CEFALU
CEFALÙ (gr. Κεϕαλοίδιον; lat. Cephaloedium; arabo Qal'at Juflūd)
Città sulla costa settentrionale della Sicilia (prov. Palermo), adagiata ai piedi del versante occidentale della massa calcarea della Rocca, che un giogo separa dal retrostante sistema collinoso-montano delle Madonie.
Le fonti citano C. per la prima volta nel 396 a.C. (Diodoro Siculo, XIV, 56); presa con il tradimento dai Romani nel 254 a.C., divenne civitas decumana (Diodoro Siculo, XXIII, 77). L'impianto urbano a cardini e decumani risale probabilmente all'età ellenistica; recenti scavi nell'area della cattedrale normanna hanno restituito ampi tratti del selciato romano allineati con la sopravvissuta rete viaria, oltre a uno strato intermedio con un mosaico pavimentale bizantino (Tullio, 1985, figg. 35, 42). A S-O dell'area urbana è la necropoli ellenistico-romana (Tullio, 1984, p. 59).Scarne sono le notizie negli annalisti arabi sull'assedio dell'838 (Ibn al-Athīr, Kitāb al-Kāmil al-Tawārīkh), la distruzione dell'857 (Ibn ῾Idhārī, Kitāb al-bayān al-Mughrib) e le ripetute conquiste. Quali testimonianze materiali del dominio islamico sono note solo due stele funerarie conservate al Mus. Mandralisca (Amari, 1875-1885; Tullio, 1979), che sono peraltro di incerta provenienza. Predata dal conte Ruggero nel 1063 (Goffredo Malaterra, De rebus gestis Rogerii, II, XXXIV), non è noto quando C. venne definitivamente occupata dai Normanni; nel 1145 fu infeudata da Ruggero II (1130-1154) al neofondato vescovado (Rollus Rubeus, Privilegia ecclesiae Cephaleditanae; Pirro, Cephalaeditanae ecclesiae episcopalis notitia quinta).Le mura megalitiche, forse della fine del sec. 5° a.C., poste sulla scogliera settentrionale, mostrano reintegrazioni e sopraelevazioni costruite con tecniche diverse, forse di età bizantina (Tullio, 1989, p. 17). Ruggero II fece costruire nuove mura (Ugo Falcando, La Historia) che in parte si appoggiavano alla cinta megalitica (Natoli, 1973, p. 52) e, arretrandosi da essa sul fronte nord, segnavano una contrazione dell'area urbana (Zorić, 1992). Nella parte nordorientale dell'area tra le due cinte sembra che in seguito risiedesse, sino all'espulsione nel 1492, la comunità ebraica, donde deriverebbe il nome di Gidecca attribuito alla porta orientale (Di Giovanni, 1748; Knight, 1840; Hubbard, 1908; Zorić, 1992). Pure all'intervento ruggeriano appartiene la torre-porta Piscaria, testimoniata ancora nella pianta di De Passaflumine (1645; Zorić, 1992). Per lo scemato ruolo militare delle mura urbiche, il retrostante spazio, una volta sgombro per il movimento dei difensori (lo 'schera'), dalla fine del sec. 17° venne progressivamente occupato da una pittoresca edilizia addossatasi prima all'interno delle mura e poi, a S e O, anche al loro esterno.I tratti dei decumani della fase ellenistico-romana, rimessi in luce attorno e dentro la cattedrale normanna, attestano la continuità direzionale e di allineamenti con i tracciati delle attuali strade che scendono a pettine verso O. I cardini sono scomparsi per la saturazione degli spazi liberi con una fitta edilizia e sono rintracciabili solo sulle planimetrie attraverso l'allineamento dei cortili interni e di alcuni vicoli. Alla riconfigurazione urbana ruggeriana appartiene anche la via Regia (od. corso Ruggero), obliqua rispetto ai decumani, ma ortogonale all'asse della cattedrale (Zorić, 1992). Sul terreno in declivio tra corso Ruggero e il fianco sud della cattedrale sorge il quartiere di Francavilla, dove abitarono le maestranze che lavorarono alla costruzione della stessa (Zorić, 1989, p. 109).Prima di porre mano all'edificazione della cattedrale (Valenziano, Valenziano, 1979, p. 39), Ruggero II eresse la chiesa di S. Giorgio (poi S. Leonardo), sostanzialmente conservatasi, ad aula unica, orientata, con abside sporgente e protesi e diaconico oggi scomparsi, probabilmente in nicchia dentro lo spessore murario. Sul fianco nord resta un disadorno portaletto, concluso in alto da un arco a due centri. La facciata occidentale è impreziosita da un complesso e ampio portale principale a membrature degradanti a strombo, ora pesantemente mutilato. Il lato destro, meglio conservato, oltre allo stipite liscio mostra ancora integra una colonna alveolata ricavata negli stessi conci, avente funzione di cerniera con un'ulteriore zona liscia. Il tutto è coronato da piatti capitelli a palmette, di ispirazione islamica, dei quali si conservano solo quelli sopra le colonne. Le cornici sui capitelli presentano la stessa logica di continuità avvolgente di quelle sopra i capitelli della prima fase della cattedrale. Il baffo sopraccigliare dell'arco che conclude in alto il portale è stato scalpellato. Il resto dell'archivolto con il robusto toro, perfetta continuazione delle sottostanti colonne, che separa le due ghiere sopravvissute, prelude già al maestoso arco trionfale che una decina di anni più tardi sarebbe stato eretto nella cattedrale (Zorić, 1992).Dedicata