CENAMI
Famiglia di mercanti lucchesi attivi dal sec. XIV in poi nell'Italia centrosettentrionale, in Frangia e nelle Fiandre.
Col nome di Cenamo nelle carte lucchesi sono indicati, a partire dal sec. XI, numerosi personaggi, che la storiografia locale ha cercato di ricollegare con i più famosi Cenami, mercanti dei secoli XIV e XV; tuttavia, la mancanza di indagini approfondite sulla società lucchese dei secoli precedenti non consente di delineare la storia della famiglia prima del 1308, quando, in seguito alla vittoria dei guelfi neri, furono cacciati dalla città "omnes et singuli fili Cenami" come "potentes et casatici", insieme alle altre famiglie di parte bianca. Sembra che in seguito a questo provvedimento i Cenami si siano stabiliti a Venezia con grandi ricchezze, insieme ad altre famiglie della loro città, trovando forse un aiuto nella preesistente congregazione lucchese della "Corte della seda" (T. Bini, pp. 15-20). Alcuni componenti della casata rimasero tuttavia in patria, dato che le fonti registrano la presenza a Lucca, dal 1310 in poi, di un Nicolò di Cenamo, abitante nella contrada di San Donato, e di un Nicolò di Ugolino abitante nella contrada di San Frediano. I Cenami comunque furono tra le famiglie presenti al giuramento di fedeltà a Giovanni di Lussemburgo re di Boemia e a suo figlio Carlo (1331).
Nicolò di Cenamo fu giudice e notaio; ebbe un figlio, Matteo, notaio, che divenne procuratore di Agnese, figlia del conte Campanari e moglie di Castruccio da Porcari, che poi sposò quando essa rimase vedova, divenendo così proprietario di un cospicuo patrimonio che alla sua morte lasciò al figlio Giovanni (1350), sul quale non possediamo ulteriori notizie.
Nicolò di Ugolino fu "provisor gabelle" alle dipendenze del Comune nel secondo semestre del 1327 e ricoprì la carica di anziano nel 1334. Dal suo matrimonio con Vanna Sembrini nacquero tre figli: Giuseppe, Giusfredo e Margherita. Giuseppe probabilmente morì giovane. Margherita andò in sposa a Michele Simonetti da cui ebbe Caterina, la quale, rimasta vedova e senza figli, nel testamento del 1360 lasciò suoi eredi la nonna Vanna, ormai vedova, e lo zio Giusfredo.
Giusfredo di Nicolò fu uno dei più illustri rappresentanti della famiglia e principale artefice della sua futura potenza commerciale. Nato verso il 1340, si stabilì ben presto a Venezia, da dove diresse le attività commerciali la intraprese. Nel 1360 fu uno dei fondatori, e più tardi rettore, della cappella del Volto Santo e della Scuola dei Lucchesi a Venezia; e, per le sue benemerenze, gli fu concessa dal doge la "cittadinanza originaria". Il soggiorno veneziano non gli impedì tuttavia di mantenere i contatti con la madrepatria. Infatti quando Carlo IV scese in Italia nel 1368, e alla Repubblica lucchese si presentò la possibilità di essere liberata dalla soggezione pisana con l'aiuto dell'imperatore, Giusfredo fu tra coloro che si adoperarono maggiormente a tal fine, facendo pressioni presso il papa, i signori degli Stati amici e lo stesso imperatore e incoraggiando la patria anche con aiuti materiali; acquistò in tal modo un posto di tutto rilievo in seno al gruppo dirigente della Repubblica. Tornò a Lucca per stabilirvisi definitivamente nei primi mesi del 1369 o subito dopo l'editto di liberazione promulgato da Carlo IV (8 apr. 1369), dato che in una quietanza rilasciata a Venezia il 10 agosto di quell'anno, da Venceslao di Ratisbona, camerario imperiale, a lui, quale procuratore degli Anziani e del Comune di Lucca insieme con Enrico Sandei, e Orlandino Volpicelli, per il pagamento della somma di 42.000 fiorini, prima rata dei 100.000 fiorini richiesti dall'imperatore per il riscatto della città, egli è detto cittadino lucchese, mentre in una carta di procura stesa a Genova l'11 ott. 1368, in cui Giovanni di Poggio lo dichiara suo procuratore, è chiamato ancora cittadino veneziano. L'anno seguente fu chiamato a dare il suo contributo alla stesura delle nuove leggi e dei nuovi statuti del Comune. Nel 1370 fu a Padova in compagnia di Enrico Sandei presso Francesco da Carrara per ottenere un prestito di 3.000 fiorini, e nel 1374 si recò a Venezia per la restituzione di un prestito a quella Repubblica.
