GUARESCHI, Celso
Nacque a Roma l'11 febbr. 1906 da Rinaldo e da Cleonice Borelli. Si laureò a Roma in scienze naturali con lode nel 1928. Allievo di G. Cotronei, direttore dell'istituto di anatomia comparata, partecipò alle ricerche di quella scuola volte a indagare il comportamento di abbozzi embrionali di Anfibi trapiantati tra specie diverse per studiare la costituzione biochimica e la natura dei fenomeni di compatibilità. Con una borsa di studio del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), al Kaiser Wilhelm-Institut für Biologie, Entwicklungsmechanische Abteilung di Berlino, diretto da O. Mangold, si perfezionò in ricerche di embriologia sperimentale per completare, col metodo dell'espianto introdotto da H. Spemann e utilizzato in quell'istituto, i suoi lavori sulla determinazione degli organi dell'orecchio interno e in particolare sullo sviluppo dell'otocisti. Con circa venti lavori sulla morfologia sperimentale dell'orecchio interno di Anfibi, Anuri e Urodeli, il G. affrontò problemi fino allora trascurati dalla ricerca (come quello dell'epoca della determinazione dell'organo col metodo dell'espianto) e problemi già indagati col metodo dei trapianti etero e xenoplastici, portando gli abbozzi in ambiente biochimico differente; nonché problemi già sostanzialmente risolti per i quali cercò verifiche o approfondimenti. In tal modo il G. poté per primo dimostrare che, nello stadio da lui identificato, l'otocisti costituisce un sistema a mosaico, di cui il mielencefalo è l'organizzatore secondario. Proseguì trattando i temi dell'innervazione, della possibilità di sviluppo in ambiente xenoplastico, della localizzazione delle varie formazioni otiche nella vescicola appena introflessa, dell'indipendenza fra lo sviluppo dei canali semicircolari e della lagena e quello delle rispettive creste e macule di senso, della stretta dipendenza della capsula cartilaginea dalla vescicola otica.
Utilizzando il metodo della suscettibilità differenziale, con quello delle colorazioni vitali di piccole parti del germe, introdotto da W. Vogt, che permetteva un'analisi minuziosa dello sviluppo embrionale (Metodo combinato della suscettibilità differenziale e dei colori vitali per lo studio embrionale degli Anfibi, in Mem. della R. Accademia d'Italia, cl. di sc. fisiche, mat. e nat., V [1934], pp. 209-237), il G. riuscì a confermare l'origine duplice dell'occhio ciclope negli embrioni trattati con soluzioni di cloruro di litio e a provare che la zona encefalica frapposta agli abbozzi oculari non è lisata né deviata dalla normale differenziazione, ma soltanto inibita. Con queste esperienze mise anche in luce l'esistenza, nell'embrione ancora nella fase di gastrula, di una zona di alta suscettibilità, distinta da quella del blastoporo, e da cui si differenzieranno l'encefalo precordale e gli occhi.
La ricca produzione del G., circa ottanta lavori, annovera anche temi di zoologia, in particolare entomologia, con oltre trenta scritti dedicati agli Insetti, e citologia.
Il G. studiò l'adattamento degli Anfibi, sia adulti sia durante lo sviluppo embrionale, alle soluzioni saline, rifacendosi alle ricerche del fisiologo B. Brunacci, di cui utilizzò il metodo consistente nel porre bruscamente gli animali in soluzioni ad alta pressione osmotica, insieme con quello di altri autori, che eseguivano tale passaggio in modo graduale (Primi risultati microscopici ed ultramicroscopici sugli eritrociti degli Anfibi adattati alle soluzioni saline, in Boll. della Soc. italiana di biologia sperimentale, VI [1931], pp. 1-3).
Dedicatosi poi allo studio della ninfosi degli Insetti (Coleotteri, Lepidotteri, Ditteri) e sottoponendo le ninfe alla forza centrifuga, all'esposizione ai raggi ultravioletti, alle alte e alle basse temperature, il G. ne provocò, con l'arresto di sviluppo, varie malformazioni, o limitate alla zona addominale o molto più intense in questa zona che nelle parti anteriori. Ritenne che tali malformazioni fossero dovute a proprietà peculiari degli Insetti olometaboli, che presenterebbero zone di differente suscettibilità nell'organismo in metamorfosi.
