RILIEVO, Ceramica a (v. vol. IV, p. 970, s.v. Megaresi, Vasi e S 1970, p. 804, s.v. Terra Sigillata)
Importanti e numerose scoperte in tutto il bacino del Mediterraneo confermano la vasta diffusione di questa classe ceramica in età ellenistica. Fondamentale, accanto alla pubblicazione dei nuovi ritrovamenti - di Demetriade, Lemno, Pella, Vergina - l'edizione definitiva di importanti complessi, quali quelli dell'Agorà di Atene, di Corinto, e poi del Peloponneso nel suo insieme, di Delo, di Mileto, di Hama, finora solo parzialmente noti. Risultano chiariti numerosi quesiti posti dalla ricerca precedente e ne emergono di nuovi che allargano sensibilmente il campo delle indagini.
Risultano precisati i procedimenti di esecuzione, la cui relativa semplicità spiega il moltiplicarsi dei centri di produzione; l'uso di matrici e punzoni, facilmente trasportabili e commerciabili, senza contare le possibilità di copie e duplicazioni «illegali» (testimoniate p.es. nei prodotti del c.d. Plagiario), sono probabilmente alla base della rapida diffusione del tipo, favorita anche dalla pratica dell'utilizzazione delle matrici per altre forme vascolari, come le anfore e i crateri o dei singoli punzoni, come per le lucerne. È infatti definitivamente provato dai rinvenimenti di fornaci, che la produzione di coppe era associata non solo a quella di altri vasi e utensili con decorazione a rilievo, ma anche di altri tipi ceramici e di terrecotte, come a Petres (Lemno). Il fenomeno è quindi rilevante per la comprensione dell'organizzazione del lavoro, e più in generale delle nuove forme del commercio e dell'economia, in relazione alla mutata e più ampia richiesta del mercato. Per quando riguarda la terminologia è definitivamente abbandonata la denominazione di «megaresi» a favore della più generica definizione di coppe ellenistiche a rilievo, che rispetta la molteplicità dei centri produttivi. Sono stati abbandonati anche i tentativi di identificazione del nome antico, data la genericità e ambiguità delle testimonianze.
Origine. - Gli studiosi sembrano concordi nel riconoscerne la derivazione da più antichi esemplari metallici, probabilmente alessandrini, anche se nel repertorio decorativo vengono rapidamente introdotti motivi eterogenei, presenti in diverse culture, come quella achemenide, e in ogni caso diffusi nel bacino mediterraneo. L'analisi iconografica dei motivi dimostra inoltre debiti e scambi non solo con la toreutica, ma anche con la produzione di vetri dorati.
L'idea di imitare le preziose coppe metalliche sarebbe venuta a un ceramista operante ad Atene, in relazione alla celebrazione delle Ptolemàia, istituite tra il 229 e il 221 a.C. L'originalità, sia per forma (la coppa emisferica, nonostante la sua banalità strutturale, in realtà non sembra aver avuto gran diffusione nel mondo greco classico), sia per decorazione (per la prima volta, infatti, in maniera sistematica, la superficie di un vaso era decorata con rilievi continui, ottenuti da matrici), unita alla novità ornamentale e alla già sottolineata facilità e rapidità, sia pure relativa, dell'esecuzione, spiega probabilmente perché le nuove coppe ebbero tanto successo, affiancando, se non soppiantando del tutto, rapidamente i vasi potori precedentemente in uso.