Le sue grandi ricchezze gli permisero in seguito non solo di far fronte, in parte, agli impellenti bisogni di denaro del Comune, che si trovava in difficoltà a rispettare le scadenze dei vari prestiti accesi per pagare il riscatto della libertà, ma di prestare denaro anche ad alcuni mercanti: sembra infatti che nel 1372 abbia contribuito e pagare il debito di 12.000 fiorini contratto dal Comune con Nicolò II d'Este, ed abbia inoltre prestato 7.000 franchi a Dino Rapopdi, debitore del cugino Giacomo. Divenuto uno degli uomini più influenti del mondo politico lucchese, fu solidale con il partito degli ottimati, che contrario alla fazione popolare dei Guinigi, nel Quattrocento, dopo aver avuto il sopravvento, dette il volto definitivo ella costituzione della Repubblica. Non sembra però si sia mai compromesso seriamente, poiché al momento di una nuova guerra contro Pisa nel 1397 fu fra i trenta commissari chiamati a fare la stima dei beni di tutti i cittadini per l'imposizione di una tassa straordinaria, necessaria al proseguimento della guerra. Fu eletto anziano per la prima volta nel bimestre novembre-dicembre 1371 e fu rieletto poi per sette volte: nel 1375, nel 1382, nel 1383, nel 1386, nel 1388, nel 1390, nel 1391, e, primo della sua famiglia, raggiunse nel 1376 la carica di gonfaloniere, che poi ricoprì ancora nel 1383 e nel 1390. Nell'ottobre del 1386 fu fra gli "electis et deputatis super balia et conservatione libertatis Lucane civitatis", magistratura straordinaria istituita per la prima volta il 5 ag. 1370 e nominata poi saltuariamente nei momenti più difficili per la città. Il 23 marzo 1382 era presente, ancora come facente parte del numero dei dodici "sapientium virorum" sulla Balia e conservazione della libertà, alla seduta del Consiglio generale in cui si decise di richiedere a Venezia la restituzione di tutti i documenti e privilegi che costituivano il fondamento della ripristinata Repubblica e sancivano i diritti della medesima su territori ormai perduti. Tali documenti infatti, "a buon fine e per amore di patria, erano stati trafugati da que' guelli che esularono allorché la città venne in servitù" (S. Bongi, Inventario del R. Arch. di Stato di Lucca, Lucca 1872, I, p. XIII). Il successivo 2 maggio poi venne istituita una Balia straordinaria "super privilegiis de Venetiis rehabendis", cui furono eletti tre cittadini per ogni terziere, fra i quali Giusfredo. Nel 1376 fu scelto nel terziere di San Salvatore per offrire ospitalità ai rappresentanti del papa, diretti a Sarzana per la firma della pace col Visconti, e nel 1386, sembra, fu commissario del palagio. Infine il vescovo di Lucca gli confermò nel 1408, forse ultima onorificenza, la carica di rettore di uno dei maggiori ospedali della città, già conferitagli dai consiglieri e dai conversi dell'ospedale. Le alte cariche e gli uffici pubblici ricoperti non gli impedirono tuttavia di dedicarsi alle attività commerciali fino agli ultimi anni di vita. È difficile però, allo stato attuale delle ricerche, poter ricostruire i tempi e i modi in cui si realizzarono i primi successi mercantili di Giusfredo e dei suoi familiari. Sappiamo che i loro primi banchi di commercio sorsero con tutta probabilità durante l'esilio veneziano della famiglia e forse per opera di Nicolò di Ugolino, padre di Giusfredo.
