COSTANTINI, Celso
Nacque a Castions di Zoppola (Udine) il 3 apr. 1876 da Costante e Maddalena Altan, famiglia di modeste condizioni, secondogenito di dieci fratelli. Il padre faceva il piccolo imprenditore edile; la madre apparteneva, a quanto scrisse il C., ad un ramo illegittimo dei conti Altan di San Vito al Tagliamento. Destinato a seguire il mestiere del padre, lavorò come muratore dall'età di undici anni. Nel 1892 però entrava nel seminario di Portogruaro, dove rimase fino al 1897, allorché si trasferì a Roma per iscriversi alla Accademia romana di S. Tommaso, dove conseguì la laurea in filosofia il 10 maggio 1899. Ordinato sacerdote il 28 dicembre successivo, svolse per molti anni attività pastorale nel Veneto: fu economo spirituale a Rorai Grande (Pordenone), poi vicario capitolare a Concordia (Venezia) dal 2 marzo 1901 per circa quattordici anni.
Risale a questo periodo il suo primo interesse per l'arte, che coltivò da dilettante come scultore con gusto prevalentemente accademico. Fondò così nel 1912 la Società degli amici dell'arte cristiana e nel 1913 la rivista Arte sacra, di cui fu anche direttore, mentre nel 1907 e nel 1911 pubblicava a Firenze Nozioni d'arte per il clero e Il Crocefisso nell'arte. Questa sua attività gli valse, poco dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, la nomina a reggente della parrocchia di Aquileia e a conservatore di quella basilica. Vi giunse l'8 luglio 1915 e vi rimase per due anni durante i quali ebbe modo di farsi conoscere ed apprezzare dai numerosi ed autorevoli visitatori della città. Con la disfatta di Caporetto dovette lasciare Aquileia, seguendo come cappellano le vicende dell'esercito nella ritirata, durante la quale si interessò per il salvataggio di opere d'arte. All'indomani dell'armistizio venne nominato vicario generale della diocesi di Concordia (3 nov. 1918-15 ott. 1919) e quindi, lasciata la carica per l'arrivo del nuovo vescovo, direttore del Museo archeologico di Aquileia. Vi rimase ben poco tempo: le sue qualità di prete estremamente attivo, aperto ai problemi della cultura e insieme fornito delle necessarie doti diplomatiche, ben introdotto negli ambienti militari e nazionalisti, lo fecero nominare (30 apr. 1920) delegato apostolico di Fiume, dove si era insediato dall'11 sett. 1919 Gabriele D'Annunzio.
Fin dall'arrivo si trovò a dover mediare tra le opposte correnti del clero di lingua italiana, portato a parteggiare per D'Annunzio, e quello croato, tendenzialmente ostile. Il C. seppe stabilire con D'Annunzio rapporti basati su reciproca stima, ma nel complesso, pur ammirandone l'arte e condividendone gli ideali nazionalisti, evitò di lasciarsi coinvolgere nell'impresa fiumana e non mancò di formulare critiche. Così il 5 sett. 1920 scrisse a D'Annunzio definendo l'Ordinamento della reggenza italiana del Carnaro, per la parte legiferante in materia religiosa, come un tentativo di instaurare un culto pagano. Così pure il 1º novembre successivo invitò D'Annunzio ad accettare i dettami del trattato di Rapallo, evitando di far scorrere sangue fraterno. Analoghi e più pressanti appelli gli rivolse dopo che aveva avuto inizio l'azione delle forze armate italiane contro la città, mentre nel contempo interveniva presso il loro comandante, gen. Caviglia, per raccomandare un generoso trattamento per i legionari e i marinai.
Come riconoscimento dell'opera svolta, il 22 luglio 1921 fu promosso alla sede titolare vescovile di Geropoli, e consacrato a Concordia il 24 agosto successivo. Ma neanche un anno dopo, l'11 giugno 1922, venne convocato a Roma dove Pio XI, evidentemente in considerazione delle doti diplomatiche e d'iniziativa da lui dimostrate, gli comunicò la decisione di nominarlo delegato apostolico in Cina, resa pubblica il 12 agosto seguente.
Il C. andava in Cina dopo che precedenti tentativi, esperiti dalla S. Sede durante il conflitto mondiale per istituirvi una rappresentanza diplomatica, avevano incontrato l'opposizione del governo francese, che continuava a considerarsi investito del protettorato delle missioni cattoliche in Estremo Oriente.
La nuova politica missionaria della S. Sede era stata delineata nel 1919 con la enciclica Maximum illud, e poco dopo il francese mons. de Guébriant delle Missioni estere di Parigi era stato inviato come visitatore apostolico in Cina (1919-20) per esaminare i modi di attuazione dei nuovi indirizzi. Al C. toccò quindi il compito di realizzare i nuovi programmi della S. Sede: potenziare nelle missioni l'importanza del clero indigeno, fino allora tenuto in posizione subordinata, e sottrarre le missioni a qualsiasi tipo di protettorato straniero, in particolare quello della Francia, ad evitare che da parte cinese esse fossero considerate come uno strumento della politica colonialista delle potenze occidentali. Compito non facile, perché urtava contro interessi radicati e sconvolgeva posizioni di privilegio. Mentre da un lato il C. poteva appoggiarsi ad alcuni missionari più aperti alle nuove idee, come il belga V. Lebbe, da parte di altri, sopratutto francesi, venne fatto oggetto di violente critiche. In questa campagna denigratoria, ispirata a sciovinismo nazionalista, si distinsero un prete secolare, J. B. H. Garnier (successivamente rimpatriato d'ordine della S. Sede), che pubblicò un romanzo, Le Christ en Chine (Paris 1928), per dimostrare la fallacia delle tesi del C. a favore di una Chiesa indigena, e il Journal de Pékin, considerato il portavoce della ambasciata francese in Cina. Il C. non reagì pubblicamente alle critiche, ad evitare di ingrossare una polemica che poteva solo andare a svantaggio della Chiesa, forte d'altra parte della certezza che la linea politica da lui sostenuta era quella giusta, anche se avrebbe dovuto essere stata applicata molto tempo prima per dare i migliori frutti.