Diffusione. - Da Atene l'idea si diffonde velocemente: nel Peloponneso, a partire da Corinto, fino alla piccola Gortys d'Arcadia, le officine di ceramisti adottano il nuovo vaso che, con qualche modifica nella forma, ma soprattutto nell'associazione dei diversi motivi decorativi, acquista caratteristiche regionali; forse con un leggero ritardo il tipo viene imitato nella Grecia settentrionale, dove, accanto a esemplari a decorazione geometrica o vegetale, che già possono definirsi tradizionali - e di cui Pella si è rivelata un importante centro di produzione - appaiono quelli a decorazione figurata; l'ispirazione colta dei temi - per i quali è stato giustamente sottolineato il collegamento con la presenza di Euripide a Pella - e il loro significato ideologico-propagandistico, con la valorizzazione delle origini della dinastia, è stata messa in relazione con la corte macedone e la politica culturale di Antigono Gonata e dei suoi successori: ipotesi confermata dal fatto che una notevole quantità di vasi e matrici è stata rinvenuta in Macedonia e nelle regioni più direttamente legate ai Macedoni, in particolare a Demetriade oltre che a Pella, dove il numero di esemplari completi (matrici) assomma a duecentoquarantanove.
Con un movimento a onda le coppe si diffondono verso le zone della periferia nord-occidentale del mondo greco, dove accanto a pochi esemplari importati si ritrovano in considerevoli quantità imitazioni locali, individuabili sia per la peculiarità dell'iconografia, sia per la semplificazione stilistica. Le produzioni locali sembrano durare nel tempo ben oltre i limiti attribuiti alla classe d'origine. Agli influssi della Grecia settentrionale si associano, abbastanza di frequente, anche quelli peloponnesiaci, e più specificamente corinzî. Una fiorente produzione locale si sviluppa anche sulle coste del Mar Nero, con evidenti influenze ateniesi, cui si affiancano poi quelle «ioniche».
Nella penisola italiana si distinguono, accanto alle importazioni microasiatiche e peloponnesiache, un'officina siciliana, vicina ai modelli greci, che non sembra tuttavia aver avuto gran diffusione, e una possibile fabbrica tarantina, ancora poco conosciuta. Di maggior diffusione e originalità è la produzione centro-italica, di cui sempre più chiaramente si individuano i vasi - coppe e kraterìskoi - del suo maggior ceramista, Popilius, caratterizzati dalla relativa varietà delle forme, e, tra i motivi, dalle foglie di «loto indiano figurate». Ancora aperta è la discussione tra gli studiosi sull'origine di queste coppe, ispirate da modelli pergameni o peloponnesiaci; contrapposizione probabilmente superabile se si considera la possibilità di una compresenza di influenze, visto che pur in una relativa scarsità di importazioni si sono rinvenuti in Italia esemplari di entrambe le classi, come sul relitto di Santa Sabina. Si tratta in ogni caso di una produzione destinata prevalentemente a uso locale, anche se non mancano casi di esportazioni.
Alla massiccia produzione di ispirazione ateniese e più in generale occidentale, si aggiunge, nel corso del II sec. a.C., un'abbondantissima produzione «ionica», il cui repertorio, soprattutto geometrico e vegetale, si è arricchito, in questi ultimi anni, anche di imitazioni «omeriche».
Il vivace dibattito sul luogo di origine della produzione ionica, per lungo tempo attribuita a Delo o, in alternativa, ad Alessandria, appare oggi risolto a favore delle coste dell'Asia Minore e delle isole prospicienti: lievi differenze di forma, oltre ovviamente alle diverse caratteristiche fisiche, e le varietà del repertorio permettono di distinguere una produzione costiera settentrionale, ruotante intorno a Pergamo e Myrina; una produzione centrale, rappresentata soprattutto da Mileto; una produzione meridionale - sicuramente la più ricca - di cui officine sono state individuate a Efeso, ma altre dovevano sicuramente essere p.es. a Samo, e verosimilmente a Rodi. Délo, dove il numero dei ritrovamenti (più di ottomila esemplari) in percentuale è enorme, ha apparentemente svolto funzione di centro di consumo, ma soprattutto di smistamento: ciò sarebbe confermato dal rinvenimento di numerosi esemplari in Egitto, e lungo le coste del Golfo del Leone, dove i vasi sarebbero giunti come merci di accompagno di carichi compositi. Fondamentale, per l'avanzamento della ricerca in questo campo è lo studio dei relitti, come quello, notissimo, del Grand Congloué o, per l'Italia, quello già citato di Santa Sabina.
