CENCI
. Famiglia patrizia di Roma, con molte diramazioni. I C., che amavano riannodare la loro origine alla latina famiglia Cincia, pare accertato che avessero origine comune coi Crescenzî; e che nel sec. XI partecipassero, con due dei loro (Paolo e Bernardino), alla prima crociata. Nel secolo seguente si trovano tre cardinali Cencio: ma per uno v'ha dubbio che si tratti di nome, non di cognome. Si vuol pure della famiglia quel Cencio che, nella notte di Natale del 1075, rapì Gregorio VII dall'altare di S. Maria Maggiore e lo percosse. Nei documenti troviamo notizia di alcune diramazioni della famiglia, come i Cenci Bulganini e i Cenci Pantalei. Del Trecento, vi sono loro sepolcri in S. Cecilia e in S. Angelo in Pescheria. Il 9 febbraio 1376 Giovanni fu eletto cancelliere e capitano generale del popolo ed ebbe il comando della Sabina e del Patrimonio. Sappiamo inoltre di Pietro C. che fu capo della congiura contro Bonifacio IX. Nel 1405, Pietro Tartaro C., uno dei comandanti di Roma, fu gettato dalle finestre di S. Spirito per ordine di un nipote d'Innocenzo VII. Otto anni dopo, fu conservatore Petruccio C., e nel 1436, un Menico si trova tra gli assalitori di Porta Maggiore per il re di Napoli. Meritamente famosi divennero nei secoli XVII e XVIII, per sapienza e nobiltà di vita, i cardinali Tiberio (1580-1655), Baldassarre (1648-1709), Serafino (1675-1760) e Baldassarre iuniore (1710-1764). Possedevano molte case in Roma, ma poi divenne loro dimora precipua il vasto nucleo di edifici, in parte occupati, in parte costruiti dopo che Giulio II ebbe ceduto a Rocco seniore il monte formato presso il Tevere dalle rovine del teatro di Cornelio Balbo. Per le nozze del conte virgilio con una figlia di Giacomo Bolognetti (morto nel 1775) il cognome dei C. fu trasmesso al figlio Alessandro, congiunto a quello dei Bolognetti e così inscritto fra i patrizî romani coscritti con senatoconsulto del 12 giugno 1838.
Il fatto più famoso della loro storia è però l'uccisione, voluta dalla figlia Beatrice, di Francesco C., nato nel 1549, e figlio naturale, presto legittimato, di un mons. Cristoforo, che in diversi uffici pubblici accumulò ricchezze ingenti di palazzi, di case, di castelli, di terreni, di denari. Francesco, pure essendo cauto ed avaro amministratore del proprio, vide rovinare il suo patrimonio per le continue e forti penalità inflittegli, in seguito a violenze, a ferimenti, a turpi delitti, cui lo trascinava la sua natura imperiosa, crudele, violenta. Sposato, appena quattordicenne, ad Ersilia Santacroce, ne ebbe dodici figli, alcuni morti fanciulli, altri giovani ancora, tragicamente, vittime delle loro prepotenze: come Rocco, nel 1595, e Cristoforo tre anni dopo. A tali figli non degeneri dal padre, va aggiunto il primogenito Giacomo, subdolo e iniquo, che gli eccitò contro nemici e accusatori. Francesco infierisce anche contro le figliole Antonina e Beatrice (nata il 6 febbraio 1577) e contro la seconda moglie Lucrezia Petroni, innocenti dei suoi dissesti. Sposa infine Antonina a Luzio Savelli; e, chiesta al connestabile dei Colonna la rocca di Petrella Salto in provincia di Aquila, vi confina Beatrice e Lucrezia (aprile 1595). Costei, sciocca e molle, si perde in querimonie; ma Beatrice, che del padre ha la natura sensuale e forte, non si rassegna all'ingiusta prigionia e cerca, con vari mezzi, di liberarsene. Il padre inasprisce la prigionia. La figlia, divenuta amante di Olimpio Calvetti, castellano dei Colonna, bello e intraprendente e temuto, decide, con la complicità di lui e del fratello Giacomo e di altri, di sbarazzarsi del padre. E la mattina del 9 settembre 1598, Francesco C. fu ucciso dai complici, presente Beatrice, e precipitato da un balcone, sul cui pavimento di legno si praticò poi un'apertura, per far credere a un disgraziato accidente. Dopo di che, le C. tornarono a Roma. Ma la verità balenò subito. Le ricerche fatte condurre dal connestabile dei Colonna, dal viceré di Napoli e dal governo pontificio portarono alla perfetta ricostruzione della tragedia in tutti i particolari. Prima furono imprigionati Giacomo e Bernardo, poi uno degli esecutori, che morì torturato in carcere; poi, Beatrice e Lucrezia. Olimpio Calvetti fu fatto uccidere da mons. Mario Guerra, parente e gran sostenitore dei C. perché non confermasse, sotto i tormenti, la loro complicità. Difensore dei C. fu, con altri, il celebre giureconsulto Prospero Farinaccio, il quale basò la difesa di Beatrice sovra un presunto tentativo di stupro che Francesco avrebbe consumato o tentato sulla figlia: episodio non apparso durante l'istruttoria di tutto il processo e quindi infelicemente costruito all'ultima ora, ai fini della difesa stessa. Ma i giudici e Clemente VIII, anche per sopravvenute nuove tragedie familiari, furono inesorabili e il 10 settembre 1599 emanarono una terribile condanna: la confisca di tutti i beni; Giacomo menato sopra un carro sino al luogo del supplizio, attanagliato con ferri infuocati, percosso sul palco con un maglio e tagliato a pezzi; Beatrice e Lucrezia decapitate; Bernardo fatto assistere al supplizio degli altri, indi mandato alle galere. La sentenza fu eseguita sulla piazza del Ponte Sant'Angelo l'11 settembre 1599, al cospetto di una folla immensa, in gran parte simpatizzante per i C., specie per Beatrice, la cui morte commuoveva ancora più per l'aspetto di giovinetta ch'ella aveva, quantunque fosse quasi ventitreenne. Ne derivarono violente accuse a Clemente e al suo tribunale, come che avessero condannato per impossessarsi del cospicuo patrimonio dei C.; e difese non meno violente del pontefice stesso. Beatrice fu idealizzata, chiamata "la vergine romana", proclamata innocente. Tale non fu certamente; ma in suo favore militavano attenuanti che dovevano salvarla dal patibolo. Da allora s'ebbero narrazioni tendenziose, romanzi, tragedie, drammi, poesie, articoli a centinaia. Tra i racconti, si hanno quelli dello Stendhal e di Dumas padre; fra le tragedie, quelle dello Shelley e di G.B. Niccolini e del poeta polacco Slowacki; tra i romanzi, quelli dell'Ademollo e del Guerrazzi.
Bibl.: T. Amayden, Storia delle famiglie romane, Roma s. a., I, pp. 295-299; A. Bertolotti, Francesco Cenci e la sua famiglia, Firenze 1877; I. Rinieri, Beatrice Cenci, Siena 1909; C. Ricci, Beatrice Cenci, Milano 1923; Montenovesi, Beatrice Cenci, Roma 1928; L. Pastor, Storia dei papi, XI (Clemente VIII), Roma 1929. Lunga bibl. in Ricci, op. cit., II, pp. 287-317.