Quando però i suoi familiari lasciarono la città lagunare per rientrare a Lucca, fu appunto Giusfredo che si assunse il carico di dirigere e di incrementare le attività commerciali e finanziarie che i Cenami avevano iniziato a Venezia. L'impulso che Giusfredo riuscì ad imprimere loro e la fortunata espansione che esse conobbero sotto la sua oculata amministrazione ci sono testimoniate da un gruppo di lettere che gli furono inviate a Lucca nel 1375 dai suoi procuratori a Venezia, Castruccio Saggina, Giovanni Lazzari e Zuccaro Parigi, per tenerlo informato dell'andamento degli affari e per chiedergli consigli e direttive. L'attività principale della compagnia non si differenziava allora da quella tradizionale delle altre compagnie mercantili-imprenditoriali lucchesi specializzate nel commercio della seta: sete, panni e prestiti a usura. Interessa qui notare che Giusfredo era in buoni rapporti commerciali con esponenti delle maggiori compagnie lucchesi, come per esempio Nicolò Guinigi, Giovanni Fatinelli, e soprattutto Pietro Martini, Dino Rapondi e Betto Schiatta. Questi ultimi due, allora attivi a Bruges, si rivolgevano alla compagnia dei Cenami a Venezia per gli acquisti di seta cruda, che veniva inviata loro per mezzo di galee.
Particolare cura veniva usata - come risulta da una lettera del 23 febbr. 1375 - nel soddisfare le richieste di Betto Schiatta, che apparteneva a famiglia forse imparentata con i Cenami, e con il quale Giusfredo si proponeva di giungere ad una più stretta collaborazione d'affari. Due anni più tardi Giusfredo, Betto Schiatta, Pietro e Francesco Martini unirono le loro aziende in una sola, che operò soprattutto nelle Fiandre: risulta dal Libro della comunità dei mercanti lucchesi in Bruges, dove è registrato il giuramento prestato in quell'anno da Luizo Anguilla come fattore di tutti e quattro i soci. L'esponente principale della nuova compagnia sembra essere stato lo Schiatta, di cui si usò il sigillo, costituito da una "B" maiuscola inscritta in una circonferenza a sua volta sormontata lateralmente da una, croce latina. Nei due anni seguenti il nome di Giusfredo non appare nei documenti a noi noti della società, mentre vi figura di nuovo in quelli del 1380, quando divenne fattore Sinione Schiatta, dopo la scomparsa di Piètro Martini, probabilmente deceduto. L'attività della compagnia delle Fiandre è testimoniata ancora con la partecipazione di tutti i soci nel 1382 - quando anche Simone Schiatta divenne socio al pari degli altri ed il raggio d'azione venne esteso anche all'Inghilterra - e nel 1386, quando, scomparso Betto Schiatta, Simone Schiatta rimase "senza compagno né fattore di qua da' monti, in parte compagno di Giusfredo Cenami e Francesco Martini in Lucca in una ragione".
Per quanto riguarda le attività commerciali svolte da Giusfredo, nella madrepatria, appare significativo il legame con le aziende degli Schiatta e dei Martini. Infatti dai superstiti registri della Corte dei mercanti si ricava che, mentre nel 1372 queste due compagnie avevano una struttura organizzativa assai semplice - la, prima era costituita da un mercante, un fattore e due garzoni e la seconda, da tre soci-parenti con tre fattori -, nel 1381 esse furono sostituite da una grossa compagnia, senz'altro più forte economicamente e organizzativamente più complessa, nata dalla fusione delle compagnie Martini e Schiatta e dall'apporto determinante di Giusfredo. In essa ("Giusfredi Cenami e C.") Giusfredo, Francesco e Pietro Martini sono soci in Lucca con quattro fattori e cinque garzoni, mentre Betto Schiatta è loro socio "in una razione a Bruges" e tiene al suo servizio due fattori e tre "pueri". La permanenza dello Schiatta a Bruges è confermata anche dalle cronache lucchesi, le quali narrano che nel 1383 gli Anziani scrissero a Carlo VI per chiedere la restituzione di un carico di stoffe, sequestrato a Tournai e diretto a Betto