Abstract
Per quanto la CEDU non contenga una specifica disciplina dell’attività amministrativa, la C. eur. dir. uomo ha sviluppato in via giurisprudenziale un complesso di regole e principi applicabili ai rapporti tra autorità e privati. Essa è intervenuta, tra l’altro, in materia di espropriazioni, ispezioni, sanzioni, tutela dell’ambiente e del paesaggio, urbanistica, giustizia amministrativa, trasparenza. Sebbene, poi, la CEDU sia stata recepita in Italia con legge ordinaria, essa è stata qualificata dalla Corte costituzionale come fonte del diritto sub-costituzionale operante come parametro interposto di costituzionalità. L’ordinamento nazionale è venuto, pertanto, progressivamente ad adeguarvisi, in materia, ad esempio, di indennizzi espropriativi e sanzioni delle autorità indipendenti. Regole e principi CEDU rappresentano, in definitiva, una autonoma disciplina sovranazionale dell’azione amministrativa, inquadrata nel più ampio contesto del diritto amministrativo integrato europeo.
Sottoscritta dai 47 Stati del Consiglio d’Europa (organizzazione internazionale distinta dall’Unione europea), la Convenzione europea dei diritti dell’uomo – CEDU, unitamente ai suoi protocolli aggiuntivi, riconosce un catalogo di diritti fondamentali, in parte analoghi a quelli delle costituzioni nazionali. Tra quelli di maggior rilievo per il diritto amministrativo include il diritto alla vita (art. 2, CEDU), il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti (art. 3, CEDU), il diritto a un processo equo (art. 6, CEDU), il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8, CEDU), il diritto al rispetto dei propri beni (art. 1, Protocollo 1), il divieto di espulsioni collettive (art. 4, Protocollo 4), il divieto di ne bis in idem (art. 4, Protocollo 7). Non contiene, invece, specifici diritti o principi in materia amministrativa, come il diritto a una buona amministrazione (art. 47, Carta europea dei diritti fondamentali) o i principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, Cost.).
Per quanto formalmente vincolante soltanto sul piano internazionale nei rapporti tra Stati parte, la Cedu obbliga espressamente questi ultimi a rispettare tali diritti nei rapporti con i privati. Istituisce, altresì, taluni organismi sovranazionali di tutela, in particolare la C. eur. dir. uomo e il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Pur non potendo annullare gli atti nazionali, la C. eur. dir. uomo ha il potere di accertare, su ricorso degli altri Stati parte o dei privati e delle organizzazioni non governative interessati, e previo esaurimento dei mezzi di ricorso nazionali, eventuali violazioni dei diritti, nonché di condannare lo Stato responsabile a porvi rimedio, anche liquidando un equo indennizzo in favore delle vittime. La CEDU è stata recepita in Italia con l. 4.8.1955, n. 848. A differenza di quanto previsto in altri ordinamenti, essa non ha un espresso riconoscimento nella Costituzione.
Sebbene la CEDU non contenga una disciplina dell’attività amministrativa, la C. eur. dir. uomo ha sviluppato in via giurisprudenziale un apparato di principi e regole applicabili ai rapporti tra autorità e privati.
Innanzitutto, essa ha formulato una nozione di «pubbliche amministrazioni» rilevante ai fini CEDU. A tal fine, ha adottato una particolare interpretazione delle disposizioni CEDU secondo cui, da un lato, gli «Stati» riconoscono i diritti ivi enunciati; dall’altro lato, la Corte può essere investita dei ricorsi di «organizzazioni non governative». Pur con talune incertezze interpretative, rientrano nella sfera di applicazione della CEDU, e sono, quindi, qualificabili come pubbliche amministrazioni, almeno tre categorie di soggetti: i) lo Stato, gli enti territoriali e gli enti pubblici svolgenti funzioni pubbliche; ii) le imprese private soggette ad una disciplina fortemente derogatoria e sottoposte a incisive potestà di indirizzo e controllo da parte di autorità pubbliche; iii) le imprese private svolgenti attività oggettivamente pubbliche, soprattutto se in regime di non concorrenza.
