VROULIÀ, Ceramica di
Allo "stile di V." appartiene una classe di vasi arcaici caratterizzata dalla decorazione incisa sulla vernice scura del fondo. Ad eccezione di pochi frammenti rinvenuti a Naukratis, Tell ed-Dāfannah e Berezan, tutti gli esemplari noti provengono da varie località dell'isola di Rodi, in cui si identifica il centro di produzione; ai trovamenti di Lindos e di Vroulià (che ha dato il nome a questo stile) si è poi aggiunto copioso materiale dalle necropoli di Camiro e di Ialiso.
Le coppe formano il gruppo più numeroso della classe; per la forma e la distribuzione degli elementi decorativi derivano direttamente dalle coppe tardo-geometriche di cui conservano talvolta, anche dopo l'affermarsi della nuova tecnica ad incisione, la fascia risparmiata tra le anse decorata con trattini verticali intercalati da triangoli opposti al vertice (gruppo B 1 del Kinch). Hanno un profilo slanciato e piuttosto teso; il basso labbro si imposta in ritiro rispetto al ventre, svasandosi leggermente, il piede è conico con le pareti appena convesse. L'argilla, finissima, varia dal giallo al rosso-bruno, e assume tavolta una caratteristica colorazione grigio-azzurra; riveste il vaso una vernice brillante tra bruno scuro e nero. La decorazione incisa, con ritocchi in rosso (il bianco è assente) ricopre le due facce della coppa. Il repertorio ornamentale non è ricco, ma compone con notevole sicurezza alcuni motivi fondamentali, tra i quali predomina la palmetta inclusa, accompagnata o alternata a palmette semplici, fiori di loto, boccioli. Una stella o un rosone occupa il fondo della coppa; sull'orlo, all'esterno, è comune la decorazione a denti di lupo e, nella zona tra le anse, quando non sia risparmiata, corre una treccia, una fascia a denti di lupo o a spina di pesce.
È dubbio se i vasi di V. provengano da un solo o più centri di fabbricazione. Il Kinch interpretò come marchi di officine diverse alcuni ornamenti che compaiono sotto il piede delle coppe (una ruota, due cerchi concentrici, una spirale); ma la produzione è omogenea, le caratteristiche tecniche dell'argilla e della vernice non mostrano varianti, sì che, al massimo, si potrà pensare a un gruppo di botteghe operanti in una stessa località.
Negli esemplari fino ad ora noti non sembra possibile seguire uno svolgimento nelle forme della decorazione che abbia un valore anche in termini di cronologia: le associazioni nelle tombe di Camiro e di Ialiso mostrano incerto anche il criterio di ritenere più antiche le coppe che conservano motivi geometrici nella fascia a risparmio tra le anse. Il tipo del loto ripete quello caratteristico del medio stile rodio; motivi floreali incisi analoghi a quelli dei vasi di V., compaiono nel tardo stile (v. rodii, vasi), quando cioè inizia nella ceramica rodia il massiccio penetrare di forme corinzie, alla cui influenza (più che a quella della metallotecnica orientale) si deve ricondurre l'origine della decorazione incisa anche per i nostri vasi. La data iniziale dello stile andrà pertanto posta attorno al 600 a. C., per quanto l'attardamento dei motivi decorativi abbia suggerito ad alcuni studiosi una cronologia più alta. I contesti tombali mostrano che la produzione continuò sostanzialmente invariata fino al terzo venticinquennio del VI secolo.
Allo stile di V. appartengono inoltre pochi vasi di altre forme, rinvenuti a Rodi, Naukratis e Tell ed-Dāfannah.