al Salvatore, la cattedrale sull'acrocòro fu fondata in occasione della Pentecoste del 1131 (Pirro, Cephalaeditanae ecclesiae episcopalis notitia quinta). Il progetto doveva essere approntato prima del settembre del 1130, quando Ruggero II prese gli accordi definitivi con la comunità dei Canonici agostiniani di Bagnara Calabra, cui affidò la nuova istituzione. Di dimensioni spropositate per C. (oltre m. 8142), che era allora un mediocre borgo (Peri, 1978, p. 82), venne progettata organicamente (Brunazzi, 1989, pp. 362-377) quale ecclesia munita, sia per il controllo del territorio (Zorić, 1989, pp. 164-207) sia per la destinazione a mausoleo dinastico (Valenziano, Valenziano, 1979, p. 75; Zorić, 1989, p. 266). Del 1145 è il diploma di donazione dei due sarcofagi in porfido (Rollus Rubeus, Privilegia ecclesiae Cephaleditanae) che furono collocati nei bracci del corpo trasverso e, inutilizzati in loco, vennero poi sottratti da Federico II e trasferiti nella cattedrale di Palermo. La pianta basilicale a croce latina, orientata, con tre navate divise da colonne granitiche e basi marmoree di spoglio (Bonacasa Carra, 1985, pp. 115-116), ha il corpo trasverso sporgente, un profondo presbiterio absidato e i pastofori notevolmente sviluppati. Il progetto originario disegnava una grande croce (Brunazzi, 1989, pp. 362-365) formata dai volumi della navata centrale, del presbiterio e del corpo trasverso, aventi tutti la stessa altezza, e con un tiburio-lanterna sull'incrocio (Di Stefano, 1960, pp. 60-64, figg. 38-40; Zorić, 1989, pp. 277-281, fig. 204). Molto più basse, ma di uguale altezza, sono le navatelle e i pastofori. La costruzione ebbe inizio simultaneamente da E, N e O. Del plesso orientale vennero realizzati secondo il progetto originario il presbiterio, i pastofori e il corpo trasverso, compreso l'arco trionfale; di quello occidentale il fianco della navatella nord e le due torri angolari con al centro la facciata incompiuta. Tranne le absidiole, le parti terminali alte erano rimaste ancora da definire e lo spartito a lesene in pietra da taglio avrebbe dovuto ricevere il coronamento di archetti su mensole. In avanzato stato di realizzazione, ma a cantiere ancora aperto, avvenne un cedimento strutturale, causato dalla presenza di una scala interna in spessore di muro che indebolì la testata dell'altrimenti massiccio muro del presbiterio al quale è affiancato il diaconico; la minaccia di crollo venne sanata con un robusto contrafforte (Zorić, 1989, pp. 227-234, fig. 142). I volumi di questo e del suo simmetrico, oltre a snaturare la nitida spazialità del progetto, comportarono le modifiche geometriche e strutturali dei due arconi che, quale collegamento tra la navata centrale e il presbiterio, dividendo in alto il corpo trasversale in tre parti, erano destinati a portare il tiburio sull'incrocio. Questa soluzione, che sanciva di fatto una sfiducia nel nuovo tipo strutturale, si ripercosse sul successivo sviluppo dell'architettura in Sicilia; dopo un probabile periodo di pausa dei lavori (Ruggero morì nel 1154), le tre navate vennero portate a compimento dalle nuove maestranze e su scala ridotta (Zorić, 1989, pp. 121-156). Questo comportò la costruzione di un secondo arco trionfale - più in basso e strutturalmente indipendente dal primo - poggiante su due colonne addossate ai piloni di quello originario, che svetta inutile sopra il tetto della navata centrale. Si abbandonò per il corpo trasverso ogni arditezza architettonica e i suoi tre volumi vennero coperti da tetti a due falde (nel sec. 15° quello meridionale è stato sostituito da una volta a botte spezzata). È probabile che in questa fase venisse deciso di cambiare le strutture e di conseguenza anche il tipo di sostegni della costruenda navata centrale; con i sette intercolumni contro le nove finestre delle navatelle, essa attesta il ripiegare sui più collaudati modi costruttivi romanici. Gli archi strutturali, tipici dell'età normanna, a due centri e a due ghiere, di cui l'interna è leggermente arretrata, hanno spigoli vivi; quelli della prima fase costruttiva mostrano ghiere concentriche e un leggero sovralzo, un'immagine complessiva derivante dalle costruzioni islamiche. Gli archi della navata, piuttosto inusuali e più tardi, 'a sezione variabile' - cioè con due ghiere che aumentano di spessore verso la sommità -, sono strutturalmente assimilabili agli archi a pieno centro dell'area pugliese, reinterpretati dal dominante gusto locale (Zorić, 1989, pp. 255-260). Così modificata, la navata venne coperta da un tetto a due spioventi con una ricchissima decorazione sia strutturale sia pittorica (Viscuso, 1982; Gelfer-Jørgensen, 1986; Scuderi, Aurigemma, 1989; Zorić, 1989, pp. 307-336). Immiserita da numerosi restauri e riparazioni, la grande e ardita carpenteria normanna mostra ancora alcune soluzioni tecniche precorritrici di quelle che in seguito sarebbero state adottate nelle costruzioni gotiche. Nel 