Definito il novero delle pubbliche amministrazioni, la C. eur. dir. uomo ha formulato taluni criteri di giudizio, che fungono anche da principi generali di azione delle pubbliche amministrazioni. A tal fine, ha fatto leva sulle previsioni sparse nella CEDU secondo cui i diritti possono essere limitati solo «nei casi previsti dal diritto» e nella misura in cui ciò risulti «necessario in una società democratica». Il principio della «regola del diritto» comporta, dunque, l’obbligo di rispettare l’ordinamento nel suo complesso, di assicurare che le norme siano chiare, accessibili e prevedibili e definiscano i presupposti e i limiti delle attività discrezionali, di prevedere adeguate misure procedimentali di controllo sul rispetto del diritto (C. eur. dir. uomo, 26.4.1979, Sunday Times c. Regno Unito). I principi di ragionevolezza e proporzionalità richiedono, invece, che le restrizioni ai diritti perseguano un fine pubblico legittimo e realizzino un “giusto equilibrio tra gli interessi generali della comunità e le esigenze di protezione dei diritti fondamentali degli individui”, tenuto conto del variabile “margine di apprezzamento” riconosciuto alle autorità (C. eur. dir. uomo, 7.12.1976, Handyside c. Regno Unito).
Avvalendosi di questi criteri di giudizio, la Corte europea ha, poi, tratto dalle disposizioni CEDU che prevedono divieti o riconoscono diritti sostanziali – come il divieto di tortura, il diritto alla vita, il diritto al rispetto della vita privata - talune regole e principi procedimentali. In forza di queste ultime, ad esempio, le autorità non possono allontanare uno straniero ove sussistano fondati elementi per ritenere che possa essere assoggettato a tortura (C. eur. dir. uomo, 7.7.1989, Soering c. Regno unito); devono avviare indagini indipendenti per accertare i responsabili di violazioni gravi dei diritti (C. eur. dir. uomo, 17.1.2002, Calvelli e Ciglio c. Italia); devono graduare l’incisività delle ispezioni amministrative in ragione della gravità dell’illecito, della rilevanza delle prove raccolte, dell’impatto sulla reputazione degli interessati (C. eur. dir. uomo, 28.4.2005, Buck c. Germania); devono condizionare le decisioni aventi un rilevante impatto ambientale allo svolgimento di studi e indagini accessibili nonché all’esame di osservazioni e contestazioni del pubblico (C. eur. dir. uomo, 2.11.2006, Giacomelli c. Italia; C. eur. dir. uomo, 10.01.2012, Di Sarno c. Italia); devono corrispondere alle richieste di iscrizione in albi ed elenchi in termini ragionevoli, adottando le necessarie misure di ordine organizzativo e procedurale (C. eur. dir. uomo, 20.7.2010, Dadouch c. Malta); devono consentire l’accesso ai dati delle pubbliche amministrazioni compatibilmente con le esigenze di tutela della privacy (C. eur. dir. uomo, 8.11.2016, Magyar Helsinky c. Ungheria).
Con particolare riguardo alle attività pubbliche restrittive di diritti patrimoniali, poi, la Corte europea ha affermato il seguente criterio di giudizio: il diritto al pacifico godimento dei propri beni comprende, oltre ai diritti reali, un vastissimo novero di interessi patrimoniali; la restrizione di simili interessi è ammissibile se bilanciata da un indennizzo commisurato al valore di mercato dei beni (o utilità); esse devono essere accompagnate da adeguate garanzie procedimentali, che assicurino ai privati una ragionevole opportunità di rivolgersi alle autorità competenti, allo scopo di contestare efficacemente le misure adottate (C. eur. dir. uomo, 24.10.1986, Agosi c. Regno unito). In applicazione di questi criteri generali, la Corte europea ha elaborato principi di azione più specifici in materia di espropriazione forzata, accessione invertita, interversione del possesso (C. eur. dir. uomo, 15.11.2005, J.A. Pye (Oxford) Ltd c. Regno Unito), sequestro e confisca amministrativa (C. eur. dir. uomo, 26.4.1995, Air Canada c. Regno Unito), sussidi pubblici alle imprese (C. eur. dir. uomo, 18.5.2010, Plalam c. Italia), apposizione di vincoli urbanistici o ambientali (C. eur. dir. uomo, 25.10.1989, Allan Jacobsson c. Svezia ), prelazione sull’acquisto di opere d’arte (C. eur. dir. uomo, 5.1.2000, Beyeler c. Italia), revoca di autorizzazioni e concessioni (C. eur. dir. uomo, 24.11.2005, Capital Bank AG c. Bulgaria).
