MANCINI, Celso
Filosofo e scrittore politico, nato in Ravenna, non si sa in quale anno, morto ad Alessano nel 1612. Entrò nel 1555 tra i canonici lateranensi di S. Maria in Porto. Addottoratosi a Padova nel 1565, insegnò a lungo filosofia e teologia negli istituti della congregazione. Frutto di questo insegnamento è la sua prima opera, di dottrina e di metodo aristotelica, De cognitione hominis, quae naturali lumine haberi potest (Ravenna 1586). Nel 1590 fu da Alfonso d'Este chiamato alla cattedra di filosofia morale nello studio di Ferrara, dove ancora insegnava Francesco Patrizi. Con assai minore indipendenza di pensiero il M. continuò nelle sue interpretazioni aristoteliche in tre opuscoli: De somniis ac synesi per somnia, De risu ac ridiculis, De synaugia platonica (Ferrara 1592, Francoforte 1598). Al periodo ferrarese appartiene anche una sua opera mistica: Il padrino cristiano per formare i cavalieri di Cristo nel duello della morte (Ferrara 1592). Trasferito il suo ufficio religioso, a Roma, egli vi acquistò la fiducia di Clemente VIII, e a sostegno del pontificato romano scrisse il De juribus principatuum (Roma 1596) che gli valse il vescovato d'Alessano.
Nel De juribus principatuum, il 1° libro tratta delle origini e delle forme dello stato e della preferenza da accordarsi alla monarchia; il secondo definisce il jus principatus, o, come dicono, la ragione di stato; il terzo e il quarto trattano con rigidezza medievale della duplice potestà del pontefice, contrastando ai teologi avversi al potere temporale; il quinto libro tratta delle finanze pubbliche; il sesto degli ordinamenti militari, delle guerre e delle alleanze; il settimo espone la teoria delle leggi; il libro ottavo è uno dei soliti trattatì "de principe" il libro nono infine si occupa dei diritti del principe sopra le cose comuni, particolarmente della caccia e della pesca, e ritorna nel campo finanziario per definire i rapporti fra autorità civile e religiosa e difendere le decime e le immunità dei beni ecclesiastici. L'ordito e lo spirito dell'opera, scritta anche a confutazione del Bodin, del Botero e di Giusto Lipsio, delle cui idee peraltro risente, fanno assegnare al M. un posto fra quegli scrittori politici della Controriforma che furono fautori di una "cristiana ragione di stato" secondo i rinnovati concetti della scuola tomistica. Si distingue fra essi per un certo senso di realtà che lo fa interessare alla vita economica dello stato. Specialmente nella materia dei tributi, mettendo in rilievo i caratteri essenziali delle imposte, e cioè l'efficacia coattiva giuridica e la proporzionalità con la ricchezza dei privati, segnò, come osserva il Ricca Salerno, le prime linee di una dottrina che si doveva lentamente svolgere in seguito.
Bibl.: L. Rava, C. M. filosofo e politico del sec. XVI, Bologna 1888; G. Ricca Salerno, Storia delle dottrine finanziarie in Italia, 2ª ed., Palermo 1896, pp. 137-39.