NEGARVILLE, Celeste
NEGARVILLE, Celeste.– Nacque ad Avigliana, piccola località in provincia di Torino, il 17 giugno 1905, secondo di tre figli, da Angelo e da Rosa Bracotto.
La famiglia, di estrazione operaia, si trasferì a Torino nel 1912, quando il padre, già minatore nella regione tedesca della Ruhr e poi operaio presso le Ferriere di Avigliana, trovò lavoro alla Fiat. Si stabilirono nel popolare quartiere operaio di Borgo San Paolo, uno dei più sensibili alla diffusione delle idee socialiste.
Ottenuta la licenza elementare, entrò in una scuola tecnica che però dovette abbandonare dopo un anno a causa delle precarie condizioni economiche della famiglia. Entrò nel mondo del lavoro come impiegato presso alcune fabbriche torinesi (Diatto, Spa, Giachero, Garavini), continuando a frequentare per alcuni anni corsi serali professionali. Svolse anche il mestiere di elettricista presso il teatro Regio di Torino, cosa che gli consentiva, con suo grande diletto, di assistere gratuitamente alle prove generali degli spettacoli in cartellone.
In coincidenza con queste prime esperienze professionali ebbe inizio un graduale processo di avvicinamento al socialismo, che culminò nel 1919 con l’adesione alla Federazione giovanile socialista (pare che all’atto dell’iscrizione ebbe a dichiarare di avere già compiuto 15 anni, l’età minima richiesta per entrare a far parte dell’organizzazione, in luogo dei 14 effettivi).
La cosa destò non poco sconcerto nei genitori, in particolare nella madre, fervente cattolica e poco incline a tendenze ‘sovversive’, forse anche a causa dell’influsso esercitato su di lei dalla famiglia nobile torinese presso la quale prestava servizio. L’apprendistato politico si compì nella temperie del cosiddetto ‘biennio rosso’, durante il movimento dell’occupazione delle fabbriche, ma con un ruolo che probabilmente non andò molto oltre quello di semplice osservatore. Molto importante ai fini della crescita politico-culturale fu l’avvicinamento al gruppo dell’Ordine Nuovo, costituitosi nella primavera del 1919, e in particolare il rapporto personale con Gramsci esercitò su di lui un’indubbia influenza.
Nel 1921 aderì, come buona parte della gioventù socialista, al neonato PCd’I (Partito comunista d’Italia), sorto in seguito alla scissione all’interno del PSI (Partito socialista italiano). Già nel 1922 divenne segretario del circolo della FGCI (Federazione giovanile comunisti italiani) di Borgo San Paolo. Nello stesso anno subì il primo arresto, qualche giorno dopo la strage fascista di Torino del 18 dicembre; rimesso in libertà pochi giorni dopo e successivamente rinviato a giudizio, preferì evitare il processo espatriando in Francia: si stabilì a Parigi, dove trovò lavoro alla Renault con la qualifica di operaio. Conclusosi il processo a suo carico con una assoluzione per insufficienza di prove, tornò in Italia e riprese immediatamente il suo posto nel partito. Nel 1924 fu nominato segretario regionale piemontese della FGCI, ricoprendo lo stesso incarico, anche dopo l’emanazione delle leggi eccezionali del novembre 1926, in altre realtà locali (Triveneto, Campania, Puglia, Emilia).
Nel giugno 1927 fu nuovamente arrestato, questa volta a Bologna; il processo che ne seguì fu celebrato presso il Tribunale speciale per la difesa dello Stato nel 1928. Condannato a 12 anni e 9 mesi di reclusione, scontò la pena peregrinando da un penitenziario all’altro: Volterra, Castelfranco Emilia, Fossano, Civitavecchia. Trascorse la parte più lunga della sua detenzione a Civitavecchia, dividendo la cella con alcuni dei dirigenti più prestigiosi del partito – Girolamo Li Causi, Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia, Umberto Terracini – ed entrando a far parte del celebre collettivo costituito in quel carcere; i corsi di indottrinamento politico e di cultura generale che vi si svolgevano gli permisero di aumentare in maniera considerevole il suo bagaglio culturale.
Liberato in seguito ad amnistia nel 1934, dopo un breve soggiorno a Torino, riparò nuovamente a Parigi, dove gli venne affidata la guida della FGCI. L’anno successivo fu inviato a Mosca in qualità di rappresentante italiano presso gli organismi dirigenti dell’Internazionale comunista della gioventù, incarico che ricoprì per tre anni, proprio nel periodo del ‘grande terrore’, di cui poté respirare il clima di caccia alle streghe. Durante il soggiorno moscovita conobbe e sposò la russa Nora Rosenberg, che nel 1938 gli dette la sua unica figlia, Lucetta.