Parallelamente, la Corte europea ha tratto dalla disposizione CEDU che riconosce il diritto a un processo equo talune regole e principi riguardanti il controllo giurisdizionale dell’attività amministrativa. Innanzitutto, al fine di definirne l’ambito di applicabilità, essa ha adottato una particolare interpretazione della locuzione per cui ognuno ha “diritto a che ogni controversia avente ad oggetto diritti di carattere civile o accuse penali sia decisa”. Ha, pertanto, elaborato seguente criterio: i) rappresentano diritti di carattere civile tutti quelli meritevoli di tutela nel diritto nazionale eccetto quelli inerenti alla partecipazione politica (C. eur. dir. uomo, 21.10.1997, Pierre-Bloch c. Francia), alla materia tributaria (C. eur. dir. uomo, 12.7.2001, Ferrazzini c. Italia), all’accesso e alla espulsione degli stranieri (C. eur. dir. uomo, 5.10.2000, Maaouia c. Francia), nonché ai rapporti di pubblico impiego per i quali gli ordinamenti escludano giustificatamente tutela giurisdizionale (C. eur. dir. uomo, 19.4.2007, Vilho Eskelinen e altri c. Finlandia); ii) rappresentano, invece, accuse penali anche le previsioni sanzionatorie che, pur essendo formalmente amministrative, presentano nondimeno una “coloritura penale”, tenuto conto della natura dell’illecito e della gravità della sanzione (C. eur. dir. uomo, 8.6.1976, Engel c. Olanda).
Definito in questo modo l’ambito di applicabilità, la Corte europea ha elaborato in via giurisprudenziale una propria disciplina del giudice e del processo amministrativo. Anche qui, essa ha dato una propria lettura del requisito per cui “ogni controversia deve essere decisa equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un organo decidente indipendente, imparziale e stabilito per legge”. Il giudice dell’amministrazione deve, dunque, beneficiare di adeguate potestà decisionali, anche in sede di ottemperanza (C eur. dir. uomo, 19.3.1997, Hornsby c. Grecia); (poter) esercitare un controllo giurisdizionale pieno su tutte le questioni oggetto di controversia, ancorché a carattere tecnico (C. eur. dir. uomo, 24.11.2005, Capital Bank AD c. Bulgaria); assicurare una adeguata separazione tra la funzione giurisdizionale e quella eventualmente consultiva (C. eur. dir. uomo, 6.5.2003, Kleyn e altri c. Francia). Nel corso del giudizio sull’azione amministrativa, inoltre, le parti private devono poter ricevere comunicazione di tutti gli atti istruttori, inclusi quelli degli amici curiae (C. eur. dir. uomo, 7.6.2001, Kress c. Francia) e ottenere una decisione definitiva in termini ragionevoli.
Definiti gli standard sul processo equo, la Corte europea ne ha, in seguito, esteso l’applicazione, oltre che ai processi, anche ai procedimenti amministrativi volti alla risoluzione di controversie (aggiudicatori). In proposito, ha elaborato il seguente criterio di applicabilità: i) qualora una decisione risolutiva di una controversia è soggetta ad un controllo giurisdizionale successivo pienamente rispettoso del diritto ad un processo equo, non è necessario che lo sia anche il procedimento (amministrativo) che conduce all’emanazione di tale decisione; ii) al contrario, qualora una simile decisione non è soggetta ad alcun controllo giurisdizionale successivo, ovvero quest’ultimo non sia pienamente rispettoso del diritto ad un processo equo, è necessario che lo sia almeno il procedimento (amministrativo) che conduce all’emanazione di tale decisione (C. eur. dir. uomo, 23.6.1981, Le Compte, Van Leuven, De Meyere c. Belgio). Ha, quindi, ricondotto in questa categoria i procedimenti sanzionatori (C. eur. dir. uomo, 27.8.2002, Didier c. Francia), disciplinari, di ricorso e di riesame (C. eur. dir. uomo, 28.6.1978, König c. Germania), nonché, non del tutto coerentemente, una varietà di procedimenti autorizzatori, concessori, pianificatori e dichiarativi (C. eur. dir. uomo, 16.7.1971, Ringeisen c. Austria).