Nonostante l'accresciuto numero di rinvenimenti in scavi orientali, nei quali - con rare eccezioni - la presenza delle coppe è per lo più solo segnalata, manca uno studio complessivo. Sono così ancora poco chiari sia i fenomeni di singoli ritrovamenti anche in zone remote o esterne al mondo «classico», come l'Afghanistan o l'Estremo Oriente, sia quelli, molto più massicci, della imitazione, più o meno vicina al modello, in queste stesse aree o in aree comunque lontane dai maggiori centri di produzione (Topakli, Boğazköy).
In generale l'analisi della distribuzione dei materiali consente, pur nei limiti dello stato delle conoscenze, di ridurre sensibilmente la portata del fenomeno della diffusione lungo le coste del Mar Nero, che nei precedenti studi appariva preminente e che appare oggi elemento comune a tutta l'area mediterranea orientale; allo stesso modo la constatazione della presenza generalizzata di centri di produzione ridimensiona la portata del fenomeno commerciale a lunga distanza, suggerendo nuove ipotesi di ricerca.
Iconografia e ateliers. - Il repertorio decorativo ben noto, essenzialmente vegetale o geometrico, si ripete con relativa monotonia, e poche novità sono segnalate, soprattutto nel campo delle rappresentazioni figurate, come la scena di naufragio su una coppa da 'Akko o i giochi funebri in onore di Patroclo; i temi principali restano l’llioupèrsis, con particolare riferimento ad Achille, e la saga di Odisseo, cui si affiancano scene di combattimenti, scene di caccia, e poi scene teatrali, dionisiache, in minor misura erotiche.
L'approfondimento dell'analisi iconografica da un lato e stilistica dall'altro ha dato viceversa importanti risultati, che sono, insieme all'accresciuta quantità dei materiali, la base delle attuali conoscenze.
La ricerca si è mossa sostanzialmente in due direzioni. Partendo da un metodo in parte già applicato da P. Courby, A. Laumonier e G. Siebert - seguiti poi in buona misura da S. Rotroff e A. Kossatz, e poi da U. Sinn e da G. M. Akamatis che lo hanno in parte applicato alle c.d. coppe omeriche - privilegiano lo studio dei singoli punzoni, attribuiti con sicurezza per la presenza di firme, quali elemento-guida per la ricostruzione delle caratteristiche e dello stile dei diversi ateliers.; la concatenazione dei motivi consente l'aggancio del maggior numero di reperti noti alle serie così costituite. Ad Atene sono state individuate otto diverse officine, quattro ad Argo e almeno diciannove sarebbero/rappresentate a Delo. Proprio la situazione di quest'isola, una volta escluso un suo ruolo attivo nella produzione mostra come tale metodo, in apparenza estremamente promettente, non sia tuttavia esente da rischi; per applicarlo con ragionevole sicurezza bisognerebbe poter disporre di insiemi sicuramente omogenei - per luogo di produzione e, in qualche misura, per cronologia - per non parlare dell'influenza che possono aver avuto, nella creazione dei repertori di motivi, i possibili scambi di punzoni, le copie più o meno autorizzate, i furti: tutti elementi che possono alterare le ricostruzioni proposte. Alla sottigliezza delle analisi fa riscontro infatti la scarsa specificità degli ateliers, e un certo appiattimento cronologico, che fa sì che essi finiscano con l'essere considerati attivi per tutta la durata della produzione della classe (così è, p.es., per Menemachos).