Schiatta a Bruges. Nessuna delle tre parti in società sembra pero essere stata preponderante rispetto alle altre, dato che la compagnia non era segnata con un unico sigillo, ma ciascun compagno mantenne il proprio "signuni", valido anche per gli altri. Può tuttavia non essere un caso che, pur nella loro sostanziale differenza, i tre sigilli avessero un elemento in comune, la croce latina, che compare non solo nel "signum" dello Schiatta, ma ane;he in quelli di Giusfredo e dei Martini. È probabile anzi che Giusfredo abbia adattato il proprio "signum" - che alla croce latina aggiunge un tratto orizzontale con le iniziali - a quello dei soci, per indicare la loro uguaglianza e parità. Non sappiamo con precisione fin quando continuò a sussistere la società: dal Libro ... dei mercanti lucchesi a Bruges risulta che era ancora operante nel 1386, ma probabilmente protrasse la sua attività fin dopo il 1390, sino a quando Giusfredo non poté contare sul valido aiuto dei figli nella conduzione dei suoi affari. Dopo tale data troviamo infatti citati nei documenti due suoi figli, Marco e Guglielmo, come attivi a Bruges e a Parigi, mentre nel registro, della Corte dei mercanti relativo al 1407 altri due suoi figli, Nicolò e Pietro, compaiono come fattori nella sua ditta. Questa, pur risultando assai più piccola rispetto alla società costituita insieme con i Martini e lo Schiatta, essendo costituita da Giusfredo, ormai in età avanzata, senza compagni, tre fattori e due garzoni, aveva la prerogativa di poter godere dei vantaggi di una conduzione di tipo familiare. Da varie fonti ci vengono altre notizie sull'attività mercantile svolta da Giusfredo. Sappiamo che durante i viaggi che fece in Fiandra egli si fermò anche a Parigi, dove acquistò, come a Bruges, banchi di commercio ed unà casa, base delle future fortune dei Cenami in Francia, attiratovi probabilmente dalla potenza dei Rapondi, con i quali era già in relazioni di commercio e che nel frattempo erano divenuti suoi parenti. Nei primi anni del suo soggiorno lucchese, tra il 1370 e il 1375, infatti, aveva sposato Filippa (Pippa) Rapondi, figlia di Guglielmo e nipote del famoso Dino, in compagnia della quale nel 1390 andò a fare visita al papa Bonifacio IX. È interessante notare che proprio a partire dal suo matrimonio datano i maggiori successi commerciali di Giustredo, Questi fu anche procuratore di varie compagnie fra cui quella degli eredi di Gione di Bindo da Siena e compagni, in base alla procura stipulata a Pisa nel 1391. A testimonianza poi del ruolo da lui esercitato nel mondo economico lucchese resta la notizia delle cariche che egli ricoprì in seno al Collegio dei mercanti. Anche se i pochi registri pervenutici non ci consentono di ricostruirne l'elenco completo, molte fonti sono concordi nell'attestare che egli fu console e più volte consigliere della Corte dei mercanti tra il 1380 e il 1410; che a più riprese, nei periodi in-cui non ricoprì alcuna carica, fu tra gli "invitati" alle riunioni della Corte; che partecipò a comitati straordinari nominati per risolvere particolari questioni, come nel 1408, quando fu tra gli statutari incaricati di redigere gli statuti della stessa Corte.
Secondo l'uso che fu caratteristico del ceto commerciale italiano alla fine del Medioevo e durante il Rinascimento, Giusfredo investì nell'acquisto di terre e di beni immobili ingenti capitali. Tra il 1379 e il 1400 infatti comperò alcune case in Lucca e varie terre e ville nel contado: a Segromigno, a San Pancrazio, a Sittocchio, a Balbano, a Camaiore. Alla sua morte, avvenuta nel 1413, poté così lasciare ai suoi cinque figli - Pietro, capostipite del più importante ramo lucchese della famiglia, Guglielino, Nicolò, Marco e Dino - un cospicuo patrimonio, sia sotto l'aspetto della influenza politica sia sotto quello di proprietà immobiliari in Lucca e fuori di Lucca, destinato ad ulterriori futuri incrementi.