Sui cromosomi giganti delle ghiandole labiali della larva di Chironomus plumosus e di altri Ditteri il G. riprese i lavori già iniziati nel laboratorio del Cotronei, apportando un ulteriore contributo con accurate ricerche in vivo e in vitro, oltre che con indagini fisico-chimiche. Concluse affermando che le formazioni endonucleari delle ghiandole salivari o labiali dei Ditteri, note come cromosomi giganti, possono trovarsi allo stato colloidale di sol o di gel secondo che siano invisibili o visibili, e in ogni caso in uno stato limite, tanto che piccole variazioni osmotiche dell'ambiente possono facilmente provocarne il passaggio dall'uno all'altro stato. Di conseguenza non si tratterebbe di formazioni con individualità e persistenza assoluta, come avevano sostenuto altri autori per i quali l'invisibilità sarebbe dovuta a un semplice fenomeno di idratazione, che, rendendo l'indice di rifrazione di tali formazioni molto vicino a quello del mezzo che le circonda, ne impedisce l'osservazione. Dimostrò anche che i cosiddetti cromosomi giganti non avrebbero una continuità genetica con i cromosomi mitotici, dato che i colloidi nucleari non mostrano alcuna struttura microscopica nel periodo tra l'ultima comparsa dei cromosomi mitotici delle cellule embrionali e la formazione dei cromosomi giganti, e fu portato a ritenere artefatti alcuni aspetti dei cromosomi giganti descritti da altri autori. Le sue conclusioni, pur concordando almeno parzialmente, con quelle di G. Ciaccio, secondo cui l'aumentata imbibizione faceva diminuire la concentrazione dell'acido nucleinico a tal punto da non essere rivelato dalla microfotografia a luce ultravioletta, affermavano che in ogni caso non si poteva negare la preesistenza dei cromosomi (Ricerche sui cromosomi giganti delle ghiandole labiali della larva di Chironomus plumosus e di altri ditteri, in Mem. dell'Acc. naz. dei Lincei., cl. di scienze matematiche, fisiche e naturali, s. 8, I [1947], pp. 115-179). Si trattava certamente di lavori complessi di ricerche eseguite con notevole cura e buona tecnica, che apportavano un contributo di originalità a un argomento molto discusso, ma non ancora approfondito.
Il G. volle chiarire quanto, nell'espressione delle tre forme (Chrysomelina, Nigrescens ed Elaterii) del coleottero fitofago del genere Epilachna, incidessero i caratteri fenotipici e quanto i genotipici, e definire quali si debbano considerare vere specie. A questo fine il G. condusse una serie di esperimenti su larve raccolte in natura, in differenti ambienti, e poté concludere che il genere Epilachna di Roma era costituito da una miscela di tre forme fenotipiche, Typica, Nigrescens ed Elaterii, in proporzioni variabili nelle varie stagioni, e in dipendenza delle condizioni ambientali.
Nel luglio 1939, il G. fu incaricato da S. Visco, direttore dell'Istituto nazionale di biologia del CNR, di compiere una serie di ricerche entomologiche presso il parco nazionale del Circeo, successivamente estese ad altri parchi nazionali. Dal 1942 al '50 insegnò zoologia a Modena, e, per incarico, anatomia comparata dal '42 al '45, e poi dal '46 al '48, biologia e zoologia generale. Nel 1950, fu chiamato a Cagliari sulla cattedra di zoologia generale e biologia generale e, successore di A. Stefanelli, nella direzione dell'istituto di zoologia e della stazione biologica di San Bartolomeo; fu anche direttore della sezione per le ricerche lagunari, fondata a Venezia dall'istituto di zoologia dell'Università di Modena nel 1945.
Preside della facoltà di scienze, a Cagliari, il G. ebbe un'intensa attività organizzativa, ampliando e potenziando l'istituto di zoologia, contribuendo all'istituzione dei corsi di laurea di scienze biologiche e di scienze geologiche. Nel 1957, ottenne dall'Università di Cagliari importanti finanziamenti per la stazione di biologia marina del Tirreno, di cui fu nominato direttore. Da parte delle autorità regionali gli furono affidati altri compiti nel campo degli studi sulla pesca, mentre intensificò quelli sulla fauna dell'isola.
Successivamente, s'interessò alla speleologia biologica, fondando nel 1955 il Centro speleologico sardo, con la collaborazione dell'antropologo C. Maxia, di Cagliari, del geologo S. Vardabasso e di altri studiosi, sotto gli auspici della Regione autonoma. Il centro ebbe come compito quello di coordinamento dell'attività esplorativa e scientifica dei diversi gruppi speleologici, l'attuazione del catasto speleologico, la valorizzazione e lo sfruttamento turistico delle grotte sarde. Grazie a quest'istituzione la facoltà di scienze fu dotata di un battello, varato nel maggio 1954 e denominato "Aplysia", dotato di un ecometro a onde ultrasonore Bendix, per il rilievo grafico del fondo marino fino a circa 1000 m di profondità, indispensabile per le ricerche oceanografiche che furono condotte dal G. in collaborazione con C. Anichini e G. Pini. Studiarono le variazioni diurne e stagionali del plancton nel golfo di Cagliari, le variazioni di temperatura della superficie, nonché la presenza di correnti superficiali nel Mediterraneo tra la Sardegna e la Tunisia e aggiunsero i rilievi ecografici dei fondali intorno alle coste sarde, per rilevarne la natura e i caratteri delle biocenosi del fondo, un lavoro analogo a quello già svolto nella laguna veneta.
Nel 1958, il G. fu tra i promotori delle manifestazioni dell'"Anno geofisico internazionale, le ricerche oceanografiche e la Sardegna", in collaborazione con il CNR.