Affermata l’applicazione di simili standard ai procedimenti aggiudicatori, la C. eur. dir. uomo ha formulato taluni principi a essi riferibili. Sommariamente: le decisioni risolutive di controversie devono essere irrevocabili (salvo il controllo giurisdizionale) (C. eur. dir. uomo, 19.4.1994, Van de Hurk c. Paesi Bassi); gli organi decidenti devono essere indipendenti dagli organi politici e imparziali rispetto alle autorità parti della controversia, dalle quali devono anche essere organicamente e funzionalmente separati (C. eur. dir. uomo, 23.10.1985, Benthem c. Paesi Bassi); nell’ambito dei procedimenti sanzionatori e disciplinari, l’attività istruttoria deve essere separata da quella decisoria e devono essere garantiti il contraddittorio e la parità delle armi (C. eur. dir. uomo, 22.10.1984, Sramek c. Austria); nell’ambito dei procedimenti disciplinari deve essere assicurata la pubblicità delle udienze; le decisioni aggiudicatorie devono essere comunicate agli interessati e rese conoscibili al pubblico (C. eur. dir. uomo, 16.12.1992, Geouffre de la Pradelle c. Francia); i procedimenti aggiudicatori devono concludersi entro un termine ragionevole, che decorre dal momento dell’effettiva contestazione. Alcuni di questi principi sono stati precisati in un importante caso contro l’Italia (infra, par. 4.3).
Detto dei principi e delle regole elaborati dalla C. eur. dir. uomo in materia amministrativa, occorre verificare quale rilevanza giuridica essi rivestano nell’ordinamento nazionale ed europeo. Riguardo all’ordinamento italiano, per quanto la CEDU sia stata recepita con legge ordinaria di adattamento, la Corte costituzionale ha affermato, a partire dalle “sentenze gemelle” del 2007 (C. cost, 24.10.2007, n. 348 e n. 349), che la CEDU: i) assume rilevanza non in quanto tale, ma per come interpretata dalla C. eur. dir. uomo; ii) rientra nel novero degli “obblighi internazionali” cui l’attività legislativa, ai sensi dell’art. 117 Cost., deve conformarsi, rivestendo il rango di fonte del diritto supra-legislativa e sub-costituzionale; iii) opera come parametro interposto di costituzionalità delle leggi. In quanto tale, dunque, la CEDU non può essere derogata o modificata da una legge ordinaria successiva; produce effetti vincolanti nell’ordinamento solo ove sia a sua volta compatibile con la Costituzione; non può legittimare la non applicazione del diritto nazionale a essa contrario.
Contrariamente a quanto sporadicamente ritenuto dal giudice amministrativo (Cons. St., 2.3.2010, n. 1220), dunque, la CEDU non ha la stessa rilevanza giuridica delle fonti europee. Secondo la Corte costituzionale, infatti, nel decidere una controversia (relativa alla legittimità di un atto amministrativo), il giudice nazionale deve tentare una “interpretazione convenzionalmente orientata” della legge applicabile. Ove questo non sia possibile, il giudice deve sollevare questione di costituzionalità della legge rispetto all’art. 117 della Cost., adottando come parametro interposto la CEDU. A sua volta, la Corte costituzionale è chiamata a svolgere un giudizio articolato in due parti. Da un lato, dovrà verificare che la disposizione rilevante della CEDU, come interpretata dalla C. eur. dir. uomo, sia compatibile con la Costituzione: come visto, infatti, la CEDU è una fonte sub-costituzionale che, in quanto tale, deve conformarsi alla Costituzione. Dall’altro lato dovrà, invece, verificare la compatibilità della legge rispetto alla CEDU, come parametro interposto di costituzionalità.
Riguardo all’ordinamento europeo, invece, sebbene l’Unione europea non sia (ancora) formalmente parte della CEDU, quest’ultima, come interpretata dalla C. eur. dir. uomo, esercita un’influenza indiretta sul diritto UE, in forme molto variegate. Innanzitutto, fin dagli anni ’60, la Corte di giustizia ha sviluppato in via pretoria una propria giurisprudenza in materia di diritti fondamentali, rifacendosi spesso a quella della C. eur. dir. uomo. Nel 1992, il Trattato UE ha previsto che l’Unione protegge i diritti fondamentali come garantiti, tra l’altro, proprio dalla CEDU. Nel 2000, la Carta europea dei diritti fondamentali dell’UE ha previsto, tra l’altro, che, nella misura in cui siano tra loro corrispondenti, i diritti riconosciuti dalla Carta devono avere lo stesso significato e sfera di applicabilità di quelli riconosciuti dalla CEDU. Nel 2009, infine, il Trattato di Lisbona, oltre a stabilire che la Carta dei diritti fondamentali dell’UE ha la stessa rilevanza giuridica dei Trattati, ha espressamente previsto che l’UE accede (nel senso che è chiamata ad accedere) alla CEDU. L’accesso dell’UE alla CEDU, peraltro, non è ancora avvenuto.