1263 venne posata una passerella, anch'essa dipinta, sulle catene delle capriate lungo tutta la navata. Tra le torri che dal 1470 serrano la facciata ovest venne costruito un portico a tre arcate su colonne. Delle tre crociere costolonate, la centrale ha un'elaborata serraglia opera di Ambrogio da Como, di un gusto gotico fiorito inusuale in Sicilia (Zorić, 1989, p. 301, fig. 243).Incassata tra la torre di facciata e il braccio sporgente del corpo trasverso, contigua alla navatella nord, sopravvive l'unica corsia intatta del chiostro. Su un largo e continuo zoccolo poggiano le basi accoppiate delle colonnine binate, che agli angoli formano gruppi tetrastili; i monolitici capitelli doppi portano gli slanciati archi a due centri sormontati dalla gola di una cornice sopraccigliare. I capitelli con figure umane hanno indotto a datare questa corsia agli anni cinquanta del sec. 12°, mentre la corsia ovest, ricostruita con gli elementi precedentemente smontati e caratterizzata da figurazioni animali, sarebbe immediatamente successiva (Gandolfo, 1982). Della corsia nord rimane soltanto materiale erratico, oltre allo zoccolo che continua anche sul lato orientale, distrutto nel 16° secolo. All'angolo nordoccidentale l'ingresso nel recinto, oltre al gruppo tetrastilo, ha due coppie di colonne ofitiche. Sotto l'odierna sagrestia, addossata alla testata settentrionale del corpo trasverso, al livello del chiostro, si trova una sala voltata a crociera, da identificare probabilmente con l'originaria aula capitolare. Allo stato attuale non è possibile individuare i resti dell'episcopio normanno, inglobati probabilmente nelle strutture seriori.Il palazzo reale ruggeriano, menzionato nei documenti, è di dubbia ubicazione (Salvo Di Pietraganzili, 1888, p. 48; Agnello Di Ramata, 1955, pp. 461-462), ma è molto probabile che ne facessero parte i notevoli resti architettonici normanni venuti alla luce durante i recenti rifacimenti della sede comunale (Zorić, 1992), ubicata nell'ex monastero di S. Caterina, di epoca medievale, ma di incerta fondazione (Brancato, 1986, pp. 29-71).Il complesso residenziale dei Ventimiglia, conti di Geraci presenti a C. già nel 1267, quando Enrico finanziò le riparazioni al tetto della cattedrale (Salinas, 1879), comprendeva un ampio isolato costeggiato dalla via Regia. A testimoniare la crescita per aggregazioni del complesso restano le parti di due edifici contigui: l'Osterio Magno e l'Osterio Piccolo. Il corpo alto dell'Osterio Magno all'angolo con via Amendola, datato al secondo cinquantennio del sec. 13° (Spatrisano, 1972, p. 164) o al 1320-1330 (Giuffrè, 1979, p. 59), ha il pianterreno illuminato solo da feritoie; il piano nobile si apre su corso Ruggero con una trifora sormontata da un arco chiaramontano a tre ghiere concentriche; simili sono le due contigue bifore su via Amendola. La massiccia costruzione, incompleta in altezza, era coronata con una merlatura testimoniata dalla pianta di De Passaflumine (1645). Compenetrato funzionalmente e addossato all'Osterio su via Amendola, l'Osterio Piccolo, più basso, mostra notevoli resti della tessitura muraria e di un arco a due ghiere concentriche in muratura bicroma a filari alterni; nel recente restauro (1989-1991) la facciata è stata abbondantemente completata e integrata, sfruttando le molteplici tracce. L'edificio, certamente posteriore al corpo angolare, è stato attribuito alla metà del sec. 14° (Spatrisano, 1972, p. 164), ma anche a tempi anteriori (Giuffrè, 1979, p. 56).
Bibl.:
Fonti. - Diodoro Siculo, Biblioteca storica, III, Libri XIV-XVII, a cura di T. Alfieri Tonini; V, Libri XXI-XL. Frammenti su Roma e l'ellenismo, a cura di G. Bejor, Milano 1985-1988; Goffredo Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, a cura di E. Pontieri, in RIS2, V, 1, 1927, pp. 1-108; Ibn al-Athīr, Kitāb al-Kāmil al-Tawārīkh [Cronaca compiuta], in M. Amari, Biblioteca arabo-sicula, I, Torino 1880, pp. 353-507: 372; Ibn ῾Idhārī, Kitāb al-bayān al-Mughrib [Peregrine spiegazioni sugli avvenimenti del Magreb], ivi, II, 1881, pp. 1-40: 12; Ugo Falcando, La Historia o Liber de regno Siciliae e la Epistola ad Petrum Panormitane ecclesie thesaurarium, a cura di G.B. Siragusa (Fonti per la storia d'Italia, 22), Roma 1897, pp. 132-133; Rollus Rubeus, Privilegia ecclesiae Cephaleditanae, a diversis Regibus et Imperatoribus concessa (Documenti per servire alla storia di Sicilia pubblicati a cura della Società siciliana per la storia patria, s. I, 29), a cura di C. Mirto, Palermo 1972, pp. 42-44, 50-51; R. Pirro, Cephalaeditanae ecclesiae episcopalis notitia quinta, in id., Sicilia Sacra disquisitionibus et notitiis illustrata, a cura di A. Mongitore, V.M. Amico, Palermo 1733, II, (1630), pp. 797-840: 799-800; B. De Passaflumine, Brevis descriptio de origine Ecclesiae Cephaleditanae eiusque urbis et diocesis, Venezia 1645; G. Di Giovanni, L'ebraismo della Sicilia, Palermo 1748 (rist.anast. Bologna 1976), pp. 305-307.
