Cellule staminali
di Angelo Luigi Vescovi
sommario: 1. Generalità, funzioni, definizione e proprietà. 2. Le cellule staminali embrionali. 3. Le cellule staminali ematopoietiche. 4. Le cellule staminali stromali del midollo osseo. 5. Le cellule staminali epiteliali. 6. Le cellule staminali cerebrali. 7. Le cellule staminali muscolari. □ Bibliografia.
1. Generalità, funzioni, definizione e proprietà
Le cellule staminali sono cellule dotate di caratteristiche funzionali piuttosto peculiari che le distinguono da tutte le altre cellule dei Metazoi: esse sono infatti cellule altamente immature, capaci di autorinnovarsi e di differenziarsi dando origine a uno o più tipi di cellule strutturalmente e funzionalmente mature. È necessario distinguere almeno due categorie principali di cellule staminali, quelle embrionali e quelle somatiche. Le prime, ovvero le cellule staminali embrionali, si trovano esclusivamente negli embrioni a stadi di sviluppo molto precoci - in particolare allo stadio di blastocisti - e si estinguono con il progredire dello sviluppo embrionale. Sono cellule essenzialmente totipotenti o multipotenti, cioè in grado di produrre tutti i tipi di cellule differenziate che si trovano nei vari tessuti di un organismo adulto. Tale caratteristica le distingue nettamente dalle cellule staminali somatiche, le quali possono avere origine sia fetale che adulta e sono tessuto-specifiche, risiedono cioè in particolari distretti tissutali (o nicchie) per dare origine ai vari tipi di cellule differenziate che costituiscono il tessuto in cui si trovano. Questo tipo di comportamento rende conto della funzione primaria delle staminali somatiche, nel complesso definibile come funzione di omeostasi e riparazione tissutale. Infatti, le cellule mature che compongono i vari tessuti corporei sono soggette a fenomeni fisiologici di invecchiamento e/o danneggiamento che ne alterano la funzione fino a determinarne la morte. Si rende quindi necessaria la loro sostituzione per mantenere intatta la funzionalità del tessuto di residenza. Si pensi al continuo e vitale ricambio dei cheratinociti cutanei o dei globuli rossi del sangue come ad esempi emblematici di questi processi. Le cellule staminali somatiche svolgono questo ruolo mediante la produzione continua e regolata di cellule mature nell'arco di tutta la vita. Una complessa serie di meccanismi di regolazione, molti dei quali non ancora chiariti, permette alle cellule staminali somatiche di generare elementi maturi del tipo e nel numero necessari al mantenimento dell'integrità strutturale e funzionale dei vari organi di residenza.
Chiarito che, nel complesso, i due tipi di cellule staminali hanno proprietà e svolgono ruoli diversi, si può procedere a fornire una definizione più completa ed esaustiva di cellula staminale, basandosi sulle particolari caratteristiche, comuni a entrambi i tipi, che permettono a queste cellule di svolgere in modo efficiente la loro funzione.
Le cellule staminali - spesso definite anche come cellule precursori - sono degli elementi cellulari 'madre' da cui originano altre cellule più mature, e pertanto una delle loro caratteristiche primarie è quella di essere cellule altamente immature o, meglio, altamente indifferenziate. Con il termine 'indifferenziate' si indica l'assenza di caratteristiche morfologiche, antigeniche e funzionali che sono invece tipiche delle cellule mature o differenziate a cui le cellule staminali danno origine. Per esempio, mentre le cellule mature del cervello, come i neuroni, possiedono una struttura tridimensionale allungata caratterizzata da processi molto lunghi e ramificati, contengono delle particolari proteine strutturali, dette neurofilamenti, e sono eccitabili, le cellule staminali somatiche cerebrali sono epitelioidi con processi virtualmente assenti, non esprimono neurofilamenti e non sono eccitabili.
La seconda - e forse più importante - caratteristica di un elemento staminale è la sua capacità di proliferare e nello stesso tempo di automantenersi o autorinnovarsi. In sintesi, una cellula (o una popolazione di cellule staminali) possiede la capacità di riprodurre se stessa per periodi di tempo virtualmente illimitati, garantendo il mantenimento di una riserva stabile di cellule staminali che possono rigenerare il tessuto nell'arco di tutta la vita. Questa capacità di automantenimento si deve alle peculiari modalità di divisione di queste cellule, che sono regolate da almeno due tipi di meccanismi. Il primo, prefissato a livello genetico (deterministico) e diffuso soprattutto negli Invertebrati, consiste nella capacità delle cellule staminali di dividersi asimmetricamente, così da dare origine, dopo ogni divisione, a una cellula identica alla cellula madre e a un'altra cellula più matura; in questo modo viene garantita la perpetuazione della componente staminale di un tessuto a prescindere dal numero di divisioni cellulari effettuate. Nei Vertebrati, in particolare nei Mammiferi, sembrano essere presenti anche altri meccanismi di automantenimento staminale, oltre alle divisioni di tipo asimmetrico. Uno di questi sembra coinvolgere non le singole cellule, ma l'intera popolazione di un dato tessuto od organo, all'interno della quale il numero di cellule staminali viene mantenuto costante attraverso un meccanismo di tipo stocastico, il quale fa sì che vi sia un rapporto di stretta eguaglianza numerica tra i due tipi di mitosi che le cellule staminali possono effettuare. Entrambi sono di tipo simmetrico e danno sempre origine a due cellule identiche tra loro (da cui la simmetria nella divisione).
