CENNINI, Cennino di Drea
Pittore tardogotico toscano, nativo di Colle Val d'Elsa, noto principalmente come trattatista.Allievo di Agnolo Gaddi, nella cui bottega rimase per dodici anni, nel 1398 era a Padova, al servizio di Francesco I da Carrara come pittore; fu autore del Libro dell'arte, primo trattato d'arte in volgare e testo importantissimo che segna, in questo settore, il passaggio dalla tradizione trecentesca alla cultura del primo Rinascimento. Si può supporre che il discepolato presso Agnolo abbia avuto luogo a cavallo degli anni ottanta del sec. 14° e che il Libro dell'arte sia stato scritto intorno al 1400, a Padova. C. dovette rientrare in Toscana nel primo decennio del sec. 15°; risulterebbe morto prima del 1427 (Boskovits, 1973).Il dipinto attribuito a C. da Vasari - la Madonna con il Bambino affrescata sulla parete dell'Ospedale di S. Giovanni a Firenze (Le Vite, II, 1967, pp. 248-249) - risulta oggi talmente rovinato da non permettere più alcun giudizio sui caratteri stilistici dell'originale. Spettano a Boskovits (1973) lo studio più completo su C. artista e la proposta di identificazione con un pittore di Colle Val d'Elsa, l'anonimo Maestro di S. Lucchese (Brandi, 1933, p. 172ss.) - autore delle Storie di s. Stefano in S. Lucchese presso Poggibonsi -, un modesto artista di ambito agnolesco, le cui caratteristiche di stile si accordano con quanto si può leggere in trasparenza nel trattato: sia per il colorismo ("[Agnolo] colorì molto più vago e fresco che non fe' Taddeo suo padre", Libro dell'arte, LXVII) e per le soluzioni scenografiche, lontane dal razionalismo spaziale giottesco ("conviene [...] trovare cose non vedute [...] dando a dimostrare quello che non è, sia", Libro dell'arte, I), sia per la tendenza alla 'vaghezza' e alla 'curiosità' del risultato piuttosto che al realismo ("E così ti rimarrà un disegno vago, che farai innamorare ogni uomo dei fatti tuoi", Libro dell'arte, CXXII).La fama di C. è però affidata al Libro dell'arte, documento della transizione dal Medioevo all'età moderna, pervenuto in tre manoscritti (Firenze, Laur., Med. 23. P. 78, del 1437, copia di un perduto ms. di Colle, forse l'originale; Firenze, Bibl. Riccardiana, 2190, del sec. 16°; Roma, BAV, Ottob. lat. 2974, del sec. 18°). Legato alla cultura medievale nella struttura di prontuario di tecniche artistiche - dalla pittura murale (il maggior interesse è per l'affresco) a quelle su tavola, su tela, su libro, alle arti suntuarie -, il trattato presenta però anche anticipazioni sulla concezione rinascimentale dell'arte: C. identifica in un artista, Giotto - l'eredità del quale dichiara di tramandare, per mezzo di discepolati successivi - il portatore di una vera rivoluzione artistica ("rimutò l'arte del dipingere di greco in latino, e ridusse al moderno", Libro dell'arte, I). Nell'alto concetto dell'arte figurativa, seconda solo alla scienza e simile alla poesia per l'uso comune della 'fantasia', egli esprime inoltre la mutata condizione sociale dell'artista, ormai avviata alla parità con quella del letterato e del filosofo, precorrendo in ciò la trattatistica successiva, facente capo ai Commentari di Ghiberti.Rispetto alla trattatistica storico-tecnica tardomedievale (per es. il De arte illuminandi, i Segreti per colori o Manoscritto bolognese, la Tabula de vocabulis sinonimis et equivocis colorum di Alcherio), il Libro dell'arte è il primo strumento di lavoro interamente di prima mano a essere pervenuto. C. fornisce la ricetta dei soli colori la cui preparazione doveva avvenire nella bottega (consigliando di comprare gli altri già pronti sul mercato), offrendo così uno spaccato unico dell'attività delle botteghe del tempo. Negli altri trattati infatti - ivi comprese le due massime raccolte dell'età romanica, il De coloribus et artibus Romanorum e la Diversarum artium schedula, attribuiti rispettivamente a Eraclio e a Teofilo - è frequente, anche se non massiccia, la presenza di precetti ricalcati da altre fonti precedenti, come per es. la Mappae clavicula; lo stesso Alcherio scrive ex novo solo le ultime ricette, le più avanzate, della sua notevolissima raccolta. Rispetto a Teofilo, che secondo l'ottica romanica privilegia l'importanza dei materiali, C. si sofferma su ogni colore in funzione dell'opera creatrice dell'artista, ma ancora secondo l'ottica medievale, che cercava di esaltare le diverse e specifiche qualità di ogni singolo colore e materiale costitutivo dell'opera