MELLINI, Celso. –
Nacque a Roma nel 1500, secondo figlio maschio di Mario di Pietro e di Ginevra, figlia di Domenico di Andrea Cibo e di Bianchettina, sorella di papa Innocenzo VIII. Oltre al primogenito Girolamo, dal matrimonio nacquero anche Pietro ed Emilia. Al M. fu attribuito il nome di uno zio paterno morto nel 1498, canonico di S. Pietro, abbreviatore della Camera apostolica e vescovo di Montefeltro dal 1459. Un altro membro della famiglia, Giovanni Battista, era stato creato cardinale da Sisto IV nel 1476. I saldi legami nel mondo curiale dovuti a entrambi gli ascendenti, le costanti cariche pubbliche ricoperte dal padre nel Comune e la tradizione familiare ponevano il M. tra gli eredi dell’aristocrazia municipale romana.
Il M. fu destinato, insieme con i fratelli, a una formazione di alto livello, aiutato anche dal qualificato ambiente familiare.
La dimora dei Mellini era divenuta nella Roma del tardo Quattrocento luogo di aggregazione per intellettuali e letterati già con il nonno Pietro, quindi con Celso e Mario, secondo quanto attesta il De litteratorum infelicitate di Pierio Valeriano (G.P. Dalle Fosse), i cui dialoghi si ambientano proprio nella domus Millina, ubicata nei pressi di piazza Navona. Da ricordare inoltre la residenza suburbana di Monte Mario, quegli «Orti mariani» evocati nelle fonti come luogo di colta e raffinata convivialità, per esempio in una lettera dell’arcidiacono Alessandro da Sabbioneta a Mario Equicola datata 30 giugno 1519 (in Cian).
Dalla maggiore testimonianza biografica sul M., l’orazione funebre composta da Lorenzo Grana (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 3370, cc. 231-243; 11761, cc. 134-143, copia), è noto che il M. venne dapprima affidato a privati precettori, uno dei quali, stando alla ricostruzione di Gnoli, era Tommaso Pighinuzzi da Pietrasanta. Fu poi avviato allo studio delle discipline filosofiche e scientifiche – logica, fisica, aritmetica e geometria –, donde si guadagnò l’appellativo di Archelaus (dal nome del fisico maestro di Socrate). Dagli anni 1512-13 frequentò i corsi del Ginnasio romano; fu stimato da Damiano Siculo, docente di filosofia morale, nei ruoli della Sapienza del 1514 insieme con Paolo Giovio sulla cattedra di logica, del quale pure il M. fu allievo. Ma alla formazione del M. e del fratello Pietro (Girolamo morì prematuramente nel 1516) dovettero collaborare le frequentazioni intellettuali di famiglia, strettamente legate all’attività dell’Accademia Romana: da Angelo Colocci a Pietro Corsi, da Blosio Palladio a Valeriano. Per il magistero di Valeriano il M. e il fratello Pietro furono iniziati a una cultura filologica che ampliava i suoi interessi verso l’interpretazione simbolica e sapienziale dei testi letterari, senza per questo disancorarsi dai solidi fondamenti di un classicismo ciceroniano (su tale ruolo di Valeriano, cfr. il cenno polemico di Cristoforo Longolio in Defensiones duae, Venetiis s.d. [forse 1518], c. 47v; fu inoltre Pietro a raccogliere i materiali del corso universitario di Valeriano del 1522 sui Carmina di Catullo).
Sulla scorta dell’estrazione familiare e di un curriculum di studi tanto brillante, al M. fu affidato il compito di rivendicare l’orgoglio della tradizione romana, allorché si trattò di osteggiare l’ascesa dell’umanista fiammingo Cristoforo Longolio (de Longueil) nei ranghi intellettuali della Roma curiale. Nei primi mesi del 1519 Longolio rivolse ai conservatori del Comune di Roma una petizione di cittadinanza, che gli fu concessa. Nella reazione che ne seguì, non è noto con quali margini di autonoma iniziativa, il diciannovenne M. fu alla testa di coloro che insorserso contro il provvedimento con le modalità di una vera e propria causa da trattare «al modo anticho romano, cum oratione latine coram iudicibus» (Sanuto). In Campidoglio, alla metà di giugno 1519, il M. «con una lunga oratione e bella e tanto ben recitata quanto dir si possa, ha accusato costui [Longolio] inanti al Papa con tanta efficacia, che deplorando le calamità de Roma e de’ Romani fece piagner ognuno, e concitando odio contro el reo, commosse tanto li animi delli uditori […] e il papa istesso confessa essersi commosso mirabilmente» (lettera di Baldassarre Castiglione a Isabella d’Este del 16 giugno, in Gnoli, p. 54). Con questa appassionata Oratio in Christophorum Longolium perduellionis reum (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 3370, edita in Gnoli, pp. 99-118), unico documento della sua attività letteraria e della cui stesura non è neppure certo egli sia stato effettivo responsabile, il M. levò la sua veemente requisitoria, modellata sulle forme dell’eloquenza giudiziale ciceroniana, contro l’attribuzione del titolo di civis a colui che aveva infamato il nome romano con un’orazione In laudibus Francorum recitata a Poitiers nel 1508, nella quale si sosteneva la superiorità del popolo gallo su Roma. Ma dietro queste ragioni espresse si celava una più sostanziale presa di posizione del M. e dei letterati romani dinanzi all’affermazione di un agguerrito umanesimo d’Oltralpe, di cui Longolio, intransigente cultore del magistero ciceroniano, apparve come l’indesiderata avanguardia presso coloro che si consideravano i legittimi depositari dell’eredità classica. Nel frattempo si addensavano le ombre della minaccia luterana e maturava l’attacco contro la vacua mondanità intellettuale della Roma di Leone X, poi ben rappresentato dal Ciceronianus di Erasmo da Rotterdam (1528), che peraltro contribuì alla notorietà della questione longoliana.