Nel primo tipo, detto simmetrico proliferativo, si producono due cellule identiche alla staminale madre; nel secondo, detto simmetrico differenziativo, si ottengono due cellule eguali tra loro ma più differenziate rispetto alla staminale iniziale e quindi non più staminali. Risulta ovvio che la percentuale di cellule staminali all'interno di un tessuto o di un organo si manterrà a un livello costante quando i due tipi di divisione simmetrica avvengono con la stessa frequenza. Infatti, a ogni divisione viene prodotto il doppio del numero totale di cellule iniziali di cui, grazie al succitato equilibrio, metà sarà identico alla cellula madre. Quest'ultimo parametro viene anche definito come probabilità di automantenimento (PSM, Probability of Self-Maintenance). Quando la PSM equivale a 0,5 (cioè al 50%), il numero di cellule staminali in un tessuto si mantiene costante. Quando la frequenza delle divisioni simmetriche di tipo proliferativo eccede quella delle divisioni differenziative tale valore risulta ovviamente superiore a 0,5 e il numero di cellule staminali aumenta di generazione in generazione; ciò può verificarsi per ripristinare un normale numero di cellule staminali, quando alcune sono andate distrutte in seguito a malattie, infezioni, traumi, ecc. Viceversa, se la popolazione staminale è cresciuta in modo sregolato, oppure per patologie o danni di varia natura, la PSM può scendere al di sotto di 0,5 e pertanto il numero di cellule staminali diminuisce, portando, in casi estremi, all'estinzione della popolazione staminale, con conseguente distruzione dell'integrità tissutale che può causare gravi malattie e persino la morte dell'organismo.
La terza proprietà delle cellule staminali è la multipotenza, ossia la capacità di ogni singola cellula staminale di generare cellule mature di più di un tipo. Per esempio, le cellule staminali del sangue o quelle cerebrali sono multipotenti, in quanto sono in grado di dare origine le prime a globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, le seconde a neuroni, astrociti e oligodendrociti. Come già spiegato, le cellule staminali embrionali possiedono una multipotenzialità così elevata da essere definita totipotenza, essendo esse in grado di generare tutti i tipi di cellule mature di un organismo.
Sebbene la plasticità non venga normalmente inclusa tra le proprietà che concorrono a definire e identificare una cellula staminale, si ritiene opportuno illustrarla brevemente in quanto essa può essere considerata come una delle sue principali caratteristiche. Per plasticità si intende la capacità della cellula staminale di variare l'espressione delle proprie funzioni di proliferazione, automantenimento e differenziamento in relazione alle richieste del tessuto di residenza. Per esempio, se un danno di varia natura dovesse determinare una distruzione significativa delle cellule mature del tessuto, le cellule staminali potrebbero intervenire aumentando la velocità di proliferazione (producendo più cellule) o variando il tipo di cellule mature prodotte per favorire quelle più carenti o più necessarie. Un'altra manifestazione della plasticità staminale è già stata illustrata indirettamente, sottolineando come la PSM nelle popolazioni staminali possa variare in relazione a fluttuazioni numeriche, sia fisiologiche che patologiche, delle cellule staminali presenti in un tessuto.
Da quanto illustrato finora, emerge chiaramente come le cellule staminali permettano ai vari tessuti corporei di mantenere una struttura architettonica, citologica e biochimica tale da garantire il regolare svolgimento delle funzioni dei vari organi (v. Loeffler e Potten, 1997).
2. Le cellule staminali embrionali
Le cellule staminali embrionali, o cellule ES, nei Mammiferi derivano dalla massa cellulare interna (detta anche nodo embrionale o embrioblasto) della blastocisti prima che questa si impianti nella parete dell'utero. Come abbiamo già detto, le cellule ES sono in grado di dare origine a tutti i tipi cellulari presenti nell'organismo, sono cioè totipotenti in quanto capaci di differenziarsi in cellule dei tre foglietti embrionali - l'endoderma, il mesoderma e l'ectoderma - e anche di contribuire allo sviluppo delle cellule germinali (oociti e spermatozoi). Le cellule ES sono inoltre caratterizzate da una illimitata capacità proliferativa (automantenimento a lungo termine), da stabilità cromosomica (cariotipo diploide) e da una elevata capacità clonogenica (una singola cellula può originare una colonia di cellule geneticamente identiche; v. Smith, 2001).
Le cellule ES vengono identificate mediante la proteina codificata dal gene Oct 3/4, che funziona come fattore di trascrizione all'interno delle cellule e che deve essere costantemente espressa dalle ES per garantire il loro stato di totipotenza.
Grazie agli studi pionieristici condotti negli anni settanta e ai più recenti progressi delle biotecnologie, oggi è possibile isolare cellule ES da blastocisti e farle crescere in vitro con particolari metodiche che ne mantengono inalterate le proprietà di plasticità e totipotenza per alcuni anni (v. Evans e Kaufman, 1981). La loro capacità proliferativa non è dovuta ad alcun processo di immortalizzazione o trasformazione cellulare, ma rappresenta una caratteristica di stabilità funzionale intrinseca delle cellule staminali embrionali. Infatti, se queste vengono inserite in una blastocisti dopo essere state coltivate, possono integrarsi nel futuro embrione, crescendo e differenziandosi in tutti i tipi cellulari del nuovo organismo senza alterarne il normale sviluppo.
Recentemente sono state messe a punto particolari metodiche che guidano il differenziamento in specifici tipi cellulari delle cellule ES coltivate ed espanse in vitro. La coltivazione di cellule ES su uno strato di fibroblasti di topo irradiati (detto feeder layer) in presenza di differenti combinazioni di fattori di crescita nel terreno di coltura consente di far differenziare le cellule ES in colonie chiamate corpi embrioidi (EBs, Embryoid Bodies) da cui è possibile generare, ad esempio, una grande quantità di neuroni, cellule gliali, miocardiociti, precursori ematopoietici, osteoblasti e cheratinociti (v. Smith, 2001).
