CENESTESI (dal gr. κοινός "comune" e αἴσϑησις "sensazione")
Che cosa debba intendersi per cenestesi (Gemeingefühl di Henle) non è ben chiaro attraverso le molte definizioni degli autori. Per Henle è il "sentimento generale corporeo"; per Condillac, il "sentimento fondamentale dell'esistenza"; per Maine de Biran, il "sentimento dell'esistenza sensitiva", per Beaunis, il senso generale che noi abbiamo dell'esistenza del nostro corpo; per Ribot, la risultante in confuso delle impressioni prodotte dal movimento interiore delle funzioni; per Blondel, la massa continuamente in movimento e cambiante delle sensazioni interne; per De Sanctis, la sintesi di tutti gli elementi organici della sensibilità; per Morselli, la nozione complessiva integrale del nostro io fisico.
Comunque sia, certo si è che la cenestesi non è un gruppo di sensazioni interne: è la somma di tutte, e a essa contribuiscono anche le sensazioni esterne e probabilmente quelle che, secondo qualche autore, sono definite come "sensazioni nervose" e che avrebbero sede nei nervi e nei centri nervosi (Galli). Nella cenestesi sono da mettere quelle sensazioni provenienti dagli organi di senso specifico, in quanto esse, oltre a segnalare certe modificazioni dell'ambiente, vengono pure a dare, almeno in condizioni anormali, un'immagine di quello che è la loro attività.
Nello stato ordinario d'equilibrio che costituisce la salute perfetta questo senso della cenestesi, dice Beaunis, è continuo, uniforme e sempre uguale: ciò che impedisce di arrivare all'io, allo stato di sensazione distinta. Per essere distintamente avvertito occorre che acquisti una certa intensità: esso si traduce allora come una vaga sensazione di benessere o malessere generale, indicando la prima una semplice esaltazione dell'azione vitale fisiologica la seconda una modificazione patologica.
Dal punto di vista propriamente filosofico, il concetto di cenestesi è interessante soprattutto per le antitesi e le contraddizioni che vi sono implicite, e che dimostrano le difficoltà incontrate dalla psicologia empirica nel suo tentativo di conquistare pienamente un concetto in realtà estraneo ai suoi limiti sperimentali. Per un lato, infatti, la cenestesi, considerata come sensazione generale, priva di ogni determinazione specifica attribuibile a uno speciale sensorio, è la più povera di tutte le sensazioni, e, apparendo quasi all'estremo limite inferiore della vita cosciente, si presenta con un tale aspetto d'indeterminatezza e oscurità, da mettere in serio imbarazzo chi cerchi di darne la definizione: tanto è vero che si è potuto sostenere il concetto della non percepibilità, da parte dell'io, della cenestesi normale, divenendo questa sensibile soltanto nei suoi stati d'imensità sopranormale, sia positiva sia negativa: una sensazione quindi, questa "sensazione comune", che non sarebbe, nella sua più normale natura, neppure una sensazione! D'altro lato, considerata la cenestesi come il più generale sensus sui, rispetto al quale le sensazioni specificate non sono che determinazioni singole, che non potrebbero collegarsi in unità se non si riferissero tutte a tale "sensazione comune interna" questa fìnisce con l'assumere un valore di gran lunga superiore a quello delle sensazioni singole, venendo in sostanza a significare la stessa unità della coscienza come sensus sui e insieme sensus rerum.
Si può dire che tutte le altre definizioni della cenestesi tentate dagli psicologi non rappresentino altro che diverse forme di oscillazione o di compromesso tra questi due estremi termini di valutazione: quali, p. es., la determinazione della cenestesi come attuantesi nella consapevolezza che una singola attività sensoria può acquistare della sua funzione (tuttavia pensata, però, come propriamente fisiologica), o la concezione della cenestesi stessa come coincidente con l'universale valore pratico delle sensazioni, onde esse si presentano come piacevoli o spiacevoli, propizie o contrarie all'interno equilibrio economico della coscienza organica: la cenestesi apparendo così come lo stesso tono valutativo (orientato nel senso del piacere o del dolore, dell'euforia o della depressione) della complessiva esperienza sensibile. La cenestesi è così, per dirla in breve, il concetto limite della psicologia sperimentale, che può raggiungerlo pienamente soltanto superando, e perciò negando, sé stessa. Difficoltà questa, del resto, che si presentava già, di fatto, fino allo stesso Aristotele, che può dirsi, sotto certi aspetti, il primo teorizzatore della cenestesi: nella sua dottrina, infatti, del "senso comune", quale unità fondamentale di tutte le singole attività senzienti, questo "senso comune" è considerato, da una parte, come facoltà propriamente inclusa nella sfera della sensibilità, per quanto massima fra tutte quelle comprese in tale sfera; mentre, d'altra parte, tale attività conoscitiva si trova ravvicinata, per le sue capacità critiche e discriminative, alla stessa conoscenza noetica e attratta quindi verso il più alto grado della gerarchia gnoseologica.
Bibl.: C. Ranzoli, Diz. di scienze fil., Milano 1926, pp. 170-71; J.M. Baldwin, Dict. of Phil. and Psychol., I, New York 1925, p. 200.