Letteratura critica. - H.G. Knight, Saracenic and Norman Remains to Illustrate The Normans in Sicily, London [1840]; M. Amari, Le epigrafi arabiche di Sicilia trascritte, tradotte e illustrate, 3 voll., Palermo 1875-1885 (19713, pp. 183-185); A. Salinas, Di alcune iscrizioni Cefalutane del secolo XIII, Archivio storico siciliano 4, 1879, pp. 328-337; R. Salvo Di Pietraganzili, Cefalù. La sua origine e i suoi monumenti, Palermo 1888; G. Hubbard, The Cathedral Church of Cefalù, Journal of the Royal Institute of British Architects, s. III, 15, 1908, 11; P. Marconi, Cefalù (Palermo). Il cosidetto "Tempio di Diana", Notizie degli scavi di antichità, s. VI, 5, 1929, pp. 273-295; G. Agnello Di Ramata, La Domus Regia di Ruggero II in Cefalù, "Atti del Convegno internazionale di studi ruggeriani, Palermo 1954", Palermo 1955, II, pp. 455-463; I. Bovio Marconi, I monumenti megalitici di Cefalù e l'architettura protostorica mediterranea, "Atti del VII Congresso nazionale di storia dell'architettura, Palermo 1950", Palermo 1956, pp. 213-221; G. Di Stefano, Il Duomo di Cefalù. Biografia di una cattedrale incompiuta (Quaderni della Facoltà di architettura dell'Università di Palermo, 2), Palermo 1960; G. Spatrisano, Lo Steri di Palermo e l'architettura siciliana del Trecento, Palermo 1972; L. Natoli, La struttura urbana di Cefalù, Sicilia, 1973, 72, pp. 51-60; A. Tullio, Saggio sulla topografia e sulle antichità di Cefalù, Kokalos 20, 1974, pp. 119-151; I. Peri, Uomini, città e campagne in Sicilia dall'XI al XIII secolo, Roma-Bari 1978; M. Giuffrè, Caratteri dell'architettura. Esperienze in Sicilia 1972-1978, Palermo 1979; A. Tullio, La collezione archeologica del Museo Mandralisca, Cefalù 1979; C. Valenziano, M. Valenziano, La basilica cattedrale di Cefalù nel periodo normanno, Palermo 1979; F. Gandolfo, Scultori e lapicidi nell'architettura normanno-sveva della chiesa e del chiostro, in Documenti e testimonianze figurative della basilica ruggeriana di Cefalù, cat. (Cefalù 1982), Palermo 1982, pp. 73-89 (rist. La scultura medievale, in La basilica cattedrale di Cefalù. Materiali per la conoscenza storica e il restauro, VII, Palermo 1985, pp. 31-60); Bibl.: T. Viscuso, Le pitture del tetto ligneo nella storiografia critica, ivi, pp. 121-124; A. Tullio, Cefalù antica, Cefalù 1984; S. Fodale, I Ventimiglia, il Papato e la Chiesa di Cefalù nel XIV secolo, in Potere religioso e potere temporale a Cefalù nel Medioevo "Atti del Convegno internazionale, Cefalù 1984", Cefalù 1985, pp. 24-38; La basilica cattedrale di Cefalù (cit.), 8 voll., Palermo 1985-1989; A. Tullio, I saggi di scavo, ivi, III, 1985, pp. 13-114; R.M. Bonacasa Carra, Il materiale antico reimpiegato e rilavorato in età normanna, ivi, pp. 115-144; R. Brancato, I luoghi conventuali di Cefalù intra moenia, Cefalù 1986; M. Gelfer-Jørgensen, Medieval Islamic Symbolism and the Paintings in the Cefalù Cathedral, Leiden 1986; V. Scuderi, M. G. Aurigemma, Tavole dipinte e tavole intagliate nel sottotetto, Cefalù-Cattedrale, in XIV Catalogo di opere d'arte restaurate (1981-1985) (Quaderno del Bollettino B.C.A. Sicilia, 7), Palermo 1989, pp. 11-25; A. Tullio, Mura di fortificazione, in Censimento dei beni culturali di Cefalù, a cura di A. Tullio, Cefalù 1989, pp. 16-19; S. Braida, Osterio Magno, ivi, pp. 95-97; V. Zorić, Considerazioni analitiche sulla costruzione della cattedrale normanna di Cefalù, in La basilica cattedrale di Cefalù (cit.), I, 1989, pp. 93-340; V. Brunazzi, La cattedrale di Cefalù tra programma, progetto e realizzazione. Sulle problematiche di un progetto architettonico nel medioevo, ivi, pp. 341-387; V. Zorić, Ricerche e riflessioni sui primi interventi ruggeriani a Cefalù, Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Palermo 42, 1992.V. Zorić
L'insieme della scultura esistente all'interno e all'esterno della cattedrale di C. è il fenomeno figurativo maggiormente e più intimamente connesso con la fabbrica, della quale accompagna ogni fase dell'iter costruttivo.Innanzitutto va sottolineata la presenza di una prima bottega attiva nella fabbrica, della quale sono stati enucleati il corpus, il profilo culturale, i modi stilistici (Gandolfo, 1982, pp. 73-80). Operosa sia prima sia dopo il ridimensionamento del progetto originario, fra il 1131 e il 1145, fu chiamata a C. con ogni probabilità per iniziativa regia dalla Puglia, e più precisamente dalla Terra di Bari, come mostrano gli agganci strettissimi delle sculture del transetto e del presbiterio con opere pugliesi Successivamente, emerge un'altra direzione plastica, nobilmente locale, in grado di mediare le indicazioni stilistiche e culturali intrise di valori pittorici messe a punto dallo scultore del sesto capitello della linea meridionale della navata, con l'esigenza di un classicismo più marcato. Essa si lega sia ad alcuni capitelli del chiostro sia ai frammenti superstiti dell'arredo liturgico, opere nelle quali è da riconoscere la personalità del Maestro dei Putti, sorpreso ai suoi esordi, nel tratto della sua attività anteriore al compimento dell'arca di Ruggero (cattedrale di Palermo, 1170 ca.) e alla nota partecipazione alle sculture del chiostro del duomo di Monreale (Gandolfo, 1982, pp. 81-87).Ai primi decenni del sec. 13° vanno riferite le mensole, dai connotati plastici schiettamente pugliesi, poste nelle absidi minori esterne; di qualche anno più tarde, improntate come sono al gusto proprio della scuola di Foggia, appaiono invece le mensole dell'abside centrale esterna (Gandolfo, 1982, pp. 87-88).