Da quest'ultima località (forse l'antica Daphnai) proviene una cospicua serie di vasi (detti impropriamente situle) dal lungo corpo tubolare con piede ad anello, orlo piatto sporgente e due piccoli manici impostati poco sotto l'orlo. L'incisione sul fondo scuro con i consueti ornamenti floreali è quasi sempre circoscritta a due sole zone sul corpo del vaso, mentre nei riquadri tra i manici compaiono animali o scene di vario contenuto eseguite nella tecnica a figure nere. Anche per quanto concerne la forma, i precedenti di tale classe ceramica (Gruppi A e B del Cook) vanno cercati nell'isola di Rodi; per il gruppo che qui interessa (Gruppo C) le differenze nell'argilla e nella vernice rispetto alle coppe di V., e più ancora la distanza stilistica nelle scene figurate da quanto fino ad ora ci è noto dei vasi a figure nere fabbricati a Rodi, giustificherebbero l'ipotesi (Cook) che le situle fossero eseguite da artigiani greci insediatisi in Egitto in un centro urbano prossimo a Tell ed-Dāfannah, la cui produzione si estinse, dopo una durata di un venticinquennio, all'epoca dell'invasione di Cambise (525 a. C.). In tal modo si spiegherebbero alcuni motivi egittizzanti che compaiono nei pannelli figurati e troverebbe ragione la totale assenza di frammenti di situle negli scavi di Naukratis. È da notare tuttavia che i due più tardi esemplari della serie, rinvenuti in contesti databili tra 500 e 490, provengono da tombe di Ialiso; bisognerebbe allora ammettere almeno una attività parallela di fabbriche tanto a Rodi quanto in Egitto, se non (come è forse più plausibile) attribuire a Rodi anche la produzione delle situle.
Bibl.: F. Kinch, Fouilles de Vroulià, Berlino 1916, p. 168 ss. (con bibl. preced.); A. Maiuri, in Ann. Sc. Atene, 1916-20, p. 255 ss., fig. 102; id., Ceramiche arcaiche di Rodi, in Boll. d'Arte, III, 1923, p. 119 ss.; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung, I, Monaco 1923, p. 148 ss.; A. Maiuri, in Ann. Sc. Atene, VI-VII, 1923-24, pp. 271; 288 ss. (Ialiso); E. Price, Pottery of Naucratis, in Journ. Hell. St., XLIV, 1924, p. 188 ss.; G. Iacopi, in Clara Rhodos, III, 1929, pp. 25 ss.; 279 ss. (tombe di Ialiso); id., ibid., VI, 1932, p. 25 (Camiro); E. Kunze, in Ath. Mitt., LIX, 1934, p. 89, nota 2; L. Laurenzi, in Clara Rhodos, VIII, 1936, pp. 22; 142, 160, 182 (Ialiso); E. Buschor, Griechische Vasen, Monaco 1940, p. 88; L. Schnitzler, Griechische Vasen, Friburgo 1948, p. 28; A. Lane, Greek Pottery, Londra 1953, p. 29 ss.; R. M. Cook, Greek Painted Pottery, Londra 1960, p. 140 s.; Chr. Kadarra, ῾Ροδιακὴ ᾿Αγγειογραϕία, Atene 1963, pp. 186 ss.; 221 ss.; P. E. Arias, Storia della ceramica arcaica, classica ed ellenistica, Torino 1963, p. 148. Mater. illustrativo (oltre che nelle opp. citt.): C.V.A., Rodi, I, Dm, tavv. I, 3-5; II, tavv. III, 1-5, IV 1-2; C.V.A., Karlsruhe, II, p. 14, tav. 47, 3-5; C.V.A., British Museum, VIII, p. 31 ss., tav. 10. Si veda inoltre: per le situle: W. M. Flinders Petrie, Tanis, II, 1888, p. 62, tav. 26; E. Price, East Greek Pottery, Union Academique internationale, classification des ceramiques antiques, Parigi 1928, p. 9; G. Iacopi, in Clara Rhodos, III, 1929, pp. 192; 205; C.V.A., Oxford, II, p. 89, tavv. 10, 25-27; A. Rumpf, in Jahrb., XLVIII, 1933, p. 60 ss.; R. M. Cook, Amasis and the Greeks in Egypt, in Journ. Hell. St., LVII, 1937, p. 229 ss.; id., C.V.A., British Museum, VIII, 1954, p. 27 ss., tavv. 1-10.
)