MAGNO, Celio
Nacque il 12 maggio 1536, forse a Napoli, da Marcantonio, che ebbe altri tre figli: Pompeo, Alessandro e Giulia.
Marcantonio, cittadino originario veneziano, nacque verso il 1480. Mentre era coadiutore "ad officium consulum mercatorum" fu accusato di crimini contro la religione e la quiete pubblica, e il 21 febbr. 1502 venne bandito per decreto del Senato. Si ha notizia di suoi viaggi in Francia, Germania e Spagna, di cui mancano però conferme documentarie. Trovò finalmente protezione a Napoli presso i Carafa, prima al servizio del cardinale Oliviero, cui dedicò una Oratio de Spiritu Sancto recitata in Roma davanti al papa Giulio II nel 1509 (Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. lat., cl. XI, 85 [= 4194]), poi al servizio di Andrea e successivamente del nipote Galeotto, conti di Santa Severina. Nel marzo del 1516 pronunciò a Napoli un'orazione funebre per Ferdinando il Cattolico (Oratio in funere regis Catholici, stampata da S. Mayr con dedica ad Andrea Carafa). Per tutelare gli interessi dei suoi protettori si trasferì a Santa Severina, dove sposò una donna di cui ignoriamo il nome. Il 7 febbr. 1526, grazie ai buoni uffici di Carlo V e di Andrea Carafa, luogotenente generale del Regno di Napoli, ottenne dal doge di Venezia un salvacondotto perpetuo e il 24 febbraio ringraziò il Senato veneto in una pubblica orazione. Di seguito tornò nel Regno di Napoli ancora al servizio dei Carafa, e nel 1528 prese parte alla difesa della città contro le truppe di Odet de Foix visconte di Lautrec. A Napoli conobbe Giulia Gonzaga di Gazzuolo e alla metà degli anni Trenta divenne suo uomo di fiducia e procuratore per le questioni legali relative al feudo di Sabbioneta; in questa veste fu inviato a Milano nel 1541 e nel 1543, anno in cui probabilmente rientrò a Venezia. Fu amico e corrispondente di L. Ariosto, G.T. Casopero, D. Bonifacio, F. Alunno e P. Aretino. Fu vicino al cenacolo radunato a Napoli attorno a Juan de Valdés, di cui tradusse dal castigliano l'Alphabeto christiano dedicato a Giulia Gonzaga, facendolo stampare a Venezia nel 1545 presso N. Bascarini. Fra le sue opere in latino e volgare restano sette Libri sibillini (Ibid., Mss. it., cl. IX, 231 [= 6889]), che narrano in terzine la genealogia della famiglia Magno in chiave mitologico-fantastica. Marcantonio morì a Venezia il 23 ott. 1549.
Abbiamo scarsissime notizie sulla adolescenza e giovinezza del M., rimasto orfano a 13 anni: per certo ricevette una formazione giuridica che gli avrebbe permesso di esercitare la professione di avvocato fiscale almeno fino alla data del 13 febbr. 1572 (Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Miscellanea civil, 273, 16). Nella rubrica di una sua canzone il M. stesso ci informa di un viaggio in nave intrapreso nel 1562 verso la Siria per trattare alcuni negozi con il fratello Alessandro, segretario del provveditore dell'Armata di Levante, F. Bragadin.
Gli interessi culturali del M. si orientarono precocemente verso la poesia: il suo primo sonetto a stampa apparve in Del tempio alla divina signora Giovanna d'Aragona (Venezia, P. Pietrasanta, 1555). Molto giovane iniziò a frequentare il circolo intellettuale riunito attorno a Domenico Venier e aderì all'Accademia Veneziana, promossa da F. Badoer. Nell'atto fondativo dell'Accademia, datato 14 nov. 1557, era specificato come il M. fosse "tenuto, et ubligato a tradur, e correzer tutte le opere de la compagnia con ogni fede, e diligentia a la stampa, ac etiam a far tradur opere ne le lingue alemana, bohema, polona, et ongara, et ogn'altra qualunche lingua come farà bisogno" (Rose, p. 219), ma non si conosce nessun frutto di questo incarico. Probabilmente, per l'Accademia, e dunque fra il 1557 e il 1561, scrisse una Prefatione sopra il Petrarca (cfr. Taddeo, 1974, pp. 225-232), lezione appassionata che riprende spunti neoplatonici in difesa del grande poeta.