Nel 1938 tornò ancora a Parigi, dove riprese il suo lavoro alla FGCI, operando in un contesto che in breve tempo divenne sempre più difficile, a causa prima del patto tedesco-sovietico, poi dello scoppio della guerra, con la conseguente disfatta della Francia e il suo inserimento nell’orbita nazista. Nel 1940 fu cooptato nel Centro estero del partito, assieme ad Agostino Novella e Antonio Roasio, con il compito di gettare le basi di una ripresa il più possibile rapida dell’attività in Italia. Tornò in patria nel gennaio 1943 dopo nove anni di assenza assieme a Roasio, al termine di un avventuroso viaggio a piedi attraverso le Alpi Marittime. Stabilitosi a Milano, fu tra i principali organizzatori degli scioperi della fine di marzo 1943, che seguirono di pochi giorni quelli di Torino guidati da Umberto Massola.
Redasse materialmente il volantino che incitava gli operai milanesi alla lotta. Entrambi gli eventi ebbero un alto valore simbolico e furono da subito circonfusi da un alone di leggenda, utilizzato dai comunisti a fini di autolegittimazione politica. Lo stesso Negarville scrisse a Massola: «Bisogna fare molto “tapage” per valorizzare il successo» (Massola, 1973, p. 110).
Dopo la caduta di Mussolini del 25 luglio 1943 fu tra gli estensori dell’edizione straordinaria de l’Unità diffusa a Milano il giorno seguente. Dopo l’8 settembre si trasferì a Roma, dove fu tra i fondatori della direzione centrale del partito, in seguito divisasi tra Roma e Milano, e partecipò attivamente all’aspro dibattito sviluppatosi tra i due organismi dirigenti tra la fine del 1943 e i primi mesi del 1944 riguardo a più di una questione: dall’atteggiamento da tenere nei confronti di Badoglio, verso il quale manifestò inizialmente grande intransigenza, al progetto, che condividva, di costituire un unico centro direttivo con sede a Roma, fino al riconoscimento della leadership togliattiana, rispetto alla quale espresse qualche dubbio. Queste sue posizioni vennero superate con il ritorno di Togliatti in Italia nella primavera del 1944 e l’annuncio della ‘svolta di Salerno’, che chiarì una volta per tutte come la linea del partito dovesse essere finalizzata alla costruzione di un’ampia unità tra tutte le forze antifasciste; da allora Negarville fu uno dei più convinti sostenitori del nuovo corso togliattiano, cosa che gli consentì in breve tempo di diventare uno dei dirigenti di spicco del ‘partito nuovo’.
La sua figura risaltava anche per alcune caratteristiche personali: amore per la cultura, raffinatezza, eleganza, tanto da essere soprannominato il ‘marchese’, caratteristiche assai diverse dallo stereotipo dell’austero ‘rivoluzionario di professione’ allora in voga.
Nel maggio 1944 fu nominato membro della giunta del CLN (Comitato di liberazione nazionale) in sostituzione di Giorgio Amendola. Nel giugno dello stesso anno, dopo la liberazione di Roma, gli fu affidata la direzione de l’Unità, finalmente diventata legale.
Finita della guerra, a conferma di un prestigio politico in costante ascesa, ricoprì numerose cariche istituzionali e di partito: sottosegretario agli Esteri nei governi Parri e De Gasperi I, membro dell’Alta Corte di giustizia per i crimini del fascismo e della Consulta nazionale, del Comitato centrale e della Direzione del Pci, deputato all’Assemblea costituente
A questo periodo risale la sua partecipazione alla stesura della sceneggiatura del film Roma città aperta, emblema del neorealismo italiano, scritta assieme al regista Roberto Rossellini e a Sergio Amidei, da lui conosciuti durante l’occupazione nazista della capitale.
Dopo le elezioni amministrative torinesi del novembre 1946, che diedero la maggioranza alle sinistre, fu eletto sindaco al posto di Giovanni Roveda. La giunta da lui guidata si impegnò in particolare per fronteggiare la drammatica emergenza abitativa ereditata dalla guerra, dovendo tuttavia fare i conti con la grave crisi finanziaria nella quale versava il Comune. Poco più di un anno dopo, nell’imminenza delle elezioni del 18 aprile 1948, si dimise dalla carica per approdare in Senato, dove gli venne assegnato un seggio di diritto in quanto elemento perseguitato dal fascismo. Il legame con la sua città era destinato comunque a non interrompersi: negli anni seguenti venne infatti eletto prima segretario regionale, poi della federazione torinese del PCI.
