Centri di identificazione e di espulsione
Céntri di identificazióne ed espulsióne locuz. sost. m. pl. – Istituiti con il decreto legge del 23 maggio 2008 n° 92, i Centri di identificazione ed espulsione (CIE) sono strutture destinate a trattenere gli immigrati irregolari che devono essere espulsi dal territorio italiano. Con la Legge n°129 del 2 agosto 2011 il periodo massimo di permanenza degli stranieri in questi centri veniva fissato in 18 mesi rispetto ai 6 previsti in precedenza. I CIE sostituiscono i Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) istituiti con la legge Turco-Napolitano del 1998 (l. n°40) e rappresentano uno degli strumenti di contrasto e repressione dell’immigrazione irregolare. Nel 2011 sul territorio italiano erano operativi 13 CIE - di tipologie e modalità di gestione abbastanza eterogenee - distribuiti in otto regioni, con un'accoglienza di 1.900 persone in totale. In seguito alla crisi che ha interessato i paesi della riva sud del Mediterraneo e che ha spinto circa 50.000 migranti a raggiungere le coste italiane, sono stati allestiti altri campi provvisori con la funzione di CIE. Questa condizione straordinaria ha creato grandi difficoltà nella gestione dei centri e nel corso del 2011 si sono registrati in quasi tutte le strutture (in particolare Bologna, Trapani, Milano e Torino) scioperi della fame, atti di autolesionismo, incendi, evasioni e vere e proprie rivolte. Sempre nel 2011 il ministero dell’Interno limitava l’accesso ai centri a un ristretto numero di associazioni, mentre vietava l’ingresso ai giornalisti. Tale disposizione suscitava numerose proteste che si aggiungevano ai dubbi già sollevati sulla natura giuridica dei centri che di fatto tenevano gli stranieri in stato di detenzione, sospendendo in parte i loro diritti. Nelle strutture, inadeguate e spesso sovraffollate, sono state inoltre registrate violazioni del diritto d’asilo (v. ) e sono stati denunciati casi di abusi di matrice razzista.