Numerose sue composizioni furono accolte in celebri e meno celebri raccolte miscellanee, oppure come rime di corrispondenza in canzonieri di contemporanei e nel paratesto di edizioni di suoi sodali letterari. La silloge più corposa, una trentina di componimenti, apparve nel volume De le rime di diversi nobili poeti toscani, curato da Dionigi Atanagi (Venezia, L. Avanzo, 1565). In questo giro di anni la sua opera più fortunata fu senza dubbio La bella et dotta canzone sopra la vittoria dell'Armata della Santissima Lega, nuovamente seguita contra la Turchesca, scritta per l'esito vittorioso della battaglia di Lepanto; fra il 1571 e il 1572 la canzone vantò alcune edizioni autonome uscite a Venezia e l'inclusione in numerose raccolte celebrative dell'evento. Sullo stesso tema il M. scrisse anche un Trionfo di Christo per la vittoria contra' Turchi, rappresentato il 26 dic. 1571 davanti al doge Alvise Mocenigo.
In riconoscimento delle sue capacità letterarie, e perché richiesto esplicitamente da A. Grimani come segretario personale nel suo incarico di procuratore in Dalmazia, il 21 febbr. 1572 fu assunto come notaio ordinario nella Cancelleria ducale, a quanto pare senza sostenere il consueto esame d'ammissione. Iniziò dunque a salire i gradini del cursus honorum nella parte più elevata della burocrazia veneziana, riservata alla cittadinanza originaria. Anche in grazia del servizio prestato fuori sede, il 23 sett. 1575 venne eletto segretario del Senato. In questa nuova veste si trasferì in Spagna al seguito dell'ambasciatore Andrea Biagio Badoer, che ricevette la commissione dogale il 13 ag. 1575 e fece ritorno in patria nei primi mesi del 1578.
Il 29 marzo 1586, prima di recarsi in pellegrinaggio al santuario della Madonna di Loreto, il M. redasse il suo testamento, in cui nominò erede di una modesta fortuna l'unico figlio Marcantonio, nato da un'unione illegittima e a quel tempo studente nell'ateneo padovano. Nel 1587 andò nuovamente in missione all'estero come segretario di A. Nanni, ambasciatore straordinario in Savoia accanto all'ambasciatore ordinario F. Vendramin, in carica dal maggio 1586 all'agosto 1589. Negli intervalli fra le missioni, e in seguito all'ambasceria in Savoia, il M. attese alle funzioni canoniche connesse al suo ufficio, adoperandosi specialmente "nelli più importanti negotij di stato, e per ultimo nel carico importantissimo e laboriosissimo della Corte di Roma" (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. IX, 171, c. 171r). In grazia di questi suoi impegni fu aggregato all'ambasceria inviata a Roma per salutare l'elezione di Gregorio XIV. La legazione fermatasi ad Ancona nell'ottobre 1591 a causa della morte del papa, venne riconfermata una prima volta in novembre per l'elezione di Innocenzo IX, repentinamente scomparso, e si svolse finalmente nell'ottobre 1592 per salutare l'ascesa al soglio di Clemente VIII.
La progressione del M. nei ranghi della burocrazia veneziana si fermò un gradino prima del vertice assoluto. Nel 1595 fu avanzata la sua candidatura a gran cancelliere, la carica più alta cui potesse aspirare un cittadino veneziano non nobile. Il M. non fu eletto, ma il 18 maggio dello stesso anno subentrò al nuovo cancelliere Domenico Vico nell'incarico di segretario del Consiglio dei dieci. In questo incarico di massima responsabilità - che gli offrì grandi onori, lo sottrasse alle fatiche delle missioni all'estero e gli diede stabilità economica - consumò gli ultimi anni della sua vita.
Il M. morì a Venezia il 6 apr. 1602 nella parrocchia di S. Maria Formosa.
Alla metà degli anni Settanta risale il primo, incompiuto, tentativo del M. di sistemazione organica delle proprie rime, affidato al Mss. it., cl. IX, 166 (= 3900), della Biblioteca nazionale Marciana. In seguito egli continuò a dedicarsi all'attività letteraria, che si svolse però in forma prevalentemente privata, illuminata da sporadiche testimonianze a stampa: fra queste ricordiamo la curatela delle postume Rime di m. Girolamo Molino (Venezia 1573), condivisa con Domenico Venier e Giovan Mario Verdizzotti, e una Canzone in morte del clarissimo m. Domenico Veniero (ibid., D. e G.B. Guerra, 1582).