I mosaici della cattedrale rappresentano un anello essenziale all'interno della compatta serie di decorazioni rigorosamente musive realizzate negli interni delle fabbriche normanne (Palermo, Cappella Palatina; Monreale, cattedrale) per volontà dei sovrani Ruggero II (1130-1154), Guglielmo I (1154-1166) e Guglielmo II (1171-1189) o di personaggi a essi strettamente collegati, come l'ammiraglio Giorgio d'Antiochia (Palermo, S. Maria dell'Ammiraglio).Nel novero della serie i mosaici di C. sono i più lontani da Palermo, capitale del regno e centro del potere, ma anche quelli per i quali venne solennemente proclamato il rapporto diretto e coinvolgente con re Ruggero, come recita l'iscrizione su campo d'argento lungo la fascia che chiude in basso la decorazione absidale: "Rogerius rex egregius plenis pietatis / hoc statuit templum motus zelo deitatis / hoc opibus ditat variis varioque decore / ornat magnificat in Salvatoris honore / ergo structori tanto Salvator adesto / ut sibi submissos conservet corde modesto. / Anno ab Incarnatione Domini Millesimo centesimo XLVIII / indictione XI anno v regni eius XVIII / hoc opus musei factum est".Il confronto con l'altra iscrizione ruggeriana, quella in greco del 1143, corrente alla base della cupola della Cappella Palatina (Demus, 1949, p. 59), è a riguardo significativo. Mentre nell'iscrizione di Palermo è prioritario il desiderio di un'autopresentazione del sovrano e del suo ruolo di committente della cappella in termini aulici e tradizionali, fino al punto di echeggiare l'iscrizione di Giustiniano nella chiesa dei Ss. Sergio e Bacco a Costantinopoli (Demus, 1949, p. 60, n. 12), l'iscrizione di C., in latino, ha toni più immediati, ma soprattutto dà largo spazio ai legami fra Ruggero e la cattedrale. Ruggero, rex, è significativamente quanto inaspettatamente definito structor (Andaloro, 1982, p. 99). Egli non è solo il fondatore della fabbrica, ma anche il motore dell'intero ventaglio di opere chiamate a ornare a vario titolo quel templum destinato dal sovrano normanno a diventare il proprio mausoleo.La decorazione musiva si estende sulle superfici dell'abside, sulle vele della crociera a essa attigue, sulle pareti sottostanti. Comprende la figura del Pantocratore nel catino; la Theotókos fra gli arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele e Uriele nel primo registro; dodici figure di apostoli ed evangelisti nel secondo e terzo registro del cilindro absidale; cherubini, serafini e angeli nelle quattro vele della crociera; profeti, santi diaconi, santi guerrieri, Padri della Chiesa occidentale e orientale nei quattro registri delle pareti settentrionale e meridionale. Ciascuna figura è dotata del proprio titulus, in greco (figure dell'abside, della crociera e Padri della Chiesa orientale) o in latino (figure delle pareti del presbiterio).Quanto descritto costituisce il solo complesso musivo esistente nella cattedrale ruggeriana ed è con tutta probabilità l'unico a essere stato compiuto. Indagini e osservazioni condotte sulle strutture della crociera attigua portano a escludere che essa abbia ospitato, prima della riplasmazione barocca tuttora visibile, delle stesure musive (Zorić, 1989, pp. 290-297).Diversamente da quanto avviene altrove - nel duomo di Monreale e a Palermo nella Cappella Palatina e persino nella chiesa di S. Maria dell'Ammiraglio -, dove spazi più o meno grandi sono riservati anche a raffigurazioni di cicli o comunque a rappresentazioni di carattere narrativo, a C. il programma iconografico prevede come elemento base la singola figura, presentata isolata o raccordata blandamente alle altre, e si organizza, a eccezione del Pantocratore, delle figure della crociera e del gruppo della Theótokos fra gli arcangeli, in sistemi quasi seriali o per lo meno paratattici.Da questi principi compositivi, virtualmente non esenti dal rischio della ripetitività, nascono nondimeno gli straordinari mosaici absidali, dall'impostazione solenne e dal ritmo insieme aereo e studiatissimo. Ciascuna figura è isolata sul fondo oro, dispiegata e avvolta entro un ritmo proprio e in sé concluso; contemporaneamente è collegata alle altre da sapienti accordi ritmici e cromatici.In base all'iscrizione, i mosaici dell'abside sono da considerarsi compiuti nel 1148. Perciò non ha ragione di essere la tesi sostenuta in passato, secondo la quale essi sarebbero posteriori all'iscrizione e ascrivibili al sec. 13° (Bottari, 1940; Samonà, 1940). È invece dubbio se il rivestimento musivo sia stato progettato in uno con la fondazione della