La scoperta che le cellule staminali embrionali murine sono in grado di proliferare indefinitamente e di dare origine a tipi cellulari diversi ha suscitato enorme interesse e ha stimolato le ricerche per isolare cellule staminali embrionali umane con lo scopo di utilizzarle a fini terapeutici.
Recentemente, sono state isolate cellule staminali umane a partire da embrioni in precocissimi stadi di sviluppo, ottenuti con tecniche di fecondazione in vitro (v. Thomson e altri, 1998). I risultati conseguiti sembrano indicare che le cellule embrionali staminali umane possono comportarsi in vitro come quelle murine, poiché mostrano una elevatissima plasticità e flessibilità nel generare qualsiasi tipo di cellula altamente differenziata.
Tuttavia, queste nuove linee di ricerca hanno aperto importanti problemi etici legati al fatto che le cellule ES sono ottenibili solo da embrioni. Nel caso delle cellule ES umane, la loro provenienza ha sollevato rilevanti problemi etici e religiosi e ha avviato un dibattito tuttora aperto e in attesa di una soluzione definitiva. All'uso delle cellule ES per finalità terapeutiche si contrappone la proposta di utilizzare cellule staminali somatiche. Nei capitoli successivi verranno presi in considerazione i tipi più significativi e meglio caratterizzati di cellule staminali somatiche presenti nei diversi tessuti dei Mammiferi e, in particolare, nell'uomo.
3. Le cellule staminali ematopoietiche
Le cellule staminali ematopoietiche (HSC, Hematopoietic Stem Cells) sono le cellule staminali somatiche più studiate e meglio caratterizzate. Esse si trovano prevalentemente negli organi ematopoietici e in particolare nel midollo osseo. Sono capaci di autorinnovarsi e di differenziarsi in 8-10 tipi di cellule mature del sangue e di essere mobilitate al di fuori del midollo osseo, trasferendosi nel circolo sanguigno.
Già negli anni sessanta sono stati condotti esperimenti volti a chiarire le caratteristiche di questi elementi staminali. Autori come James E. Till e collaboratori (v. Weissman e altri, 2001) hanno dimostrato che animali irradiati con raggi X - nei quali venivano inibite le divisioni cellulari provocando la rottura cromosomica mediante radiazioni ionizzanti - potevano comunque sopravvivere qualora venissero trasfusi con cellule del midollo osseo prelevate da un topo sano e immunologicamente compatibile con l'ospite. Questa procedura basata sul trapianto di cellule ematopoietiche in animali irradiati in modo letale rappresenta ancora oggi uno dei test più efficaci per determinare la presenza di cellule staminali ematopoietiche all'interno di una popolazione cellulare.
Nel sistema ematopoietico, le cellule staminali - che nel topo rappresentano circa lo 0,05% delle cellule di midollo - non costituiscono una popolazione omogenea. Infatti esse possono essere divise in tre popolazioni di cellule progenitrici aventi decrescente capacità di autorinnovamento: autorinnovanti a lungo termine (LT-HSC, Long Term-Hematopoietic Stem Cells), autorinnovanti a breve termine (ST-HSC, Short Term-Hematopoietic Stem Cells) e progenitori multipotenti senza capacità di autorinnovamento (NR-MP, Non self-Renewing Multipotent Progenitors). Queste popolazioni formano una linea genealogica cellulare continua, nella quale le LT-HSC danno luogo alle ST-HSC e queste generano le NR-MP. Muovendosi lungo questa direzione, le HSC perdono progressivamente la loro capacità autorigenerativa divenendo però mitoticamente più attive. Mentre le LT-HSC possono dare origine a cellule ematopoietiche mature per tutta la vita del topo - e possono essere considerate cellule staminali bona fide secondo tutti i criteri - le ST-HSC e NR-MP sono in grado di produrre cellule ematopoietiche mature nel topo irradiato, rispettivamente, solo per pochi mesi (2-3) o per poche settimane. Le cellule NR-MP danno luogo a due stipiti cellulari principali: quello linfoide e quello mieloide. Il primo produrrà sia i precursori delle cellule linfocitarie di tipo B, T e NK (Natural Killer), che genereranno poi le cellule mature con un ulteriore passaggio differenziativo, sia le cellule dendritiche. Il secondo, invece, darà origine ai precursori dei granulociti/macrofagi, dai quali a loro volta deriveranno i granulociti (sia neutrofili ed eosinofili, con vita media di 1-2 giorni, che basofili, con vita media di pochi giorni od ore), i macrofagi (vita media di pochi giorni) e le cellule dendritiche. I progenitori della linea mieloide daranno inoltre origine ai precursori dei megacariociti e degli eritrociti che produrranno, rispettivamente, le piastrine (che vivono mediamente 5-9 giorni) e gli eritrociti (vita media 120 giorni; v. Kerr, 1999).
L'autorinnovamento delle HSC è essenziale nel sistema ematopoietico e, nei fatti, critico per la sopravvivenza dell'intero organismo. Per fare un esempio, nell'uomo ogni giorno devono essere rimpiazzati parecchi miliardi di eritrociti e ciò non potrebbe avvenire in assenza della cellula staminale madre (LT-HSC). Come abbiamo già detto, le HSC possono sia autorinnovarsi, mantenendo le loro proprietà di cellule staminali, sia, alternativamente, dare luogo a cellule sempre più differenziate verso le diverse serie ematopoietiche. Sono tuttora da chiarire i meccanismi che controllano la scelta della via differenziativa da imboccare. Accanto a meccanismi di natura stocastica, sembrano coinvolti anche fattori di ordine ambientale, che determinano una selezione del tipo di cellule da produrre in base alle necessità dell'organismo in un dato momento.