Dopo la morte di Giustredo, almeno due dei suoi figli, Marco e Guglielmo, continuarono ad abitare a Parigi e a Bruges seguitando ad amministrarvi i beni lasciati dal padre. Il 12 sett. 1396 Marco è segnato nel libro del Consolato lucchese a Parigi in società col fratello Guglielmo e con Francesco Martini. La società però non durò molto a lungo. Marco infatti, dopo aver abitato dal 1397 al 1400 a Bruges ed esser stato fattore della compagnia di Guglielmo Rapondi per il 1397, preferì tornare a Lucca, dove sposò una certa Caterina e dove morì nel 1423. Lasciava due figli: Giusfredo, che si spense di lì a poco, e Guglielmo, che operò con lo zio a Parigi sino al 1348, quando rientrò a Lucca per avviarsi alla carriera ecclesiastica, lasciando i suoi beni ai cugini. Canonico, divenne in seguito priore della chiesa e del monastero di S. Frediano, cui i Cenami rimasero sempre devoti.
Guglielmo di Giusfredo, dopo la partenza del fratello Marco, rimase solo ad amministrare i beni della compagnia in Francia e Fiandra. Dopo il 1393 e fino al 1398 il suo nome viene citato spesso nei documenti a noi noti tra quelli dei lucchesi residenti a Bruges; sappiamo che partecipò alla elezione dei consoli e dei consiglieri della comunità, e che di questa fa operaio nel 1398 e nel 1399. Il 3 ott. 1395 figura come mercante in compagnia con Giovanni Rapondi e Dino Schiatta; nel 1398 è fattore in Bruges della compagnia di Luzio Brunelli. Dall'inizio del sec. XV, Guglielmo lasciò Bruges, dove tornò forse più tardi, ma solo sporadicamente, e per seguire i suoi commerci; si stabilì a Parigi, dove aveva già soggiornato qualche anno prima, come è provato dal fatto che nel libro del Consolato lucchese di quella città compare segnato con la sua marca di commercio per il 1396, in società col fratello Marco e con Francesco Martini. Nella capitale francese esercitò esclusivamente la mercatura, trovando certamente un valido aiuto nella ricca famiglia Rapondi cui apparteneva sua madre. Nell'agosto 1403 rilasciò al tesoriere generale di Luigi duca d'Orléans una quietanza per il prezzo di alcuni drappi di seta venduti al fratello di Carlo VI; qualche anno più tardi forni di damasco ancora lo stesso principe. Non limitò la sua attività al commercio di stoffe: si occupò anche di pietre preziose, di cambio di valuta e di allevamento di cavalli. Sappiamo infatti che riforniva le scuderie del duca d'Orléans. Nel 1416 fu tra coloro che fecero pignorare i beni del defunto Jean duca di Berry per coprire i suoi debiti. La sua attività successiva fu soprattutto impegnata a regolare una questione di successione relativa all'eredità di Dino Rapondi.
Al termine di una lunga vertenza giudiziaria, i Cenami ricevettero dagli esecutori testamentari una somma di denaro e diversi immobili situati in rue de la Vieille-Monnaie, a Parigi. La fortuna di Guglielino non cessò di accrescersi grazie a prestiti fatti a diverse persone. Grazie appunto ad un prestito non restituito, poté acquistare con poca spesa parte della rendita sulla terra di Luzarches, preparandone così il possesso alla sua famiglia. Morì prima del 5 sett. 1454. Da sua moglie Jeanne, figlia di Jean Langlois e di Perette Maulin, ebbe numerosi figli: quattro maschi - Guglielmo, Pietro, Iacopo, Marco -, e due femmine, Giovanna e Acarda.
Guglielmo di Guglielmo dovette nascere prima del 1420: nel 1442, al momento dell'accordo sul testamento del Rapondi, agiva in nome proprio, era cioè maggiorenne. Figurava allora comproprietario coi fratelli delle case in Parigi e agì insieme con loro nel lungo processo per la terra di Luzarches. Morì prima del 2 sett. 1484, data in cui i fratelli Marco e Iacopo risultano tutori dei suoi figli Giovanni e Pandolfo, nati dal suo matrimonio con Marie de Daunes. Costei, rimasta vedova, sposò in seconde nozze Jean Nivert.
Giovanni di Guglielmo, laureato in legge, divenne nel 1511 canonico di Reims; amico e segretario dell'arcivescovo Robert de Lenoncourt, fu nominato vicedomino della chiesa di Reims nel 1521, e morì il 13 marzo 1536.