Il M. morì nei pressi di Roma la notte del 20 nov. 1519, per annegamento in un torrente in piena, di ritorno a cavallo da una battuta di caccia nella tenuta pontificia alla Magliana, mentre si accingeva a riportare ai genitori la notizia di un privilegio in Sicilia appena conferitogli dal papa.
La risonanza dell’evento fu proporzionata al clamore della polemica dei mesi trascorsi, al punto da sortire una celebrazione in versi, seguita alle affollatissime esequie del dicembre 1519 in S. Maria del Popolo, che contribuì a creare il mito del paladino della romanità mancato nel fiore della giovinezza. Tale commemorazione funebre, composta da trentotto fra carmi ed epigrammi di ventiquattro autori, uscì con il titolo Lacrimae in Celsi Archelai Melini funere amicorum presso G. Mazzocchi, per la cura del fratello Pietro e con dedicatoria a Giovan Matteo Giberti, in cui si allude al ruolo di Valeriano nel promuovere l’iniziativa. Al compianto lo stesso Leone X volle unire la sua voce con un epigramma posto al centro della silloge (ibid., c. F 1r).
Fonti e Bibl.: C. Longolio, Orationes duae…. Eiusdem epistolarum libri quatuor, Florentiae 1524, passim; Id., Perduellionis rei defensiones duae, Venetiis s.d.; G.P. Dalle Fosse [P. Valeriano], Hieroglyphica, Basileae 1575, c. 379v; F. Sansovino, Della origine e de’ fatti delle famiglie illustri d’Italia, Venezia 1582, p. 31; I. Sadoleto, Epistolae quotquot extant …, I, Romae 1760, pp. 42 s., 58, 73; M. Sanuto, I diarii, III, Venezia 1880, coll. 273 s.; Erasmo da Rotterdam, Il ciceroniano, o dello stile migliore, a cura di A. Gambaro, Brescia 1965, pp. 262-264; D. Alveri, Roma in ogni stato, Roma 1644, pp. 51 s.; D. Gnoli, Un giudizio di lesa romanità sotto Leone X. Aggiuntevi le orazioni di C. M. e di Cristoforo Longolio, Roma 1891 (recens. di V. Cian, in Giornale storico della letteratura italiana, X [1892], vol. 19, pp. 157 s.); T. Amayden, La storia delle famiglie romane, II, Roma 1914, pp. 79-83 passim; C. Cecchelli, I Margani, i Capocci, i Sanguigni, i Mellini, Roma 1946, pp. 42-47; F. Ascarelli, Annali tipografici di Giacomo Mazzocchi, Roma 1961, pp. 126-128; M. Bevilacqua, De Celso Mellino eiusque in Longolium oratione, in Latinitas, XXXIII (1975), pp. 52-56; L. D’Ascia, Erasmo e l’Umanesimo romano, Firenze 1990, pp. 19, 201 ss.; J.H. Gaisser, Pierio Valeriano on the ill fortune of learned men. A Renaissance humanist and his world, Ann Arbor, MI, 1999, pp. 28-30, 309 s.; S. Benedetti, Motivi retorici e aspetti petrarcheschi nella difesa della romanità di C. M., in Petrarca e Roma. Atti del Convegno di studi… 2004, a cura di M.G. Blasio - A. Morisi - F. Niutta, Roma 2006, pp. 189-226; Id., Poesia funebre nella Roma leonina: appunti sulle «Lacrimae» per C. M., in Il petrarchismo. Un modello di poesia per l’Europa. Atti del Convegno, Bologna… 2004, II, a cura di F. Calitti- R. Gigliucci, Roma 2006, pp. 393-421; P. Farenga, Considerazioni sull’Accademia Romana del primo Cinquecento, in Les Académies dans l’Europe humaniste. Idéaux et pratiques, a cura di M. Deramaix et al., Genève 2008, pp. 66-71; S. Rolet, Pierio Valeriano ou la tentation de l’Académie, ibid., pp. 37 s.
S. Benedetti