Nel topo l'ematopoiesi inizia all'ottavo giorno di vita embrionale (E8; v. Weissman e altri, 2001) nelle isole sanguigne del sacco vitellino, che già a E8,5-9,5 è connesso al fegato del feto tramite la vena ombelicale. Il sacco vitellino contribuisce all'ematopoiesi durante lo sviluppo e, grazie alla migrazione delle HSC nel midollo osseo del feto, anche a quella della vita post-uterina. Si ritiene infatti che le HSC vengano mobilitate in almeno due successive ondate, prima da siti embrionali al fegato fetale, e in seguito da quest'ultimo alla milza e al midollo osseo, sede della ematopoiesi nell'adulto.
Il sito primario di localizzazione delle HSC è il midollo osseo e, infatti, per più di 40 anni le cellule HSC da utilizzare nei trapianti sono state prelevate dal midollo dell'osso iliaco. Va comunque osservato come sia difficile attribuire alle HSC un'unica nicchia di residenza. Esse infatti differiscono dalle altre staminali somatiche in quanto non aderiscono strettamente l'una all'altra, e migrano temporaneamente utilizzando il circolo sanguigno per poi tornare alla loro nicchia di origine. Attualmente, per il trapianto clinico viene preferita la raccolta di HSC dal sangue periferico circolante, in quanto è noto che un piccolo numero di HSC circola liberamente nel sangue e questo numero può essere incrementato da un'iniezione di citochine (come il fattore stimolante le colonie di granulociti) alcuni giorni prima della loro raccolta. Anche dopo questo trattamento le HSC presenti in circolo sono comunque molto diluite e pertanto occorre filtrarle e arricchirle usando dei marcatori cellulari. Questo metodo permette di aumentarne la resa dal 5 al 20%, portandola a un valore circa doppio rispetto a quello delle HSC ottenibili dal midollo osseo, con una conseguente più rapida integrazione nel paziente; si ottiene così una più veloce copertura immunoprotettiva in pazienti immunodepressi da trattamenti chemioterapici effettuati, ad esempio, in conseguenza di tumori al seno (v. Negrin e altri, 2000).
Il midollo osseo non è una struttura citologicamente omogenea: esso infatti contiene anche le cellule stromali, le quali, oltre a costituire la matrice di sostegno nella quale le HSC si differenziano, sono i progenitori di altri tipi cellulari, quali le cellule cartilaginee, le ossee, le adipose (v. cap. 4). Nello stroma di sostegno, le HSC sono localizzate nella parte assiale del midollo osseo, circondate da fibre di collagene e da altri componenti della matrice extracellulare. Inoltre, l'interno del tessuto stromale è molto ricco di vasi sanguigni dotati di una parete molto sottile (chiamati seni sanguigni) in cui si riversano le neoprodotte cellule del sangue.
Un'altra importante fonte di HSC, scoperta tra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta, è il sangue del cordone ombelicale e della placenta. In particolari condizioni fisiologiche, come per esempio durante stimolazione antigenica, anche la milza contiene HSC, seppure in misura limitata; nell'uomo, durante il primo trimestre di vita fetale, la milza è mielopoietica, ma perde tale proprietà con l'inizio della funzione ematopoietica del midollo osseo, mentre nel topo la funzione ematopoietica della milza viene mantenuta per tutta la vita, anche se in grado inferiore rispetto a quello proprio del midollo osseo.
Data la complessa disposizione delle cellule del midollo osseo, l'identificazione delle HSC risulta particolarmente difficoltosa, tranne che nel caso degli immediati precursori delle cellule sanguigne mature. La maggior parte dei protocolli d'arricchimento per le HSC si basa quindi sulla citometria a flusso (FACS, Fluorescent-Activated Cell Sorting), la quale permette di separare le cellule sfruttando la presenza di marcatori cellulari di superficie, di solito glicoproteine presenti sulla membrana cellulare ed espresse prevalentemente o esclusivamente in un particolare tipo di cellula. Numerosi marcatori sono comunemente usati per arricchire le HSC nel topo, quali ad esempio Thy-1 e Ly-6A/E, appartenenti alla superfamiglia delle immunoglobuline, e c-kit, che invece è un recettore tirosino-chinasico; nell'uomo vengono comunemente usati CD34, Thy-1, CD38 e c-kit, oppure KDR (recettore 2 per il fattore di crescita per le cellule endoteliali vascolari). In aggiunta a questi antigeni di membrana, sia nell'uomo che nel topo viene effettuata una selezione tramite un colorante vitale, la rodamina-123, in modo da distinguere le cellule sulla base della loro attività metabolica (v. Spangrude, 1994; v. Bonnet, 2002). L'antigene CD34, originariamente scoperto nel corso di uno studio volto a individuare anticorpi capaci di riconoscere delle sottopopolazioni di cellule ematopoietiche, è stato adottato come marcatore universale per le HSC. Peraltro, data la presenza di alcuni dei sopracitati marcatori (CD34) in alcuni tumori maligni ematopoietici, è sempre consigliabile un doppio criterio di selezione, ad esempio, la positività sia per CD34 che per Thy-1. Va inoltre sottolineato il fatto che può essere utile servirsi anche di marcatori negativi, cioè non espressi sulle HSC, come Lin (Lineage marker, un insieme di antigeni caratteristici delle cellule sanguigne mature), che è quello più comunemente trovato nelle cellule T, B, nei granulociti, nei monociti e nei macrofagi, nelle cellule eritroidi e nelle cellule NK, ma non nelle HSC. Per quel che riguarda invece le NR-MP, è stato possibile isolare i precursori che danno luogo alla linea mieloide e a quella linfoide fino a livelli di elevata purezza utilizzando un approccio analogo a quello adottato per le LT-HSC e le ST-HSC. In questo caso sono risultati buoni marcatori due tipi di recettori di membrana per citochine: il recettore per il fattore stimolante i macrofagi e i granulociti (GM-CSFR), espresso dai precursori della linea mieloide, e il recettore per l'interleuchina 7 (IL-7), espresso dai precursori della linea linfoide (v. Weissman e altri, 2001).