A fronte di questa crescente rilevanza giuridica della CEDU, la C. eur. dir. uomo si è, inoltre, riservata la facoltà di svolgere un controllo indiretto sugli atti UE. Per quanto, infatti, questi ultimi non siano (ancora) soggetti alla giurisdizione della C. eur. dir. uomo, essi possono, nondimeno, trovare esecuzione in atti nazionali a carattere vincolato. In questi casi, la C. eur. dir. uomo, nel sindacare direttamente l’atto nazionale di esecuzione, verrebbe, dunque, a controllare indirettamente l’atto europeo eseguito. Per evitare conflitti di giudicato con la Corte di giustizia, la C. eur. dir. uomo ha, allora, introdotto uno speciale meccanismo presuntivo, in base al quale se e nella misura in cui essa ritenga che l’ordinamento UE protegga i diritti fondamentali in maniera «almeno equivalente a quella garantita dalla CEDU», si dovrà presumere che l’atto nazionale esecutivo di un atto europeo non abbia violato la CEDU. Detta presunzione può essere, tuttavia, rovesciata se, nelle circostanze del caso concreto, si ritenga che la protezione della CEDU sia manifestamente carente (C. eur. dir. uomo, 30.6.2005, Bosphorus c. Irlanda).
Stante la rilevanza giuridica della Cedu nell’ordinamento italiano, quest’ultimo ha, sinora, adottato diverse misure di adeguamento, di natura legislativa e giurisprudenziale, in diverse aree.
Una prima area è rappresentata dai procedimenti espropriativi. Nel caso Scordino, i proprietari di un terreno edificabile venivano espropriati ricevendo un’indennità – all’epoca calcolata, sulla base di una legge del 1992, come media del valore venale del bene e del reddito dominicale rivalutato, ridotto del 40% - irrisoria. Su ricorso di questi ultimi, la Corte Edu dichiarava una violazione del diritto al rispetto dei propri beni, per questi motivi: a) un atto restrittivo del diritto di proprietà deve realizzare un giusto equilibrio tra interesse generale e diritti fondamentali ; b) nel realizzarlo, lo Stato gode di «un ampio margine di apprezzamento»; c) per essere legittimo, l'indennizzo deve porsi «in rapporto ragionevole con il valore del bene»; d) in caso di «espropriazione isolata» solo una riparazione integrale può essere considerata in simile rapporto ; e) per converso, solo «obiettivi legittimi di utilità pubblica, come quelli perseguiti da misure di riforma economica o di giustizia sociale possono giustificare un indennizzo inferiore» (C. eur. dir. uomo, 29.3.2006, Scordino c. Italia).
La sentenza Scordino conduceva a un importante revirement giurisprudenziale della Corte costituzionale. Quest’ultima arrivava, infatti, a dichiarare l’illegittimità della legge del 1992 per questi motivi: a) la CEDU dà luogo ad obblighi internazionali che vincolano la potestà legislativa dello Stato; b) nel caso Scordino, la C. eur. dir. uomo ha sostanzialmente affermato che l’indennizzo espropriativo deve essere commisurato al valore venale del bene espropriato; c) il criterio adottato nella legge del 1992 fa sì che l’importo degli indennizzi espropriativi sia mediamente pari al 30%-50% del valore venale; d) questo criterio, in passato ritenuto ammissibile in ragione della sua provvisorietà, è divenuto ormai definitivo. A seguito della sentenza, una legge del 2007 adeguava il sopravvenuto TU delle espropriazioni alla sentenza della C. eur. dir. uomo, stabilendo che «l’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene», salvo che essa sia finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, nel qual caso è ridotta del 25%» (C. cost., 24.10.2007, n. 348).