L'ultima, fiorente, stagione della lirica del M. prese avvio dalla pubblicazione dell'ambiziosa canzone spirituale Deus, edita nel 1597 (Venezia, D. Farri) con corposo paratesto di discorsi introduttivi, lezioni accademiche e interpretazioni in chiave retorico-stilistica e sapienziale-ermetica a opera di Ottavio Menini, Valerio Marcellini e Teodoro Angelucci. Nel 1600 il canzoniere del M. vide la luce insieme con quello del suo amico più caro nel volume Rime di Celio Magno et Orsatto Giustiniano, pubblicato dal tipografo A. Muschio al termine di un processo di revisione e selezione durato a lungo, cui furono associati alcuni amici e confidenti letterari, come B. Guarini e, soprattutto, Menini. Il canzoniere si compone di 132 sonetti, 16 canzoni e 5 madrigali, circa metà dell'intera produzione poetica del M., oltre a 22 sonetti e una canzone inviati al M. come proposta o risposta. L'architettura del libro non è petrarchesca, nondimeno dimostra un'organizzazione meditata, che si sviluppa attorno a nuclei tematici riconoscibili: l'immagine della morte come meditazione sulla finitezza e sull'incertezza della vita umana, le glorie civili di Venezia e dei suoi cittadini, le rime spirituali che chiudono la silloge. La struttura è alleggerita da inserti di poesie schiettamente amorose, a tratti sensuali, che si aprono a un ventaglio di occasioni più lievi e a un'ambientazione bucolica. La poesia del M. si inserisce nella linea della lirica veneta del secondo Cinquecento, che prende avvio dal petrarchismo austero e maturo di G. Della Casa e si incarna nel versante autobiografico e moralistico della produzione di Domenico Venier. Mantenendosi distante da estremismi stilistici, il M. dimostra una certa affinità con la vena etica e civile coltivata nelle rime di Girolamo Molino e con il realismo autobiografico di Iacopo Zane. I calibrati sonetti e le canzoni orchestrate su schemi gravi e distesi, tessuti in una lingua saldamente petrarchesca che pure mantiene una certa autonomia dal modello, dimostrano grande sapienza tecnica.
A lungo i gravosi incarichi pubblici ostacolarono la sua dedizione alla letteratura, ciononostante, alla morte di Venier e di Molino, il M. rimase il punto di riferimento più eminente nel panorama della poesia veneta dell'ultimo quarto del Cinquecento, e anche T. Tasso gli chiese un parere sulla Gerusalemme. L'ampia sezione che raggruppa le rime di corrispondenza testimonia un dialogo continuo con numerosi rimatori, fra cui i veneziani Pietro e Girolamo Gradenigo e i napoletani Ascanio Pignatelli e Berardino Rota.
Il Mss. it., cl. IX, 160 (= 3894) della Marciana, successivo all'edizione delle Rime, tramanda un'ulteriore silloge di proposte e risposte intercorse, fra gli altri, con Angelo Ingegneri, Tommaso Stigliani e Giambattista Marino (quest'ultimo, fra il 1601 e 1602, durante un breve soggiorno a Venezia per curare la princeps delle proprie Rime, ebbe modo di conoscere il M. di persona). Il M. fu inoltre amico ed esecutore testamentario di Orazio Toscanella e nutrì un costante interesse per le arti figurative, come testimonia uno scambio di rime con Domenico Tintoretto, che ne dipinse anche un ritratto.
Tale magistero poetico, ampiamente riconosciuto in vita, non incontrò il favore delle generazioni successive, e le sue rime a oggi non hanno ancora conosciuto una ristampa integrale. Tappa fondamentale della sua riscoperta è da considerarsi l'inclusione nella Crestomazia poetica (1828) di G. Leopardi, che ne riecheggiò alcuni versi nelle proprie composizioni.