In vivo, le HSC sono esposte a numerosi fattori di crescita, sia solubili sia legati alla matrice extracellulare, che ne regolano l'attività e la cui identificazione potrà contribuire a stabilire le condizioni sperimentali ottimali per la manipolazione di tali cellule a fini sperimentali e terapeutici, anche ex vivo. Tra i fattori che incrementano la proliferazione delle HSC e delle cellule progenitrici citiamo Flt3 (che si lega a una tirosinachinasi della linea ematopoietica), SCF (Stem Cells Factor), eritropoietina, IL-6 e trombopoietina, i quali spesso espletano la loro azione sinergicamente, come accade, ad esempio, nel caso di IL-6, SCF e Flt3. Tra le componenti solubili, il TGF (Transforming Growth Factor) è in grado di aumentare la sopravvivenza delle HSC pur inibendone la proliferazione. Un effetto simile è espletato anche dalle varie componenti della matrice extracellulare - proteine quali integrine, caderine, selectine, mucine e molecole simili alle immunoglobuline - grazie all'azione di numerosi fattori trofici che vi si legano. Va inoltre sottolineato che nel midollo osseo le HSC sono a stretto contatto con le cellule stromali e quindi possono ricevere messaggi sia via gap junctions (espresse durante la fase di sviluppo delle cellule ematopoietiche) sia tramite recettori di membrana (ad esempio Notch e Jagged) che sono responsabili della determinazione del destino di numerosi tipi cellulari in Vertebrati e Invertebrati (v. Krause, 2002).
Il differenziamento da HSC a cellule mature implica l'attivazione di alcuni geni e la disattivazione di altri. Numerosi studi hanno però dimostrato che parecchie cellule pluripotenti esprimono, anche se a bassi livelli, geni in precedenza ritenuti peculiari di una specifica linea cellulare differenziata, suggerendo che le differenze fra vari tipi di cellule possano in realtà essere legate non tanto all'espressione selettiva di diverse molecole, quanto alla loro regolazione a livello quantitativo. La regolazione positiva dell'espressione di specifici geni della linea staminale ematopoietica è stata comunque analizzata da numerosi gruppi di ricerca utilizzando tecniche di rilevamento differenziale (differential display) e di ibridazione del DNA amplificato con la reazione polimerasica a catena (PCR). Queste tecniche hanno permesso di identificare altri geni - come SCL (che codifica un fattore di trascrizione a elica-giro-elica), RBTN2 (contenente un dominio che interagisce con SCL), GATA2 (che codifica un fattore di trascrizione a dita di zinco; GATA 1 e GATA 2 sono i fattori ematopoietici espressi più precocemente durante l'induzione del mesoderma), AML1 (che codifica un fattore di trascrizione avente azione sinergica con altri fattori trascrittivi) - il cui coinvolgimento nell'ematopoiesi è stato poi dimostrato analizzando l'alterazione dell'ematopoiesi indotta in topi knock out per quel gene, ossia in topi mutanti nei quali era stato eliminato il gene in questione.
Le cellule HSC sono state tra le prime cellule staminali a essere usate con successo in ambito terapeutico per il trattamento di pazienti leucemici o affetti da linfomi. In generale, questi trattamenti prevedono che le cellule neoplastiche vengano distrutte tramite irradiazione del paziente o chemioterapia, ma comportano anche la compromissione dell'apparato ematopoietico dell'ospite e la perdita delle cellule HSC, che vengono quindi rimpiazzate con cellule ematopoietiche prelevate da un donatore sano e immunocompatibile. Oggi, grazie alla donazione di HSC, vengono trattati pazienti affetti da leucemia linfoblastica, leucemia mieloblastica acuta, leucemia mieloide cronica, malattia di Hodgkin, mieloma multiplo. Si può adottare il trapianto allogenico di midollo osseo anche per il trattamento di malattie ereditarie del sangue, come l'anemia aplastica, la beta-talassemia, la sindrome di Blakfan-Diamonde, la leucodistrofia globale, l'anemia falciforme, le immunodeficienze combinate, le sindromi linfoproliferative legate al cromosoma X e la sindrome di Wiskott-Aldrich. Inoltre, anche difetti enzimatici ereditari, come la sindrome di Hunter, quella di Hurler, l'osteopetrosi e la sindrome di Lesch-Nyan, possono essere trattati con trapianto di midollo osseo.
4. Le cellule staminali stromali del midollo osseo
Il midollo osseo rappresenta una struttura unica, in quanto in esso coesistono e cooperano strettamente due diversi sistemi tissutali, quello ematopoietico (v. cap. 3) e quello stromale. Inizialmente le cellule stromali sono state studiate per il supporto ambientale che esse forniscono alle cellule staminali ematopoietiche, ma ben presto si è compreso che anche alcune cellule dello stroma fungono da progenitori delle cellule dell'apparato scheletrico. Le cellule stromali del midollo osseo (BMSC, Bone Marrow Stromal Cells) sono note sin dalla fine degli anni sessanta, grazie ai lavori di Alexander J. Friedenstein e collaboratori, i quali stabilirono che tali cellule sono aderenti, clonogeniche, non fagocitiche e fibroblastiche (furono infatti definite come unità formatrici di colonie fibroblastiche, CFU-F) e che potevano essere isolate dallo stroma del midollo osseo dopo la nascita. In appropriate condizioni sperimentali, quali ad esempio il trapianto in animali ospiti, le cellule stromali sono in grado di rigenerare un ampio spettro di tessuti connettivi differenziati, come l'osso, lo stroma che contiene le cellule ematopoietiche, il tessuto adiposo e occasionalmente anche la cartilagine. Numerosi sforzi sono stati compiuti nella ricerca di metodologie per l'isolamento di cellule stromali staminali con la più alta capacità di replicazione e di differenziamento. Molti laboratori hanno sviluppato anticorpi monoclonali allo scopo di individuare uno o più marcatori per selezionare le BMSC tramite FACS (v. cap. 3). A tutt'oggi, comunque, l'unico marcatore utilizzato per l'identificazione delle BMSC è Stro-1, sebbene bassi livelli di espressione di tale antigene si ritrovino anche nelle cellule ematopoietiche (v. Bianco e altri, 2001).