Un’area contigua è quella dell’accessione invertita. Nel caso Scordino n. 2, il proprietario di un terreno ne subiva l’occupazione illegittima da parte di una cooperativa, che vi realizzava un’opera pubblica. Il giudice amministrativo dichiarava l’inidoneità dell’atto a dare avvio alla procedura espropriativa; il giudice ordinario riconosceva l’estinzione della proprietà e condannava l’amministrazione ad un indennizzo molto ridotto. Su ricorso del privato, la C. eur. dir. uomo dichiarava una violazione della CEDU svolgendo il seguente ragionamento: i) la giurisprudenza in materia di accessione invertita era stata molto ondivaga, rendendo l’esito dei singoli giudizi imprevedibile; ii) poiché nell’accessione invertita l’estinzione della proprietà si produce con la definitiva trasformazione del bene ma ha bisogno della sentenza per essere dichiarata, il privato si trova medio tempore nella assoluta incertezza sulla sorte del proprio diritto; iii) la pratica in questione permette ai pubblici poteri di trarre vantaggio a basso “costo” da un’attività illegittima, così contravvenendo al principio di buona amministrazione (C. cost, 17.5.2005, Scordino c. Italia).
Richiamandosi alla sentenza Scordino n. 2, la Corte costituzionale dichiarava illegittima la disposizione riguardante la determinazione dell’indennizzo, ma non anche sull’accessione invertita in quanto tale, che rimaneva ammissibile (C. cost. 24.10.2007, n. 349). Il legislatore, allora, introduceva una specifica disciplina dell’istituto, denominata “acquisizione sanante”, secondo la quale: «l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni». A differenza che nell’accessione, invertita, in sostanza, nell’occupazione sanante è necessario un espresso provvedimento ablatorio dell’amministrazione. Nel 2010, la Corte costituzionale dichiarava la disposizione incostituzionale per eccesso di delega (C. cost., 8.10.2010, n. 293), ma la disposizione annullata veniva, poi, reintrodotta con decreto legge. Non vi stata, pertanto, piena adesione alle giurisprudenza Cedu.
Una terza area è rappresentata dai procedimenti sanzionatori. Nel caso Grande Stevens, la Divisione mercati della Consob istruiva una ipotesi di manipolazione del mercato; l’Ufficio Sanzioni trasmetteva le proprie conclusioni soltanto alla Commissione, che irrogava le sanzioni; queste ultime venivano impugnate avanti la Corte di appello che, con decisione in camera di consiglio, le confermava. La Corte europea accertava una violazione del diritto a un processo equo. Il procedimento sanzionatorio non era stato rispettoso dei principi di parità delle armi e di imparzialità del giudice (art. 6, CEDU), in quanto, per un verso, le conclusioni dell’ufficio sanzioni non erano state trasmesse anche agli incolpati, per altro verso, sia l’ufficio sanzioni che la Divisione mercati dipendevano organicamente dalla Commissione, competente a irrogare la sanzione. Per di più, il successivo giudizio di impugnazione davanti alla Corte di appello non aveva osservato il principio di pubblicità del processo, in quanto i ricorrenti non erano stati personalmente sentiti in un’udienza pubblica (C. eur. dir. uomo, 7.7.2014, Grande Stevens c. Italia).
La sentenza Grande Stevens ha avuto larga eco in Italia e ha condotto a mutamenti organizzativi e procedurali. Sul piano organizzativo, l’Ufficio sanzioni amministrative della Consob fa capo non più, come ufficio di line, alla Commissione, bensì, come ufficio di staff, al Direttore generale. Sul piano procedimentale, l’Ufficio è ora tenuto a trasmettere la relazione finale, oltre che alla Commissione, anche agli incolpati, che possono presentare ulteriori deduzioni. Sul piano processuale, infine, il giudizio di impugnazione delle sanzioni si svolge non più in camera di consiglio, bensì in udienza pubblica, nel corso della quale sono disposti i mezzi di prova e sono sentite personalmente le parti. Mutamenti analoghi hanno interessato l’attività sanzionatoria di altre autorità, in particolare della Banca d’Italia, nonché, in misura minore, dell’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni – Ivass e dell’Autorità garante delle Comunicazioni - Agcom.