fabbrica (1131). Più ragionevolmente la sua esecuzione dovette prospettarsi pienamente intorno al 1145, in sintonia con la nuova decisione del sovrano volta a fare della cattedrale di C. il proprio mausoleo, allorquando di conseguenza si delinea il nuovo assetto degli spazi presbiteriali in vista della sistemazione dei due sarcofagi di porfido nel transetto, da porre l'uno, destinato ad accogliere le spoglie del sovrano, in corrispondenza della protesi, l'altro, "ad insignem memoriam mei nominis, quam ad ipsius ecclesiae gloriam", dalla parte opposta, secondo un ordine che i saggi di scavo compiuti nel 1971-1972 hanno pienamente confermato (Valenziano, 1978).Parlano a favore dello scarto progettuale tra fabbrica e decorazione musiva altri elementi, questa volta scaturiti dalle pieghe nascoste dell'architettura: anzitutto la chiusura delle finestre circolari nell'abside, ancora visibili all'esterno, ma la cui luce interna risulta accecata dalla stesura degli intonaci pertinenti ai mosaici; in secondo luogo l'aver scoperto che sotto l'odierno rivestimento a mosaico la cornice marcapiano fra cilindro e catino absidale appare compiutamente scolpita nella pietra (Valenziano, 1978, p. 112; Andaloro, 1983, pp. 105-106).Al pari degli altri mosaici ruggeriani (cupola e presbiterio della Cappella Palatina) o di epoca ruggeriana (S. Maria dell'Ammiraglio), i mosaici dell'abside della cattedrale cefaludese sono opera di maestranze bizantine. Ma nonostante operino nello stesso giro di anni, occorre convenire che le rispettive botteghe sono sostanzialmente indipendenti l'una dall'altra e dotate di esperienze figurative specifiche (Kitzinger, 1985). In particolare, la bottega attiva a C. intorno al 1148 si distingue in quanto manifesta tratti di una lunga consuetudine con trafile figurative di stampo costantinopolitano (Lazarev, 1967, pp. 198-199). Ne fanno fede quel carattere così maestoso e classicista del ritmo stilistico fino alla riproposizione di scelte formali che sono di assodata cittadinanza costantinopolitana. Per l'aulicità d'impianto e l'aderenza a un registro tipologico-formale eletto e malinconico, l'arco delle affinità comprende opere come le miniature illustranti le Omelie di Giovanni Crisostomo, del 1078-1081 (Parigi, BN, Coislin 79) - dove la c. 2v offre nella figura dell'angelo un modello di emozionante primogenitura nei riguardi degli arcangeli a mosaico di C. -, la galleria di figure della cattedrale di S. Demetrio a Vladimir, alla quale sono confrontabili le teste "intensamente espressive" degli apostoli di C. (Lazarev, 1967, p. 199), o ancora il mosaico della chiesa del monastero di Gelati in Georgia, del 1130 ca., dove nei volti della Vergine e degli arcangeli si riscontra quella segmentazione dell'incarnato attraverso linee sottili come nei volti degli arcangeli di C. e come nella stesura dei ritratti degli imperatori comneni nei riquadri musivi della galleria orientale di Santa Sofia a Costantinopoli (Lazarev, 1967, p. 263 n. 156).L'appartenenza alla linea figurativa di timbro costantinopolitano - salda quanto non proprio all'avanguardia, come attesta la serie dei confronti proposti, databili quasi tutti fra l'avanzato sec. 11° e i primi decenni del 12° - trova poi conferma nelle eccezionali modalità tecnico-formali delle stesure musive. Dopo la loro recente pulitura (1977), caratteristiche come la compattezza del tessuto, la padronanza delle modalità di tecnica esecutiva, la tavolozza particolarmente studiata e l'uso di materiali assai scelti e rari, come le tessere d'argento e la madreperla, sono certamente meglio avvertibili che in passato (Andaloro, 1980, pp. 23-24; 1983, pp. 105-106).Il complesso musivo absidale ha goduto di una fortuna critica piena e ininterrotta, a cominciare dai giudizi scarni e giusti contenuti nel diario di lavoro di Giovan Battista Cavalcaselle in visita ai cantieri di restauro della cattedrale nell'inverno del 1860 (Andaloro, 1982, p. 97; 1983, p. 108). Diversamente, i mosaici della crociera e delle pareti del presbiterio sono oggetto di una tormentata vicenda critica circa la loro cronologia, la successione dei lavori, la dinamica dei raggruppamenti.All'interno del quadro storiografico, peraltro mosso e intrigato, la piattaforma comune consiste nel riconoscimento che i mosaici non sono attribuibili in toto alla campagna dell'abside e che essi sono segnati da differenze stilistiche e livelli qualitativi disomogenei.Esiste poi un'altra valutazione largamente condivisa: quella secondo la quale le figure dei Padri della Chiesa occidentale e orientale, campite sul registro inferiore delle pareti settentrionale e meridionale, presentano modi stilistici e moduli proporzionali del tutto affini ai mosaici delle navate della Cappella Palatina (Demus, 1949, p. 16); essendo questi ultimi del tempo di Guglielmo I, ne consegue che la medesima datazione conviene anche alle figure di Cefalù. Ed è questo l'unico punto fermo di contro all'instabilità che contraddistingue il quadro cronologico e la logica degli abbinamenti