Il trapianto di BMSC per fini terapeutici potrebbe permettere la ricostruzione dell'osso nel caso di gravi lesioni per le quali non è prevedibile una guarigione spontanea.
5. Le cellule staminali epiteliali
La cute è l'organo di maggior estensione nel corpo umano, di cui costituisce quasi un sesto del peso totale. È formata da uno strato superficiale esterno di epitelio squamoso cheratinizzato, detto epidermide, da uno strato sottostante di tessuto connettivo fibro-elastico, detto derma, e da annessi cutanei, quali i follicoli piliferi e le ghiandole sudoripare.
I cheratinociti costituiscono il tipo cellulare predominante dell'epidermide e sono espressione di un processo dinamico che trasforma le cellule indifferenziate dello strato basale (cellule staminali cutanee) negli elementi terminali altamente differenziati (cellule cornee). Dalla stratificazione dei cheratinociti ha origine l'epidermide (tessuto epiteliale pluristratificato) nella quale è possibile distinguere lo strato basale (germinativo), lo strato spinoso, lo strato granuloso, lo strato lucido (presente nelle regioni palmari e plantari) e lo strato corneo. I cheratinociti, migrando dallo strato basale verso la superficie epidermica, subiscono delle modificazioni (meccanismo di cheratinizzazione) che li trasformano in corneociti, i quali sono cellule piatte, disidratate e prive di nucleo che vengono regolarmente eliminate con il meccanismo di desquamazione della cute.
L'epidermide umana si rinnova completamente ogni due settimane grazie alle cellule staminali somatiche epiteliali e alla concomitante attività mitotica dei progenitori epiteliali presenti nello strato basale. Le cellule staminali epiteliali presenti nello strato basale sono quiescenti e proliferano lentamente. Esse danno origine a una popolazione di progenitori epiteliali di transizione (transit amplifying cells), i quali hanno una elevata velocità proliferativa - ma per un limitato numero di cicli cellulari (circa tre-cinque) - che si esaurisce quando cominciano a differenziarsi (v. Watt, 2001). L'esistenza di una popolazione di progenitori di transizione garantisce la capacità di generare un elevato numero di cellule e limita la probabilità che nelle cellule staminali si possano accumulare mutazioni genetiche durante il rapido ricambio cellulare dell'epidermide.
Lo strato basale o germinativo dell'epidermide costituisce quindi la nicchia ristretta in cui sono localizzate le cellule staminali epiteliali, ma la loro identificazione all'interno di tale compartimento rimane ancora un problema, in quanto finora per queste cellule non sono stati trovati dei marcatori cellulari. Dati sperimentali evidenziano tuttavia che alcune molecole di adesione, quali l'integrina β1 e la E-caderina (Ephitelial-cadherin), potrebbero rappresentare dei buoni candidati per distinguere le cellule staminali dai progenitori epiteliali di transizione. Infatti, recenti studi dimostrano che l'integrina β1 (una molecola di adesione che regola i contatti cellula-lamina basale) è necessaria per mantenere i cheratinociti in uno stato indifferenziato e compartimentalizzarli nella nicchia germinativa, conferendo a queste cellule una elevata capacità adesiva alla matrice cellulare. Inoltre, le cellule staminali sembrano esprimere bassi livelli di E-caderina (una proteina presente nelle strutture di adesione cellula-cellula), forse al fine di ridurre i contatti cellula-cellula e consentire una rapida mobilitazione delle cellule nei compartimenti differenziativi. Altri potenziali marcatori delle cellule staminali epiteliali sono la proteina p63 (omologa alla proteina espressa dal gene oncosoppressore p53), alcune cheratine (la 19 e la 15), il fattore di trascrizione c-Myc e la proteina β-catenina nella sua forma non associata alle caderine. Sfortunatamente questi ultimi marcatori elencati, al contrario delle integrine e delle caderine, sono proteine espresse all'interno delle cellule e non possono essere utilizzate per selezionare le cellule staminali epiteliali con le tecniche descritte per le cellule staminali ematopoietiche.
Il numero di cellule staminali presenti all'interno della nicchia basale, così come quello dei progenitori di transizione, è finemente regolato da meccanismi che sembrano coinvolgere alcune proteine chiave, come ad esempio i fattori di trascrizione NF-kB e Wnt/β-catenina. Il fatto che queste stesse proteine siano mutate o mancanti in molti casi di tumori epiteliali suggerisce un coinvolgimento delle cellule staminali nei processi cancerogenetici. Sicuramente altri fattori presenti nel compartimento staminale - quali proteine della matrice extracellulare, proteine diffusibili (per esempio fattori di crescita, citochine e morfogeni), il contatto con le cellule presenti nella nicchia, stress ossidativi e meccanici - possono giocare un ruolo fondamentale nella regolazione dell'attività delle cellule staminali epiteliali.