Un’ultima area di rilevanza è rappresentata dalla giustizia amministrativa. Nel caso Menarini, un’impresa veniva gravemente sanzionata dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato - AGCM per intese restrittive della concorrenza. Ricorreva, quindi, al TAR, che rigettava il ricorso, affermando di poter esercitare soltanto un controllo giurisdizionale “debole” di mera legalità sugli atti dell’AGCM. Si rivolgeva, allora, al Consiglio di Stato, secondo cui, invece, il giudice amministrativo svolge un controllo di piena giurisdizione sugli atti dell’AGCM. Su ricorso dell’impresa, la C. eur. dir. uomo osservava che il giudizio amministrativo rappresenta un controllo giurisdizionale pienamente rispettoso del diritto a un processo equo: nel caso concreto, il TAR e il Consiglio di Stato avevano esaminato tutti gli elementi di fatto e di diritto sollevati dalle parti, valutato gli elementi di prova addotti dall’AGCM, verificato la fondatezza della contestazione e la proporzionalità della sanzione. La C. eur. dir. uomo dichiarava, pertanto, la compatibilità rispetto alla CEDU del controllo giurisdizionale esercitato (C. eur. dir. uomo, 27.9.2011, Menarini Diagnostic c. Italia).
Oltre ai casi sopra citati, la Corte Edu ha adottato pronunce nei confronti dell’Italia su una grande varietà di altri aspetti in materia amministrativa. Ha, ad esempio, accertato violazioni della Cedu derivanti dall’introduzione di leggi di interpretazione autentica che intervenivano su disposizioni sulle quali si era già avviato un contenzioso (C. eur. dir. uomo, 7.6.2011, Agrati c. Italia); dall’adozione di provvedimenti di confisca e demolizione di edifici abusivamente lottizzati in assenza di un preventivo accertamento della responsabilità (C. eur. dir. uomo, 20.1.2009, Sud Fondi c. Italia); dalle cattive condizioni di detenzione nelle carceri italiane (C. eur. dir. uomo, 8.1.2013, Torregiani c. Italia); dall’espulsione di stranieri in assenza di un verifica in concreto sul rischio che questi siano sottoposti a tortura nei paesi di destinazione (C. eur. dir. uomo, 28.2.2008, Saadi c. Italia). Rispetto a tutte queste pronunce, l’ordinamento si è adeguato in vario modo, in via legislativa o giurisprudenziale, con misure sostanziali o procedurali. Tra queste ultime, ad esempio, la cd. legge Pinto ha introdotto una procedura per l’erogazione di indennizzi da parte dello Stato per eccessiva durata dei processi, volto a ridurre il numero di ricorsi alla Corte Edu per violazioni del diritto a un processo equo.
In definitiva, per quanto la CEDU non contenga una specifica disciplina dell’attività amministrativa, la C. eur. dir. uomo ha sviluppato in via giurisprudenziale un complesso di regole e principi applicabili ai rapporti tra autorità e privati. Essa è intervenuta, tra l’altro, in materia di espropriazioni, ispezioni, sanzioni, tutela dell’ambiente e del paesaggio, urbanistica, giustizia amministrativa, trasparenza. Sebbene, poi, la CEDU sia stata recepita in Italia con legge ordinaria, essa è stata qualificata dalla Corte costituzionale come fonte del diritto sub-costituzionale operante come parametro interposto di costituzionalità. L’ordinamento nazionale è venuto, pertanto, progressivamente ad adeguarvisi, in materia, come visto, di indennizzi espropriativi e sanzioni delle autorità indipendenti. Regole e principi CEDU rappresentano, dunque, ormai, una autonoma disciplina sovranazionale dell’azione amministrativa, inquadrata nel più ampio contesto del diritto amministrativo integrato europeo.
Fonti normative
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU); l. 4.8. 1955, n. 848; art. 117, comma 1, Cost.; art. 6, TFUE; artt. 37, 42 e 43, d.P.R. 8.6.2001, n. 327; art. 145, t.u.b.; art. 196 bis, t.u.f.; l. 24.3.2001, n. 89.
Bibliografia essenziale
Allena, M., Art. 6, Cedu. Procedimento e processo amministrativo, Napoli, 2012; Bartole, S.-De Sena, P.-Zagrebelsky, V., a cura di, Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2012; Cartabia, M., a cura di, I diritti in azione, Bologna, 2007; Cassese, S., La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e i diritti amministrativi nazionali, in Dir. pubbl. comp. eur., 2001, 311 ss.; Macchia, M., Legalità amministrativa e violazione dei diritti non statali, Milano, 2012; Mirate, S., Giustizia amministrativa e Convenzione europea dei diritti dell’uomo: l’”altro” diritto europeo in Italia, Francia e Inghilterra, Napoli, 2007; Pacini, M., Diritti umani e amministrazioni pubbliche, Milano, 2012; Randazzo, B., Giustizia costituzionale sovranazionale, Milano, 2012.
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