Iacopo, figlio di Guglielmo di Giusfredo, fu creato cavaliere e signore di Mas; possedeva, indiviso con i fratelli, i vari immobili ereditati dai Rapondi e quelli già appartenenti ai Cenami, ed acquistò in comproprietà l'Hôtel de Thorigny, che poi dovette abbandonare; proseguì col fratello Marco il processo relativo alla signoria di Luzarches. Morì nel 1484 o all'inizio del 1485. Aveva sposato Jeanne Sureau, figlia di Jean, signore di Sarceaux, Touffreville e Malauny, appaltatore dei magazzini del sale e governatore dell'Aides, la quale gli sopravvisse e gli dette quattro figli: Enrico, Luigi, Renato, Guglielmo. Enrico, laureato in teologia nel 1511, divenne rettore della facoltà e morì dopo il 1542, data in cui stese il testamento nel quale lasciava al collegio di Navarre 25 franchi di rendita.
Giovanna di Guglielmo di Giusfredo sposò un lucchese, Giovanni di Arrigo Arnolfini, prima del 1434; questa infatti è la data segnata sul quadro dipinto per loro da Jan van Eyck, e attualmente conservato alla National Gallery a Londra col titolo Ilcambiatore e sua moglie. Giovanna seguì le fortune del marito, che divenne consigliere del duca di Borgogna, Filippo il Buono, che lo nominò consigliere generale e governatore della Finanza in Normandia. Fu proprio Luigi XI che le concesse, grazie, alla sua nascita "ex sanguine regio", le rendite delle galee di Richebourg. Rimasta vedova e senza figli, lasciò i suoi beni al nipote Giovanni, figlio di Marco di Guglielino, con l'aiuto del quale aveva promosso una causa davanti al Parlamento di Parigi contro Antonio di Borgogna, debitore di 900 scudi d'oro il marito. Morì a Bruges il 13 ott. 1480, e là fu sepolta nella chiesa di S. Caterina, vicino alle spoglie del marito.
Fu Marco di Guglielmo di Giusfredo che fondò la fortuna della sua casa in Francia. Dopo la morte del nonno Giusfredo di Nicolò, i beni rimasero a lungo indivisi tra i vari membri; con lui, finalmente, si riunirono sotto una sola persona. Dopo trentaquattro anni terminava infatti, per l'intervento di Luigi XI in persona, il lungo processo relativo alla terra di Luzarches, che ormai riguardava anche le terre d'Ablon-sur-Seine e di Vaux-sur-Orge, con un accordo del 1484 fra Iacopo e Marco da una parte, in nome loro e dei nipoti, e Florence de Douzenville e Jean de Milly dall'altra: le signorie d'Ablon, di Vaux e metà di quella di Luzarches restavano ai Cenami. A questo punto Marco cedette i diritti sui beni della rue de la Vieille-Monnaie e si tenne le tre signorie, di cui era detentore di fatto, per acquistare in un secondo tempo l'altra metà di Luzarches. Sembra sia nato prima del 1440, dato che nel 1459 era creditore dello scudiero del delfino, quindi maggiorenne. Pare sia vissuto a lungo presso il cognato Giovanni Arnolfini - il quale risiedeva a Bruges - e che fosse in buoni rapporti col delfino, allora a Genappe. Godette del favore di Luigi XI, entrò a far parte dell'amministrazione finanziaria del Regno, fu "eletto di Parigi" e ricevette in dono dal re il castello d'Ablon. Divenuto "panettiere del sovrano", fu ricompensato per la sua devozione con il dono, nel 1479, di tutti i debiti che doveva riscuotere da Nicola di Poggio. Il favore che godette presso i sovrani frmcesi non diminuì sotto Carlo VIII, il quale gli concesse l'ufficio di usciere della Camera dei conti. Dopo l'acquisto totale del feudo di Luzarches e degli altri, si liberò della tutela dei figli del fratello Iacopo e si dedicò alle sue funzioni, all'amministrazione dei suoi affari e alla sua famiglia. Aveva sposato, verso il 1473, Dauphine de Condert, d'origine angioina. Ebbe tredici figli, di cui quattro morirono in tenera età; di essi, dieci soltanto ci sono noti per nome: Giovani. Carlo, Claudio, Luigi, Marco, Giacomo, Anna, Maddalena, Francesco, Giacomina. Marco morì il 23 maggio 1508.
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