dei restanti mosaici.Il problema di fondo risiede da una parte nella datazione che si ritiene pertinente alla struttura architettonica della crociera, dall'altra nella lettura che si dà dell'inflessione stilistica propria dei mosaici degli altri registri delle pareti.Per quanti accoglievano l'idea che la crociera fosse una struttura federiciana, anche i mosaici delle vele non potevano che essere duecenteschi (Lazarev, 1935; Bottari, 1940, p. 53; 1963, p. 29; Salvini, 1949, pp. 63-64; Thieme, Beck, 1977, pp. 41-45). Una volta che la tesi federiciana è tramontata a favore dell'appartenenza della crociera alla fase ruggeriana della fabbrica (Schwarz, 1942-1944), la datazione dei mosaici è determinabile in base ad argomentazioni di altro genere.Prevalente è la linea secondo la quale i mosaici della crociera e quelli dei due registri inferiori (corrispondenti alle figure dei santi diaconi e Padri della Chiesa occidentale sulla parete settentrionale, nonché alle figure dei santi guerrieri e dei santi Padri della Chiesa orientale sulla parete meridionale), abbinati insieme, sono frutto di campagne condotte negli anni del regno di Guglielmo I, mentre i mosaici dei due registri superiori delle pareti (con i profeti) sarebbero da ascrivere agli anni 1170-1175 (Demus, 1949, pp. 14-18; con qualche ulteriore sfumatura, Kitzinger, 1960, pp. 13, 78; Lazarev, 1967, pp. 199, 255 n. 58a; Hadermann-Misguich, 1980, p. 60).In alternativa a questa sistemazione, si ritiene che a essere eseguiti per primi siano stati i mosaici della crociera e dei registri alti delle pareti e per ultimi quelli del registro inferiore. Nel proporre una successione di questo tipo si sono tenuti nel massimo conto i criteri organizzativi di un cantiere medievale, come l'esigenza di erigere ponteggi senza danneggiare i mosaici e i modi specifici legati alle tecniche dei dipinti murali in base ai quali si procede dipingendo dall'alto verso il basso. Grazie a una rinnovata lettura stilistica del complesso, nuove coordinate vengono a innestarsi sulla sequenza cronologica relativa appena proposta. Le assonanze fra i mosaici delle vele e i mosaici dell'abside, particolarmente persuasive allorquando si mettono a confronto brani come il volto del cherubino nella vela occidentale e il volto della Theotókos, inducono a una datazione a ridosso del 1148. Diversamente, i mosaici delle pareti, a esclusione del registro inferiore (con i Padri della Chiesa), accusano stilemi che, se da una parte procedono dall'orizzonte figurativo rappresentato con ben altra qualità e limpidezza nei mosaici dell'abside, dall'altra richiamano i caratteri tardocomneni propri dei mosaici di Monreale (Andaloro, 1982; 1983). La diversa facies stilistica dei mosaici del registro inferiore, dai tratti assimilabili limpidamente alla temperie figurativa degli anni di Guglielmo I, viene a chiudere progressivamente la successione dei registri delle pareti e a sigillare anche cronologicamente la seconda campagna decorativa compiuta nella cattedrale di C. dopo quella ruggeriana del 1148.La sequenza e i raggruppamenti dei nuclei musivi così come sono stati prospettati sembrerebbero essere in piena sintonia con l'analisi delle forme grafiche delle iscrizioni. Sono assolutamente univoci sotto l'aspetto grafico-stilistico i tituli in greco dei mosaici dell'abside e della crociera; mentre nei tituli in latino dei mosaici delle pareti del presbiterio "con ogni cautela sembrano rivelarsi forme che, piuttosto che a quelle dell'abside, vengono ad ancorarsi, mostrandone uno stadio più maturo, al linguaggio grafico prevalente nella navata centrale e sui piedritti della Palatina, senza che - almeno allo stato attuale - si possano notare stacchi di ordine stilistico-formale tra i tre registri superiori e iscrizioni (sempre latine) del registro inferiore" (Cavallo, 1993).Guardando al significato del programma iconografico nel suo insieme, la proposta di vedervi l'esaltazione del sacramento dell'Eucaristia (Lazarev, 1935, pp. 189-193), nella fase in cui il piano da imperiale e ruggeriano diventa ecclesiale (Thieme, Beck, 1977, pp. 42-43), appare interpretazione parziale perché non rende giustizia di quanto è raffigurato nell'abside (Demus, 1949, p. 220). Apre prospettive diverse e di ampio respiro l'aver colto nel sistema di C. un esempio di adattamento della struttura iconografica tipica dell'articolazione della chiesa mediobizantina, imperniata dunque sullo spazio accentrato e sull'organismo della cupola, all'interno di una dimensione architettonica tutta occidentale, priva di cupola e a spiccato sviluppo longitudinale. Nelle figure dell'abside della cattedrale di C. si dovrebbe pertanto riconoscere e ricomporre quel tema dell'Ascensione combinato con la gloria del Pantocratore che era solitamente raffigurato nell'invaso di una cupola e considerare le immagini delle vele e delle pareti del presbiterio un arrangiamento di analoghe raffigurazioni poste nei sottarchi della cupola o in altri spazi della chiesa mediobizantina (Demus, 1949, pp. 219-223).
