiciano di Oria provengono frammenti di alta qualità, come quello con un rapace dipinto in nero e blu, forse il falcone della caccia imperiale; la raffinata esecuzione conferma che nelle residenze dell'imperatore il vasellame era di qualità superiore, tanto che è lecito supporne una produzione specifica. La protomaiolica di Brindisi si diffuse soprattutto nel Levante: Epiro, coste della Morea Franca, al-Mīna (e Hama), coste del Regno latino di Gerusalemme. Ma la maggior parte proviene da Corinto (gruppi I e III di Morgan), dove è presente soprattutto nella seconda metà del secolo, e fu importata da Brindisi, come hanno confermato le analisi delle argille. Il ricco contesto di Corinto ci consente di integrare le nostre conoscenze, sia per le forme che per i motivi (cervo, cinghiale, grifo, ecc.). La prolungata presenza di Federico II a Brindisi dal 1225 in poi spiega come questa ceramica costosa, nuova e di pregio abbia trovato qui una fioritura di alto livello, mentre l'importanza del porto, testa di ponte dei crociati, ne spiega la diffusione nel Levante.
In Sicilia la produzione di protomaiolica dovette interessare diversi centri, tra cui Siracusa, Caltagirone ed Enna. Il tipo più noto, detto 'Gela ware' dal principale luogo di ritrovamento, è caratterizzato da argilla rossa. La forma preferita è la scodella con larga tesa inclinata all'interno e basso piede ad anello. La decorazione è dipinta in nero, giallo e verde. I motivi sono zoomorfi, vegetali e geometrici. Caratteristici un pesante uccello senza zampe (con collare a più giri e rozzo piumaggio a semicerchi puntati), un grosso pesce con squame ravvivate da punti gialli e verdi; fiori polilobati, spesso campiti a reticolo. Vere sigle stilistiche si riconoscono nella decorazione accessoria, come la serie di archetti intrecciati, con grossi punti gialli e verdi intercalati, che corrono sulle tese delle scodelle, e una specie di grande occhio, circondato da punti, che riempie il campo sopra e sotto l'uccello o il pesce. La protomaiolica di Gela era poco costosa ed ebbe successo commerciale in Sicilia; circolò anche lungo le coste tirreniche fino alla Liguria, mentre scarsissima è la sua presenza nell'Adriatico e nel Levante. Questa produzione grossolana e vivace è di cronologia incerta. L'attuale città di Gela fu fondata da Federico II con il nome di Eraclea intorno al 1233 e pertanto la produzione non dovrebbe essere iniziata prima di questa data; ma un bacino di 'Gela ware' fu murato a Pisa sulla chiesa di S. Cecilia (1210-1230). È probabile dunque che questa produzione non provenisse da Gela, ma dalla vicina Caltagirone, dove abbiamo scarti di fornace. Incerte ne sono anche le origini. È possibile una connessione con le esperienze ceramiche coeve della Liguria e in particolare di Savona, dove accanto alla graffita (GAT) si produceva ceramica a smalto stannifero, affine alla protomaiolica e documentata già nel primo quarto del sec. XIII. Poiché Caltagirone era una fondazione ligure ed esistono connessioni tra la GAT e la 'Gela ware', non è da escludere che questa ne derivi.
Dopo la vivace fase policroma, ricca di motivi figurativi, vegetali e geometrici, dell'età federiciana, si assiste a una involuzione della protomaiolica, che diventa sostanzialmente monocroma, dipinta in nero e limitata nei soggetti, tra i quali dall'età angioina all'aragonese prevale lo scudo araldico.
Il problema delle origini della protomaiolica resta aperto. Più probabile è il legame con la ceramica 'a cobalto e manganese' del Magreb tunisino, a smalto stannifero, che venne esportata e imitata in Sicilia, giungendo dall'ultimo quarto del sec. XII anche nell'Italia tirrenica. Questa produzione ha strette affinità con la protomaiolica, in particolare di Brindisi, sia per i colori che per il tondo a reticolo.
Dall'Italia meridionale e dalla Sicilia la protomaiolica fu diffusa dai vettori commerciali di Pisa, Genova e Venezia, ma restò un prodotto esotico, tanto da essere esibita sulle facciate delle chiese, in particolare in territorio pisano. La diffusione resta legata ai porti dove facevano scalo le navi italiane. È dunque verosimile che la protomaiolica sia stata esportata per soddisfare la richiesta degli occidentali che risiedevano nella Morea e nel Regno latino di Gerusalemme; addirittura non è da escludere che sia arrivata nel Levante nel bagaglio dei crociati e dei pellegrini. Non divenne mai una voce commerciale con rilevanza autonoma, né riuscì a imporsi nei mercati del mondo islamico e bizantino. La caduta di S. Giovanni d'Acri e l'abbandono di ῾Atlāt nel 1291 ne segnarono la scomparsa definitiva dal Levante.
fonti e bibliografia
C.H. Morgan, Corinth, XI, The Byzantine Pottery, Cambridge 1942.
S. Patitucci, La ceramica medievale pugliese, Mesagne 1977.
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S. Patitucci, La protomaiolica del Mediterraneo orientale, in XXXII Corso di cultura sull'Arte Ravennate e Bizantina, Ravenna 1985, pp. 337-402.
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S. Patitucci, La protomaiolica: un nuovo bilancio, in La protomaiolica: bilancio e aggiornamenti, a cura di Ead., Firenze 1997, pp. 9-62.
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