d'arte, senza giungere a porsi la questione della 'unità di superficie' del dipinto (Conti, 1986), come invece si propone già il suo maestro Giotto, a cominciare dalla cappella degli Scrovegni. Quasi per ogni colore, C. indica il modo con cui usarlo, "in fresco o in secco", dove questa indicazione riguarda sempre la pittura murale, dapprima nella fase propriamente ad affresco e poi nei ritocchi, a tempera o a secco; manca ancora, insomma, quell'omogeneità di stesura che fece in seguito della pittura del primo Rinascimento un'arte guida a pieno titolo. Analogamente, C. avverte i mutamenti in atto nella concezione del disegno: le sue numerosissime osservazioni in proposito si collocano a cavallo tra quelle di un'arte basata sulle qualità grafiche e lineari, come quella dell'età gotica, e la nuova concezione rinascimentale del disegno come strumento di conoscenza del reale e come procedimento mentale ("Sai che t'avverrà, praticando il disegnare di penna? Che ti fara' sperto, pratico e capace di molto disegno entro la testa tua", Libro dell'arte, XIII).Come pittore e come trattatista C. appartenne ai "più rigidi ortodossi, i quali, invocando di Giotto il precetto [...], se ne appropriavano idealmente, forse agli occhi dei più, come i veri garanti della tradizione; in realtà per legittimare una cultura frenata e alla lunga inceppata [...] da ripetitivi precetti di bottega" (Volpe, 1980). Tuttavia la rilettura dei suoi precetti può ancora offrire spunti alla riflessione dello storico delle tecniche artistiche e in definitiva allo storico dell'arte (Conti, 1986). C. fu il depositario di un grande 'mestiere', inteso come professionalità. Traspare dal complesso dell'opera l'umiltà dell'allievo di provincia, di modeste origini e grato, per tutto l'arco della vita, di aver avuto l'opportunità di entrare a far parte della scuola del grande Giotto. Il limite del suo mestiere è nell'essere pago di ripetere pedissequamente, in un paralizzante omaggio al caposcuola, i precetti che lo stesso Giotto, nell'età matura, e i maggiori giotteschi superarono, a favore di un alleggerimento dello strato pittorico, per convertirsi al "dipingere dolcissimo e tanto unito", secondo l'espressione di Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 136; Volpe, 1980).
Bibl.:
Fonti. - Di Cennino Cennini. Trattato della pittura, a cura di G. Tambroni, Roma 1821; A Treatise on Painting, a cura di M.P. Merryfield, London 1844; Il Libro dell'arte o Trattato della pittura, a cura di G. Milanesi, C. Milanesi, Firenze 1859; Das Buch von der Kunst, oder Tractat der Malerei, a cura di A. Ilg, Wien 1871; Il Libro dell'arte, a cura di D.V. Thompson, 2 voll., New HavenOxford-London 1932-1933; Cennino Cennini, Il Libro dell'arte, a cura di F. Brunello, L. Magagnato, Vicenza 1971 (con bibl.); id., Il Libro dell'arte, a cura di M. Serchi, Firenze 1991.
Letteratura critica. - F. Dini, Cennino di Drea Cennini, Miscellanea storica della Valdelsa 13, 1905, pp. 76-87; J. von Schlosser, Die Kunstliteratur, Wien 1924 (trad. it. La letteratura artistica, Firenze 1964); C. Brandi, La Regia Pinacoteca di Siena, Roma 1933; L. Venturi, Storia della critica d'arte, Torino 1936 (1979⁴, p. 244); F. Antal, Florentine Painting and its Social Background, London 1947 (trad. it. La pittura fiorentina e il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento, Torino 1960); G. Urbani, Note al "Libro dell'arte" del Cennini in rapporto ad alcuni problemi di tecnica del restauro, Bollettino dell'Istituto centrale del restauro, 1950, 2, pp. 62-65; R. Assunto, La critica d'arte nel pensiero medievale, Milano 1961; G.L. Mellini, Studi su Cennino Cennini, CrArte, s. IV, 12, 1965, 75, pp. 48-64 (con bibl); M. Boskovits, Cennino Cennini. Pittore nonconformista, MKIF 17, 1973, pp. 201-221; id., Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento, 1370-1400, Firenze 1975; C. Bertelli, Il modo di lavorare con la forma dipinti in panno, Paragone 28, 1977, 331, pp. 33-37; P. Bensi, La tavolozza di Cennino Cennini, Studi di storia delle arti, 1978-1979, pp. 37-85; M. Bacci, P. Stoppelli, s.v. Cennini, Cennino, in DBI, XXIII, 1979, pp. 565-569; C. Volpe, Il lungo percorso del 'dipingere dolcissimo e tanto unito', in Storia dell'arte italiana, V, Dal Medioevo al Quattrocento, Torino 1980, pp. 277-283; A. Conti, Tempera, oro, pittura a fresco: la bottega dei ''primitivi'', in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, II, pp. 513-528.B.S. Tosatti