Componimenti del M. sono nelle seguenti antologie: Poesia del Quattrocento e del Cinquecento, a cura di C. Muscetta - D. Ponchiroli, Torino 1959, pp. 1384-1403; Cinquecento minore, a cura di R. Scrivano, Bologna 1966, pp. 1147-1168; Lirici del Cinquecento, a cura di L. Baldacci, Milano 1975, pp. 161-179; Antologia della poesia italiana, diretta da C. Segre - C. Ossola, II, Torino 1998, pp. 721-727, 797-799, 1478 s.; La lirica rinascimentale, a cura di R. Gigliucci, Roma 2000, pp. 933-953; Lirici europei del Cinquecento, a cura di G.M. Anselmi et al., Milano 2004, ad ind., nonché l'edizione elettronica in Archivio della tradizione lirica, a cura di A. Quondam, Roma 1997, che comprende anche le rime rifiutate ed estravaganti.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Miscellanea civil, 72, 11; 260, 6-7; 273, 16; Archivi notarili, Testamenti, 1190, 163; 1194, 6 (pubblicato in Mazza Boccazzi, pp. 172 s.); Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. IX, 171 (=2980), cc. 170r-171v; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, V, Venezia 1842, pp. 232-238 (per Marcantonio), 240-254 (per Celio); G. Marino, Epistolario. Lettere di altri scrittori del Seicento, a cura di A. Borzelli - F. Nicolini, Bari 1911-12, ad ind.; G. Zanella, Della vita e degli scritti di C. M. poeta veneziano del secolo XVI, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, VII (1880-81), pp. 1063-1075; A. Pilot, Anche C. M., in L'Ateneo veneto, XXVIII (1905), 1, pp. 163-178; Id., Notizie biografiche di C. M. lirico veneziano del Cinquecento, Treviso 1908; Id., Del protestantesimo a Venezia e delle poesie religiose di C. M. (1536-1602), ibid., XXXII (1909), 1, pp. 199-233; Id., Le canzoni di C. M. (1536-1602) in relazione con la lirica veneta del tempo, ibid., 2, pp. 117-155, 267-308; A. Lanza, La lirica amorosa veneziana del secolo XVI, in Annali della cattedra petrarchesca di Arezzo, V (1934), pp. 159-164; J. de Valdés, Alfabeto cristiano. Dialogo con Giulia Gonzaga, a cura di B. Croce, Bari 1938, pp. XXIV-XXVI; B. Croce, Letterati poeti del Veneto e dell'Italia meridionale alla fine del Cinquecento, in Id., Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, III, Bari 1945, pp. 298-302; Id., Il Marino e C. M., in Id., Terze pagine sparse, II, Bari 1955, pp. 178-180; W.Th. Elwert, Studi di letteratura veneziana, Venezia 1958, pp. 153, 157-159; R. Scrivano, Il manierismo nella letteratura del Cinquecento, Padova 1959, pp. 99-108; P.L. Rose, The Accademia Venetiana. Science and culture in Renaissance Venice, in Studi veneziani, XI (1969), pp. 217, 219; E. Taddeo, C. M. e Marino, in Studi sul Marino, Firenze 1971, pp. 133-141; P. Pagan, Il "Decameron" nella storia e nella cultura veneziana durante la peste del 1575-76, in Studi sul Boccaccio, VII (1973), pp. 339-351; E. Taddeo, Il manierismo letterario e i lirici veneziani del tardo Cinquecento, Roma 1974, pp. 127-169, 199-204, 217-232; Id., Leopardi lettore di C. M., in Letteratura e critica. Studi in onore di N. Sapegno, I, Roma 1974, pp. 635-647; C. Galimberti, Disegno petrarchesco e tradizione sapienziale in C. M., in Petrarca, Venezia e il Veneto, a cura di G. Padoan, Firenze 1976, pp. 315-332; P. Pagan, Una prefazione di C. M. al Petrarca, in Studi petrarcheschi, VIII (1976), pp. 231-256; G. Trebbi, La Cancelleria veneta nei secoli XVI e XVII, in Annali della Fondazione L. Einaudi, XIV (1980), p. 96; F. Erspamer, Per un'edizione delle rime di C. M., in Studi di filologia italiana, XLI (1983), pp. 45-73; C. Scalon, Tra Venezia e Friuli nel Cinquecento: lettere inedite a Francesco Melchiori in un manoscritto udinese (Bartolini 151), in Vestigia. Studi in onore di Giuseppe Billanovich, a cura di R. Avesani et al., Roma 1984, pp. 644 s.; F. Erspamer, Lo scrittoio di C. M., in Il libro di poesia dal copista al tipografo, a cura di A. Quondam - M. Santagata, Modena 1989, pp. 243-250; C. Galimberti, C. M. e il petrarchismo veneto, in Crisi e rinnovamenti nell'autunno del Rinascimento a Venezia, a cura di V. Branca - C. Ossola, Firenze 1991, pp. 359-372; J. de Valdés, Alfabeto cristiano, a cura di M. Firpo, Torino 1994, pp. CLII-CLX; B. Mazza Boccazzi, Ut pictura poësis: Domenico Tintoretto per C. M., in Venezia Cinquecento, XI (2001), pp. 167-175; G. Forni, Rass. di studi sulla lirica del Cinquecento, in Lettere italiane, LIII (2001), pp. 440 s.