La caratterizzazione delle cellule staminali epiteliali e la messa a punto di protocolli che consentono di coltivarle in vitro hanno aperto nuove frontiere nel campo delle applicazioni terapeutiche. Uno dei risultati più concreti e positivi di questo approccio è rappresentato dalla coltivazione in vitro di lamine di cheratinociti umani, attualmente usati per il trattamento di lesioni cutanee come ustioni e ulcere. Il progresso tecnologico ha consentito di creare una pelle artificiale completa, ovvero un sostituto cutaneo formato da uno strato di derma (fibroblasti) che sostiene e interagisce con uno strato di epidermide (cheratinociti). Lo scopo ultimo delle colture di cellule epidermiche umane è il miglioramento dei trapianti autologhi di pelle da utilizzare nella cura di diverse patologie umane, quali ustioni, vitiligine, psoriasi, ecc. (v. Bianco e Robey, 2001).
Un discorso a parte va fatto per le cellule staminali del follicolo pilifero, una struttura tubulare formata da strati concentrici multipli di cellule epiteliali deputata alla produzione del pelo. Alla base del follicolo si trova il bulbo pilifero, che racchiude la papilla dermica. La matrice del pelo è costituita da cellule simili a quelle dello strato basale dell'epidermide, che suddividendosi e differenziandosi danno luogo sia alla radice del pelo (parte intracutanea), sia alla guaina epiteliale interna che strettamente l'avvolge nelle porzioni profonda e istmica del follicolo. Dalla matrice del pelo si differenziano i tre strati costituenti la radice (midollare, corticale, cuticola) e i tre strati costituenti la guaina epiteliale interna (cuticola, strato di Huxley, strato di Henle). Il follicolo pilifero è una struttura ad attività ciclica, con una lunga fase di crescita (detta anagen), una fase di involuzione (detta catagen) e una fase di riposo (detta telogen). Dati sperimentali ottenuti dagli studi effettuati sull'epidermide murina e umana evidenziano la presenza di una nicchia di cellule staminali nel follicolo pilifero (v. Fuchs e altri, 2001). Questo distretto tissutale (detto bulge) contiene cellule capaci di dividersi e dare origine a progenitori cellulari che migrano verso la matrice e dai quali deriveranno i molteplici tipi cellulari presenti nel pelo. Una proprietà unica di queste cellule staminali epiteliali è la loro plasticità; recenti dati sperimentali evidenziano infatti che sono proprio le cellule staminali del follicolo pilifero a rigenerare i tessuti epiteliali in caso di ferite profonde o ustioni estese.
6. Le cellule staminali cerebrali
Dato che uno dei 'dogmi' della biologia ha sempre sostenuto che nel cervello adulto non vi è ricambio di cellule mature, la recente scoperta della presenza di cellule staminali cerebrali, che rappresenta ormai un fatto assodato, è stata fonte di notevole sorpresa. Alcune zone del cervello dei Mammiferi - prevalentemente nei Roditori, ma anche nei Primati inferiori e nell'uomo - sono sede di un continuo ricambio cellulare: nella corteccia del bulbo olfattivo, ma anche nelle strutture dell'ippocampo e forse in altre aree corticali, possono infatti essere inserite nuove cellule mature, in particolare neuroni, nell'arco di tutta la vita. I nuovi neuroni vengono generati da cellule staminali tripotenti (in grado cioè di dare origine a neuroni, astrociti e oligodendrociti) che nel caso dell'ippocampo risiederebbero all'interno dell'ippocampo stesso, mentre nel caso del bulbo olfattivo si troverebbero nello strato periventricolare che circonda i ventricoli laterali (meglio noti come primo e secondo ventricolo telencefalico). Le cellule staminali cerebrali periventricolari - delle quali conosciamo meglio le caratteristiche e il funzionamento essendo quelle meglio studiate nei Mammiferi - si trovano nello strato sottoventricolare o sottoependimale, immediatamente sottostante l'epitelio ependimale che riveste le cavità ventricolari telencefaliche (anche se la presenza di cellule staminali cerebrali è stata suggerita per tutta la zona periventricolare del neurasse, incluso il midollo spinale). In questa sede, le cellule staminali cerebrali sembrano essere un tipo particolare di astrocita (cellula cerebrale con funzioni trofiche e di supporto dell'attività dei neuroni), esprimono il marcatore astrocitario GFAP (Glial Fibrillary Acidic Protein) e vengono chiamate cellule di tipo B. Dividendosi raramente e lentamente, le cellule B darebbero origine a un tipo cellulare, detto C (funzionalmente analogo ai progenitori di transizione descritti per l'epidermide), che dal punto di vista citologico e ultrastrutturale si distingue per la presenza di un nucleo piuttosto grande, l'assenza di espressione di GFAP e per avere un ciclo cellulare relativamente rapido, stimato nell'ordine delle 12-36 ore. Le cellule di tipo C, dividendosi, darebbero poi origine al prodotto finale delle cellule staminali periventricolari, vale a dire a cellule unipotenti, sebbene ancora proliferanti, che possono differenziarsi esclusivamente in neuroni. Queste cellule, chiamate di tipo A, migrano attivamente dalla zona periventricolare fino alla corteccia del bulbo olfattivo grazie a un meccanismo di adesione omotipica, in virtù del quale esse aderiscono l'una all'altra formando catene migratorie che rimangono confinate all'interno di strutture tubulari costituite da cellule gliali (i gliotubi), le quali collegano la zona periventricolare al bulbo. Raggiunto il bulbo olfattivo, le cellule di tipo A assumono l'identità di neuroni maturi. L'inserimento di nuovi neuroni a livello olfattivo e ippocampale sembra correlato con fenomeni non ancora perfettamente chiariti di elaborazione e associazione di stimoli odoriferi nel primo caso, e con effetti di plasticità mnemonica e associativa nel secondo.
