CEPPO (dal lat. cippus "cippo, palo")
L'usanza del ceppo o ciocco di Natale è largamente diffusa in Europa, ma sembra essere fiorita specialmente nell'Inghilterra, nella Francia e presso gli Slavi meridionali, a giudicare dalle descrizioni più particolareggiate che ci vengono da questi popoli e paesi. In varî luoghi il ceppo di quercia, di olivo, di betulla arde soltanto nella notte di Natale; in altri in quelle di Natale e del Capodanno; in altri ancora, in tutte le 12 notti dal Natale all'Epifania. Il rito vuole che il più vecchio o l'anziano della casa lo scelga tra i ciocchi più grossi della legnaia, lo segni con l'olio, lo benedica e lo collochi sul focolare, mentre la famiglia si raccoglie d'attorno; sebbene non manchi, sia pure come eccezione, l'uso di farlo collocare dai figli, per risparmiare dal malaugurio il capo della famiglia. Più a lungo arde il ceppo, più lunga sarà la vita di questi. Non è raro veder fiammeggiare accanto al ceppo principale altri più piccoli, tanti quanti sono i figli. Frequente fra i popolani, l'uso, accennato anche da Dante (Par., XVIII, 100) di trarre dalle faville che sprizzano dall'arso ciocco, quando è scosso o colpito con le molle o altro arnese, gli auspici per sé, per i proprî cari, per i frutti degli animali. Il numero delle faville che si sprigionano dal legno indica il numero di anni che rimangono al capo della famiglia, o il numero di vitelli, di capretti, ecc., che si avranno nella stagione propizia.
Gli avanzi del ciocco sono conservati come cosa sacra, e all'occorrenza sono esposti o utilizzati contro il mal tempo o l'epidemia o le nocive influenze di qualsiasi natura, materiale o spirituale. L'uso più comune è di tenerli in casa, sotto il letto, come mezzi protettivi contro i tuoni, i lampi, le folgori. Le ceneri e i carboni sono sparsi nei campi a preservarli dalla grandine e dagl'insetti, o posti sugli alberi per impedire che i frutti vadano in malora
Si è creduto possibile scoprire, nelle cerimonie del ceppo, l'originaria concezione pagana o primitiva dell'uso magico del fuoco, che si appiccava, nel solstizio invernale, ad ausilio del sole, supponendo rinascesse nel giorno più breve dell'anno e crescesse poi fino a mezza estate. Questo concetto traspare oggi dalle credenze del popolo, il quale ritiene che il ceppo si bruci per far lume al bambino Gesù o per far sì che la Madonna asciughi i pannolini di lui.
La teoria solare del ciocco natalizio e del fuoco rituale in genere è sostenuta dal Mannhardt, con argomenti importantissimi; ma ad essa si sono opposti, in seguito, il Mogk e il Westermarck, sostenendo che le cerimonie del fuoco, tanto diffuse, si sarebbero svolte dal principio di purificare l'aria e l'ambiente, con la distruzione delle influenze dannose. La sola differenza che passa tra la cerimonia natalizia e quelle delle altre feste del fuoco consiste nel carattere: familiare, intimo della prima, pubblico delle seconde. Ma per questa distinzione non muta la visione teorica complessiva che queste e quella accomuna, perché pare sia dovuta alle contingenze climatiche, le quali, facendo trasportare il fuoco dal campo e dalla strada nella capanna e nella casa, hanno determinato un fondamentale e caratteristico mutamento nel rito, per cui l'uso d'accendere il falò in pubblico si è, a poco a poco, ristretto in quello del ceppo sul focolare.
Il ceppo comparisce nei riti del fidanzamento, in varie maniere nelle diverse regioni; e varie ne sono le spiegazioni. Alcuni ritengono di doverlo riportare alle cerimonie del fuoco; ma recenti ricerche hanno messo in evidenza un elemento importantissimo, e cioè che il ciocco adoperato nelle richieste nuziali non è già un legno da bruciare, ma la ceppaia, la parte vitale dell'albero. Non è quindi impossibile che il rito del ceppo nuziale possa essere l'ultima espressione di quello delle nozze con le piante, praticato dagli antichissimi Europei e tuttora in India (v. nozze).
Bibl.: Indicazioni bibliografiche in G. Pitrè, Bibl. trad. pop. d'Italia, Torino 1894; E. Hoffmann-Krayer, Volkskundl. Bibliogr., Strasburgo, Berlino, Lipsia 1919-1929. Per il ceppo di Natale: A. De Gubernatis, in La civiltà italiana, I (1865), 2° sem., p. 188; Casati, in Arch. trad. pop., V (1887), p. 168 seg.; Mazzini, in Giorn. stor. della Lunigiana, X (1919). R. Corso, Il ceppo nuziale, in Riv. d'antropologia, XVI (1916). Per le interpretazioni, v. J. G. Frazer, The Golden Bough, abridged edition, Londra 1924, cap. lxii e lxiii.