Meno problematico, anche se non esente da rischi, è un diverso sistema di analisi, che, sempre basato su criteri stilistici, privilegia, nello studio dei punzoni, la ricerca delle derivazioni da modelli della grande arte e dell'artigianato, cercando di seguirne gli sviluppi. Tale metodo, applicato da G. R. Edwards al materiale di Corinto, ha consentito di datare alla metà del II sec. a.C. l'introduzione, nel repertorio decorativo, del c.d. motivo a scudo macedone; con lo stesso metodo, ricerche di J. P. Callaghan sullo stesso motivo e sul c.d. trefoil style hanno fornito utili indicazioni cronologiche, tanto assolute che relative. Oggetto di discussione è il motivo «a lunghi petali», considerato un'invenzione corinzia precedente di poco la distruzione della città, o viceversa una più antica invenzione ateniese, risalente al secondo quarto del II sec. a.C., o piuttosto invenzione «ionica», avvenuta intorno al 165. Ugualmente valido è ritenuto questo criterio per l'analisi dei soggetti figurati, per i quali fruttuose si rivelano anche le connessioni con i luoghi di produzione. Prevalenti sembrano nella scelta dei modelli i contatti con gli ambienti alessandrino e pergameno.
Cronologia. - La provenienza di numerosi esemplari da contesti stratigrafici e, più in generale, la revisione della cronologia ellenistica, resa possibile dal riesame di molto materiale soprattutto ateniese, consentono di fissare oggi limiti abbastanza precisi per la produzione delle coppe a rilievo, il cui inizio si data ad Atene all'ultimo quarto del III sec. a.C., e la cui scomparsa sarebbe una delle conseguenze del sacco sillano della città, nell'86 a.C. Si ha cioè una riduzione della durata - grosso modo dall'ultimo quarto del III alla metà del I sec. a.C. - rispetto a quanto sostenuto negli studi precedenti. Questi limiti cronologici assoluti sono validi per la Grecia continentale, con piccole differenze locali apprezzabili più che dall'analisi dei pezzi da dati esterni forniti dalle stratigrafie di scavo. Sostanzialmente modificata è la cronologia assoluta delle officine microasiatiche, per la cui attività viene abbassata la data di inizio dalla fine del III sec. a.C. alla metà del II; meno evidente è il limite inferiore, che a Delo sembra comunque superare la metà del I sec. a.C. L'attardamento della produzione contraddistingue le aree periferiche, dove in qualche caso si segnalano coppe in contesti augustei, ma evidentemente il fenomeno va studiato caso per caso, essendo legato alla specificità delle situazioni locali.
Ancora soggetta ad accese discussioni, fondate soprattutto su una diversa datazione degli elementi epigrafici, è la cronologia delle coppe italo-megaresi, che oscilla tra una tesi alta - inizio nella prima metà del II sec. a.C. - e una bassa, che ne vedrebbe l'inizio non prima della fine del II sec. a.C. Appare comunque sicuro che il maggior numero di esemplari si colloca nel corso del I sec. a.C., anche se è da escludersi l'ipotesi che collegava l'avvio della produzione con l'arrivo in Italia di ceramisti in seguito alle stragi di Mitridate.
Per quanto riguarda la cronologia relativa, gli studiosi sono oggi concordi nel ritenere, con sfumature per singoli motivi, una contemporaneità della maggior parte dei temi: si escludono definitivamente le ipotesi che vedevano come più antiche le «coppe omeriche», o che vedevano una successione dei motivi dai più complessi ai più semplici e schematici, contraddette proprio dalla produzione delle coppe figurate, ancora fabbricate a Pella, p.es., agli inizî del I sec. a.C.
Questo è ancora più vero per le coppe microasiatiche, nel cui repertorio decorativo sembrano essere usati contemporaneamente quasi tutti i motivi, anche se non si deve dimenticare che proprio per quest'area geografica la documentazione da scavo è particolarmente carente. In realtà in questo campo la ricerca sembra doversi ulteriormente approfondire, come dimostra il citato caso delle coppe «a lunghi petali».
Ulteriore attestazione richiede anche l'analisi, geograficamente differenziata, dei limiti inferiori della produzione, e delle cause che ne hanno determinato l'interruzione, oggi solo genericamente individuate nella forte concorrenza, nel corso del I sec. a.C., della produzione delle sigillate italiche, e più in generale nelle mutate condizioni politiche.
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