Una delle caratteristiche principali e più inattese delle cellule staminali cerebrali risiede nella loro incredibile capacità proliferativa e di amplificazione in appropriate condizioni ex vivo. In presenza di fattori mitogenici come EGF (Epidermal Growth Factor) e FGF-2 (Fibroblast Growth Factor 2), le cellule staminali cerebrali adottano un meccanismo di divisione in cui la PSM è costantemente e significativamente mantenuta a livelli molto superiori a quello di semplice automantenimento statico del numero (vale a dire superiori al valore di stato stazionario, PSM = 0,5), determinando un incremento rapido ed esponenziale del loro numero e una continua produzione di cellule tripotenti in condizioni controllate. Questo fenomeno è stato osservato nelle cellule staminali di molte specie, uomo compreso, sebbene in quest'ultimo caso gli esempi disponibili siano limitati a cellule cerebrali di origine fetale. La possibilità di generare quantitativi teoricamente illimitati di cellule staminali cerebrali in grado di produrre cellule cerebrali mature ha aperto nuove potenzialità per la cura delle malattie a carattere degenerativo del cervello. Va notato però che tali applicazioni rimangono al momento relegate esclusivamente nell'ambito della sperimentazione su animali da laboratorio. Non esistono per ora specifici marcatori di superficie per le staminali cerebrali adulte, che nel topo possono essere identificate sulla base di una scarsa espressione di due antigeni, detti HSA (Heat Stable Antigen) o mCD24a, e PNA (Peanut Agglutinin), anche se questi risultati devono essere ancora confermati definitivamente.
7. Le cellule staminali muscolari
Il muscolo scheletrico contiene un tipo di cellule, dette cellule satelliti, che svolgono il ruolo di precursori miogenici e possiedono caratteristiche staminali. Le cellule satelliti sono ritenute una fonte stabile e autorinnovante di cellule muscolari adulte e svolgono il loro ruolo funzionale durante la crescita e/o la riparazione tissutale. In contrasto con molti altri tipi di cellule staminali somatiche, le cellule satelliti sono unipotenti, in quanto normalmente danno luogo a un solo tipo di cellula differenziata, il miocita del muscolo scheletrico. Esperimenti di generazione e degenerazione delle fibre hanno consentito di evidenziare la capacità di espansione di tali cellule prima del loro differenziamento finale in cellula muscolare. Morfologicamente esse possono essere riconosciute per la posizione che occupano nei solchi tra la lamina basale e il sarcolemma delle fibre muscolari, mentre da un punto di vista dell'espressione genica sono caratterizzate dalla presenza di alcune proteine di adesione, come la M-caderina (Muscle-cadherin), il fattore di trascrizione Pax 7 e il marcatore di membrana CD34. Inoltre, le cellule satelliti non esprimono fattori di regolazione miogenica e questo le distingue senza possibilità di errore dalle cellule muscolari. Le cellule satelliti si sviluppano relativamente tardi durante l'ontogenesi; nel topo, infatti, appaiono a livello degli arti al giorno di vita embrionale 17,5 e continuano a rinnovarsi per tutta la vita con una velocità che non subisce variazioni dalla vita adulta (2 mesi) alla vecchiaia (2 anni; v. Seale e altri, 2001).
bibliografia
Bianco, P., Riminucci, M., Gronthos, S., Robey, P. G., Bone marrow stromal stem cells: nature, biology and potential applications, in "Stem cells", 2001, XIX, pp. 180-192.
Bianco, P., Robey, P. G., Stem cells in tissue engineering, in "Nature", 2001, CCCCXIV, pp. 118-121.
Bonnet, D., Haematopoietic stem cells, in "The journal of pathology", 2002, CXCVII, pp. 430-440.
Evans, M. J., Kaufman, M. H., Establishment in culture of pluripotential cells from mouse embryos, in "Nature", 1981, CCXCII, pp. 154-156.
Fuchs, E., Merrill, B. J., Jamora, C., DasGupta, R., At the roots of a never-ending cycle, in "Developmental cell", 2001, I, pp. 13-25.
Kerr, J. B., Atlas of functional histology, London: Mosby, 1999 (tr. it.: Atlante di istologia funzionale, Milano: Casa Editrice Ambrosiana, 2001).
Krause, D. S., Regulation of hematopoietic stem cell fate, in "Oncogene", 2002, XXI, pp. 3262-3269.
Loeffler, M., Potten, C. S., Stem cells and cellular pedigrees: a conceptual introduction, in Stem cells (a cura di C. S. Potten), London-San Diego, Cal., Academic Press, 1997, pp. 1-27.
Negrin, R.S. e altri, Transplantation of highly purified CD34+Thy-1+ hematopoietic stem cells in patients with metastatic breast cancer, in "Biology of blood and marrow transplantation", 2000, VI, pp. 262-271.
Seale, P., Asakura, A., Rudnicki, M. A., The potential of muscle stem cells, in "Developmental cell", 2001, I, pp. 333-342.
Smith, A.G., Embryo-derived stem cells: of mice and men, in "Annual reviews of cell and developmental biology", 2001, XVII, pp. 435-462.
Spangrude, G. J., Biological and clinical aspects of hematopoietic stem cells, in "Annual reviews of medicine", 1994, XLV, pp. 93-104.
Thomson, J. A. e altri, Embryonic stem cell lines derived from human blastocysts, in "Science", 1998, CCLXXXII, pp. 1145-1147.
Watt, F. M., Stem cell fate and patterning in mammalian epidermis, in "Current opinion in genetics and development", 2001, XI, pp. 410-417.
Weissman, I. L., Anderson, D. J., Gage. F., Stem and progenitor cells: origins, phenotypes, lineage commitments, and transdifferentiations, in "Annual reviews of cell and developmental biology", 2001, XVII, pp. 387-403.