Čelovek s kinoapparatom
(URSS 1929, L'uomo con la macchina da presa, bianco e nero, 64m a 24 fps); regia: Dziga Vertov; produzione: VUFKU; fotografia: Michail Kaufman; montaggio: Elizaveta Svilova, Dziga Vertov; musica: A. Gran, M. Veisbein, V. Endrziewski (su indicazioni di Dziga Vertov).
Alcuni spettatori entrano in una sala cinematografica. Ha inizio la proiezione del film. La città dorme ancora. L'uomo con la macchina da presa si mette al lavoro e riprende un treno in corsa verso di lui. Una donna si sveglia. L'operatore riprende il risveglio della città. I mezzi di trasporto, gli esseri viventi, le industrie, tutto si mette in movimento. Alla stazione l'uomo con la macchina da presa segue alcune donne che salgono in vettura. L'immagine si blocca, siamo in sala di montaggio. L'operatore segue la vita della comunità: matrimoni, divorzi, funerali. Un'ambulanza corre per prestare soccorso sul luogo di un incidente. Alcune donne oziano, altre lavorano. Le industrie, le fonti di energia delle fabbriche, le centrali elettriche, le macchine... tra le quali la cinepresa. Le macchine si fermano, la giornata di lavoro è finita, è ora di divertirsi: eventi sportivi, un illusionista cinese che incanta i bambini, il vizio del cinema e quello dell'alcool, ma anche le chiese trasformate in circoli leninisti. Siamo di nuovo in una sala cinematografica, dove vediamo come funziona il cinema: esso coglie l'attimo, riproduce la vita. L'uomo con la macchina da presa ha infine conquistato il controllo del tempo e dello spazio.
Privo di qualsiasi spiegazione verbale, Čelovek s kinoapparatom è un abbagliante fuoco d'artificio del 'montaggio sovietico', giunto alla sua autentica perfezione alla fine degli anni Venti. La sua particolarità è quella di essere sia un film che un manifesto teorico. Dziga Vertov lo comunica nell'insolito e programmatico appello allo spettatore nei titoli di testa: "Questo film rappresenta un'esperienza di comunicazione cinematografica di avvenimenti visibili senza ricorrere all'aiuto di didascalie, di una sceneggiatura o di elementi teatrali (scenografie, attori, ecc.). Lo scopo di questa opera sperimentale è quello di creare un linguaggio cinematografico assoluto e universale, completamente libero dal linguaggio del teatro e della letteratura". Ambizione notevole, visto che si oppone a tutte le convenzioni del linguaggio cinematografico allo scopo di eliminarle.
A prima vista risulta difficile trovare un filo conduttore. Le numerose allusioni agli automatismi della vita quotidiana offrivano certamente dei riferimenti al pubblico sovietico del 1929; e paradossalmente questo è l'aspetto del film che richiede oggi alcune spiegazioni verbali. Lo spettatore contemporaneo, a cui questa vita è completamente estranea, in compenso è più preparato ad affrontare la forma complessa del film. Per Vertov il film non ha un solo soggetto, ma un'infinità, tutti provenienti dalla vita: "La vita più emozionante, quella che passa accanto all'operatore, ma che egli è in grado di arrestare e di fissare sulla pellicola". A partire da questi avvenimenti vissuti, è possibile costruire un'opera musicale, con "una corrente, ripetizioni, crescendo, una melodia di base e un accompagnamento". Nel film non vi è un solo tema, ma molteplici motivi che si intrecciano. Secondo la maggioranza degli storici del cinema, si tratta della giornata di una grande città. Ma questo 'racconto' s'inserisce anche nella proiezione di un film intitolato Čelovek s kinoapparatom, che ci mostra il lavoro dell'operatore all'inseguimento della vita. Un altro filo conduttore è quello della montatrice che "controlla questa vita, ne arresta il corso, la registra, la classifica, ecc.". A partire da questi motivi, si possono poi individuare diverse configurazioni: per esempio la vita di un uomo, dalla nascita alla morte. La forza di Čelovek s kinoapparatom consiste nella sua capacità di suscitare molteplici letture conservando un discorso coerente, a vari livelli.
Il linguaggio cinematografico di Vertov è quello del montaggio; il significato è prodotto dall'associazione di immagini riprese in luoghi e tempi diversi, passando da Mosca a Kiev a Odessa. La città del film è creata dal cinema. Numerosi effetti e dissolvenze si basano su giochi di parole per assumere varie funzioni a seconda del loro contesto, e Vertov si serve anche di effetti parodistici, come nella sequenza delle bagnanti oziose. Il film si appropria dello stereotipo cinematografico che condanna in blocco e trasforma il suo protagonista nell'eroe del cinema che auspica, riassumendo e perfezionando il lavoro iniziato da Vertov con la fondazione del cinegiornale sovietico. Tutta l'opera di Vertov lo allontana dal documentario per avvicinarlo alla poesia, o in questo caso alla musica. È qui che nasce il malinteso: il film è sempre stato giudicato in base alle sue capacità documentarie, che sono comunque immense. Ma Čelovek s kinoapparatom non se ne preoccupa, così come non gli interessa trasmettere un messaggio rivoluzionario verbale, come era sempre avvenuto fino a quel momento. Qui è il film stesso a essere un vettore della rivoluzione e non un suo riflesso. L'occhio della cinepresa è più perfetto di quello dell'uomo. Il montaggio stabilisce rapporti altrimenti impercettibili.
Nel 1929, periodo di violenti scontri politici, di rivoluzione culturale, di repressione, Vertov era già considerato sospetto e, allontanato dal centro di produzione di Mosca, lavorava a Kiev. Čelovek s kinoapparatom sembra un film apolitico e come tale venne condannato dalle organizzazioni del proletariato che dominavano il dibattito sociale. Eppure la sua ironia verso la persistenza del modello di vita borghese è inequivocabile: il film oppone il divertimento alla produttività, le mani curate delle donne che non lavorano a quelle attive delle operaie; tesse l'elogio della vita collettiva, dell'industrializzazione e dei grandi cantieri del piano quinquennale. Ma si spinge oltre, facendo del linguaggio l'oggetto della sua indagine filmica, affermando che esso deve essere uno strumento di interpretazione comunista del mondo, e non di alienazione e abbruttimento come l'alcol o la religione. E questo punto di vista è sempre parso inaccettabile ai settarismi e ai totalitarismi politici. Ecco perché Čelovek s kinoapparatom è stato il più bistrattato dei film di Vertov: considerato un'esperienza marginale e passato sotto silenzio, è rimasto dimenticato per quasi quarant'anni. Ancora nel 1953, in una critica al film, Umberto Barbaro parla dei suoi "errori [...] nell'attribuire un miracolismo alla macchina da presa che, per sua virtù, avrebbe la facoltà di scoprire il mondo, di cogliere automaticamente la vera essenza delle cose". Il film è stato riscoperto negli anni Sessanta, quando si è trattato di mettere nuovamente a nudo i meccanismi dell'illusione filmica. Da quel momento ciò che ha preso il sopravvento è forse la costruzione musicale del film, che rimane una delle opere sovietiche più commentate, programmate e distribuite (si contano non meno di quattro edizioni in DVD). Vertov è stato così ripagato, lui che rivendicava il diritto a realizzare "film che ne producessero altri".
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