Collateralmente a questi lavori, il G., in collaborazione con G. Serchi e C. Anichini, studiò sperimentalmente, sui ratti da laboratorio, l'azione antitumorale di alcuni complessi fosfo-riboflavin-metallici, senza però conseguire risultati di rilievo (Sull'azione antitumorale di alcuni complessi fosforiboflavinmetallici, in Giorn. italiano di chemioterapia, I [1954], pp. 214 s.).
Nel volume I problemi della specie (Firenze 1950), in cui condensò la letteratura scientifica di un secolo, prese in considerazione i concetti delle varie teorie evolutive, classificandole in quattro gruppi principali: il "lamarckismo", il "darwinismo", il "mutazionismo" di De Vries e infine le teorie "ortogenetiche" fra cui l'"ologenesi" sostenuta da D. Rosa.
Infine, in collaborazione con la sua assistente M.L. Tagliasacchi Masala, il G. intendeva iniziare uno studio sistematico sulla biologia della fauna termale della Sardegna. Dopo un primo lavoro sulle sorgenti termali di Sardara, il G., impedito dalla malattia che l'avrebbe condotto a morte il 18 nov. 1966, a Cagliari, lasciò queste ricerche che proseguirono e si conclusero grazie ai suoi collaboratori.
Opere: Ricerche sull'autodifferenziamento della vescicola otica trapiantata e sul differenziamento dipendente della capsula cartilaginea (esperienze su embrioni di Anfibi), in Boll. dell'Ist. di zoologia dell'Università di Roma, IV (1928), pp. 1-36; L'otocisti degli Anfibi Anuri considerata come sistema a mosaico. Dimostrazione sperimentale, in Rend. dell'Acc. naz. dei Lincei, cl. di scienze matematiche, fisiche e naturali, X (1929), pp. 120-122; Studi sullo sviluppo dell'otocisti degli Anfibi Anuri, in Wilhelm RouxArchiv für Entwicklungsmechanik der Organismen, 1930, vol. CXXII, pp. 179-203; Sul comportamento e sul destino dell'otocisti trapiantata xenoplasticamente degli Anuri negli Urudeli, in Boll. della Soc. italiana di biologia sperimentale, VII (1932), pp. 1-4; Osservazioni sulla degenerazione cheratinica della ghiandola dell'uropigio del pollo, in Boll. di zoologia, IV (1933), 3, pp. 101-105; L'adattamento degli Anfibi alle forti concentrazioni saline nel comportamento differenziale dei vari sistemi. V.Il comportamento dei globuli rossi, in Boll. della Soc. italiana di biologia sperimentale, IX (1934), pp. 650-652; Deduzioni ecologiche di alcune esperienze di adattamento di Anfibi alle forti concentrazioni saline, in Boll. di zoologia, VI (1935), pp. 139-142; Ricerche sperimentali sulla determinazione dell'orecchio interno degli Anfibi Anuri, in Monitore zoologico italiano, XLV (1935), suppl., pp. 315-318; Studi sulla determinazione dell'orecchio interno degli Anfibi Anuri, in Arch. di anatomia ed embriologia, XXXV (1935), pp. 97-129; Ricerche sperimentali sulla ninfosi degli Insetti, in Arch. zoologico italiano, XXII (1935), pp. 197-221; Saggio sulla morfologia causale dell'orecchio interno degli Anfibi, in Riv. di biologia, XXII (1937), pp. 1-19; Studi sulla "Epilachna chrysomelina" di Roma.I, in Boll. di zoologia, XII (1941), pp. 115-120; III, ibid., XIII (1942), pp. 17-24; (in coll. con A. Stefanelli), L'attività respiratoria della Calliphora eritrocephala durante il ciclo larvale e pupale, in Rend. della R. Acc. d'Italia, cl. di scienze matematiche, fisiche e naturali, s. 7, III (1942), pp. 1-7; L'evoluzione e le teorie evolutive, in Medicus, II (1946), 1, pp. 1-58; La stazione di biologia marina del Tirreno dell'Università di Cagliari, in La Ricerca scientifica, XXVII (1957), 7, pp. 1-4; Problemi attuali di biologia marina, in Boll. di zoologia, XXVI (1959), 2, pp. 653-668; I cromosomi giganti delle ghiandole labiali dei ditteri visti alla luce delle moderne concezioni sulla struttura ultramicroscopica del protoplasma, in Riv. di biologia, LIII (1960), pp. 27-40.
Fonti e Bibl.: Una bibliografia completa in C. Maxia, In memoria del prof. C. G., in Rend. del Seminario della Facoltà di scienze dell'Università di Cagliari, XXXVIII (1969), suppl., pp. I-XVII; G. Teodoro, Le ricerche compiute in Italia nell'anno XVI e.f. nelle varie branche della zoologia, in Atti della XXVII Riunione della Società italiana per il progresso delle scienze, Bologna… 1938, Roma 1939, pp. 49 s.; C. Conci, Repertorio delle biografie e bibliografie degli scrittori e cultori italiani di entomologia, in Memorie della Soc. entomologica italiana, XLVIII (1969), p. 931; C.G. Mor - P. Di Pietro, Storia dell'Università di Modena, Firenze 1975, p. 259.