L'opera del C. fu coronata da fatti di grande importanza, fra i quali il primo concilio plenario cinese, celebrato a Shanghai dal 15 maggio al 12 giugno 1924; la consacrazione episcopale, avvenuta a Roma il 28 ott. 1926, di sei vescovi cinesi, i primi dopo tre secoli, dato che il primo vescovo cinese, il domenicano Gregorio Lo (1616-1691), era rimasto senza successori; la fondazione della università cattolica di Pechino (1929).
All'inizio del 1933 il C. dovette tornare in Italia per sottoporsi a controlli medici che si conclusero con il suo definitivo richiamo dall'Estremo Oriente. Non per questo egli cessò di occuparsi di problemi missionari: anzi, la nomina a consultore della Congregazione di Propaganda Fide (3 dic. 1933) prima, a segretario della stessa (17 dic. 1935) e a rettore del Pontificio Ateneo urbano poi, gli permisero di continuare da una posizione direttiva e centrale la riforma delle missioni. Fu infatti durante questo periodo che venne autorizzata dal S. Uffizio su richiesta di Propaganda la traduzione del rituale nella lingua parlata in Oriente (9 maggio 1942), estesa poi alla messa (12 apr. 1949); che venne istituita la gerarchia in Cina (11 apr. 1946) e inaugurato il Collegio di S. Pietro apostolo (29 giugno 1948).
Promosso arcivescovo di Teodosia il 19 genn. 1946, il 12 genn. 1953 fu eletto cardinale e successivamente il 22 maggio 1954 cancelliere di S. Romana Chiesa. Morì il 17 ott. 1958 a Roma.
Il C. aveva continuato a interessarsi ai problemi dell'arte sacra, mantenendo però un atteggiamento ostile nei confronti delle opere di soggetto religioso degli artisti più moderni e innovatori, per i quali dimostrò scarsa comprensione. In questa linea raccomandò l'adozione di stili e modelli indigeni tradizionali nell'architettura delle chiese, e nella pittura e scultura delle immagini sacre nei paesi di missione, ritenendola utile a meglio adeguare la presenza della Chiesa alla sensibilità di quelle popolazioni ed a evitare che potesse apparir loro come straniera, emanazione del mondo colonialista occidentale. Estrinsecò queste tesi in numerose pubblicazioni (Arte sacra e novecentismo, Roma 1935; L'Arte cristiana nelle missioni, Città del Vaticano 1940), oltre che in vari articoli apparsi sulle riviste Fede e arte e Vita e pensiero, e soprattutto organizzando in occasione dell'anno santo del 1950 la mostra dell'arte nelle missioni e la mostra internazionale di arte sacra. Il C. lasciò fra l'altro tre opere a carattere autobiografico: Foglie secche, Roma 1948, in cui riassunse i principali episodi della sua vita fino al periodo fiumano incluso; Con i missionari in Cina (1922-1933), I, ibid. 1946; II, ibid. 1947; Ultime foglie, ibid. 1953, che tratta degli anni dal 1933 al 1953.
Fonti e Bibl.: Necr. in L'Osserv. romano. 19 ott. 1958; P. Londero, Il cardinale C. C., in Atti d. Accad. di scienze, lettere ed arti di Udine, II (1962), pp. 169-207; F. Spessot, Il cardinale C. C., in Memorie storiche forogiuliesi, XLIII (1958-59), pp. 346-351; U. Ojetti, Cose viste (1921-1943), Firenze 1960, pp. 264, 267, 351 ss., 754; H. Bernard Maitre, Un grand tournant des Missions catholiques au XX siècle, in Neue Zeitschrift für Missionswissenschaft, XVII(1961), pp. 241-256; E. Burich, Iricordi fiumani del cardinale C., in Fiume, X (1963), pp. 48-83; New Catholic Encyclopedia, IV, pp. 366 s.; G.Fornasir, Chiarimenti storici su alcune note di guerra 1915-1918 di C. C., U. Ojetti e G. D'Annunzio, in Atti della Accad. di scienze, lettere e arti di Udine, IX (1970-72), pp. 61-97; I. Metzler, Präfekten und Sekretäre der Kongregation in der neusten Missionsära 1918-1972, in Sacrae Congregationis de Propaganda Fide Memoria Rerum, Rom-Freiburg-Wien, III, 2, 1976, pp. 303-353; Il Popolo, (Udine), 14 nov. 1976, pp. 14-27, num. spec. dedicato al Costantini.