Il deterioramento del clima politico del periodo della guerra fredda, con l’inevitabile restringimento per il PCI degli spazi di agibilità politica, danneggiò in maniera particolare un personaggio come Negarville, sempre propenso al dialogo. Di ciò diede prova ulteriore, quando dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948 intrattenne uno scambio di lettere con l’amministratore delegato della Fiat Vittorio Valletta, nel quale, pur criticando il clima repressivo instaurato nelle fabbriche, ribadì la disponibilità del suo partito al confronto.
Rieletto in Senato nel 1953, due anni dopo lasciò la segreteria della federazione torinese del partito per andare a dirigere il Movimento dei partigiani della pace.
Di fronte agli sconvolgimenti del 1956 assunse posizioni tendenti a valorizzare l’ampio dibattito sviluppatosi nella base del partito, soprattutto dopo la pubblicazione del rapporto segreto di Chruščëv al XX Congresso del PCUS (Partito comunista dell’Unione Sovietica), chiedendo di non soffocare una discussione i cui tratti positivi gli apparivano evidenti. Rispetto ai fatti ungheresi mantenne invece un profilo molto più defilato.
Dopo l’VIII Congresso del PCI (8-14 dicembre 1956) fu estromesso dalla direzione, forse a causa degli effetti del crollo della FIOM (Federazione impiegati operai metallurgici) alle elezioni delle commissioni interne della Fiat del marzo 1955, di cui i dirigenti locali dell’epoca vennero ritenuti in parte responsabili. L’amarezza che provò accentuò i gravi problemi di salute (soffriva infatti di una forma di cirrosi epatica acuta, contratta nonostante fosse quasi del tutto astemio).
Una conferma di tale stato d’animo viene da una testimonianza di Mario Pirani (2010, p. 279), che lo incontrò pochi mesi prima della sua morte; appresa l’intenzione del suo interlocutore di lasciare il PCI, Negarville avrebbe risposto così: «Vattene, caro Pirani, vattene appena puoi. Sono giunto alla conclusione che lo farei anch’io, se non fossi ridotto come sono, con poco tempo da vivere ormai».
Nonostante la malattia si candidò alle elezioni del 1958, conquistando un seggio alla Camera.
Morì a Roma il 18 luglio 1959.
Fonti e Bibl.: Molti dati sono stati raccolti in una conversazione con Lucetta Negarville. Archivio centrale dello Stato di Roma, Casellario politico centrale, b. 3507; Torino, Fondazione Istituto piemontese A. Gramsci, Archivio PCI, Federazione di Torino, Fondo Garelli, Biografie, fasc. 1.1/4; La disciplina nelle fabbriche: scambio di lettere fra il sen. Negarville e il professor Valletta, Torino 1948; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, I-V, Torino 1967-75, ad ind.; U. Massola, Gli scioperi del ’43. Marzo-aprile: le fabbriche contro il fascismo, Roma 1973, ad ind.; L. Longo, I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, Roma 1973; O. Negarville, La pazienza e l’ironia. Biografia di un militante comunista, 1977 (dattiloscritto non pubblicato consultabile presso la biblioteca della Fondazione Istituto piemontese A. Gramsci), ad ind.; R. Martinelli, C. N., in Il movimento operaio. Dizionario biografico. 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, Roma 1977, pp. 656-659; A. Roasio, Figlio della classe operaia, Milano 1977; P. Spriano, C. N., in F. Borio, I sindaci della libertà. Torino dal 1945 ad oggi, Torino 1980, pp. 139-144; M. Grandinetti, Le sinistre e il governo della città. Torino 1945-1951, inStoria del movimento operaio del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, a cura di A. Agosti - G.M. Bravo, IV, Bari 1981, pp. 519-554; Quel terribile 1956. I verbali della Direzione comunista tra il XX Congresso del PCUS e l’VIII Congresso del PCI, a cura di M.L. Righi, Roma 1996, ad ind.; C. Boccazzi Varotto, C. N., in I deputati piemontesi all’Assemblea Costituente, a cura di C. Simiand, Milano 1999, pp. 359-364; P. Mattera, C. N., in Dizionario della Resistenza, II, Torino 2001, pp. 596 s.; A. Ballone - F. Loreto, Sergio Garavini. Il sindacalista politico, Roma 2010, ad ind.; M. Pirani, Poteva andare peggio. Mezzo secolo di ragionevoli illusioni, Milano 2010, ad indicem.