Bibl.: V. Lazarev, The Mosaics of Cefalù, ArtB 17, 1935, pp. 184-232; S. Bottari, I mosaici della Sicilia, Emporium 91, 1940, pp. 53-62; G. Samonà, Il duomo di Cefalù, Roma 1940, pp. 39-40; H.M. Schwarz, Die Baukunst Kalabriens und Siziliens im Zeitalter der Normannen, I: Die lateinischen Kirchengründungen des 11. Jahrhunderts und der Dom in Cefalù, RömJKg 6, 1942-1944, pp. 1-112; O. Demus, The Mosaics of Norman Sicily, London 1949; R. Salvini, Mosaici medievali in Sicilia, Firenze 1949; E. Kitzinger, I mosaici di Monreale, Palermo 1960; S. Bottari, Mosaici bizantini della Sicilia, Milano 1963; V. Lazarev, Storia della pittura bizantina, Torino 1967; S. Ulea, Mesajul lui Roger al II-lea in mozaicurile de la Cefalù [Il messaggio di Ruggero II nei mosaici di C.], Studii şi cercetari de Istoria Artei. Seria arta plastica 22, 1975, pp. 11-22; T. Thieme, I. Beck, La cattedrale normanna di Cefalù. Un frammento della civiltà socio-politica della Sicilia medioevale, ARIDan suppl. 8, 1977; C. Valenziano, La basilica cattedrale di Cefalù nel periodo normanno, ῾O Theologos 5, 1978, 19, pp. 85-140; B. Rocco, I mosaici delle chiese normanne in Sicilia. Sguardo teologico biblico liturgico. IV. La cattedrale di Cefalù, ivi, 20, pp. 77-93; M. Andaloro, Maestri bizantini, 1145c. -1148. Mosaici dell'abside. Cefalù-Cattedrale, in XI Catalogo di opere d'arte restaurate (1976-78) (Quaderno del Bollettino B.C.A. Sicilia, 1), Palermo 1980, pp. 19-25; L. Hadermann-Misguich, Innovations de l'art des Comnènes dans les mosaïques byzantines de Sicile, CARB 27, 1980, pp. 59-69; F. Gandolfo, Scultori e lapicidi nell'architettura normanno-sveva della chiesa e del chiostro, in Documenti e testimonianze figurative della basilica ruggeriana di Cefalù, cat. (Cefalù 1982), Palermo 1982, pp. 73-89 (rist. La scultura medievale, in La basilica cattedrale di Cefalù. Materiali per la conoscenza storica e il restauro, VII, Palermo 1985, pp. 31-60); M. Andaloro, La decorazione del presbiterio prima del Seicento - I mosaici, ivi, pp. 96-101 (rist. ivi, pp. 61-72); id., I mosaici di Cefalù dopo il restauro, "III Colloquio internazionale sul mosaico antico, Ravenna 1980", a cura di R. Farioli Campanati, I, Ravenna 1983, pp. 105-116; M.J. Johnson, The Royal View at Cefalù: A Note on the Choice of Subjects and their Arrangement in the Mosaics of Norman Sicily, Abstracts of Papers. Byzantine Studies Conference 4-6, 1983, pp. 12-13; E. Kitzinger, The Portraits of the Evangelists in the Cappella Palatina in Palermo, in Studien zur mittelalterlichen Kunst 800-1250. Festschrift für Florentine Mütherich zum 70. Geburtstag, München 1985, pp. 181-192; V. Zorić, Considerazioni analitiche sulla costruzione della cattedrale normanna di Cefalù, in La basilica cattedrale di Cefalù (cit.), I, Palermo 1989, pp. 93-340; G. Cavallo, Scritture musive greche e latine della Sicilia normanna, Scrittura e civiltà 17, 1993.M. Andaloro