FOLLI (Folius, Follius, Fuoli), Cecilio
Figlio di una Ludovica di cui non si conosce il casato e di Ercole, appartenente all'illustre e rinomata famiglia di Fanano presso Modena, la sua nascita fu registrata il 1° ag. 1614.
Il padre, figlio del medico Bartolomeo, era capitano della Repubblica veneta e morì poco dopo la sua nascita nella guerra di Gradisca (1616-1617). Il F., rimasto orfano, fu affidato alle cure dello zio paterno Giambattista, illustre medico veneziano, protomedico alla Sanità della Repubblica veneta; questo lo allevò e provvide alla sua formazione, indirizzandolo precocemente agli studi scientifici.
A incentivare gli interessi medici del giovane F. contribuì anche il diffondersi della peste che colpì Venezia nell'estate del 1630. Al contrario della maggior parte dei medici lo zio del F., Giambattista, insieme col medico G. degli Aromatari, si batte per affermare la natura contagiosa del morbo e, a causa delle severe misure profilattiche che consigliava per circoscrivere l'epidemia, si attirò le inimicizie del Collegio dei medici. Solo dopo aspre contese fu riconosciuta la validità di tali tesi e il merito di Giambattista.
Il F., benché giovane, si interessò attivamente alla vicenda, coadiuvando l'intensa attività dello zio, e in seguito, sotto la sua guida, scrisse per il magistrato della Sanità una accurata relazione sulla diffusione e la gravità del contagio: Vero racconto di tutto quello è occorso l'anno 1630 nel contagio pestilente che disertò l'inclita città di Venezia (Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, cod. Cicogna 1509) - Successivamente il F. si trasferì a Padova, dove ebbe modo di seguire le lezioni di J. Vesling e di laurearsi in filosofia e medicina, mostrando uno spiccato interesse per le indagini anatomiche e fisiologiche.
Rientrato a Venezia, acquisì immediatamente notorietà e il 27 ag. 1636 fu eletto pubblico anatomico (Archivio di Stato di Venezia, Registro 744, c. 25). Nel 1639, a soli 25 anni, il F. pubblicò a Venezia la sua prima opera a stampa di una certa importanza: Sanguinis a dextro in sinistrum cordis ventriculum defluentisfacilis reperta via, cui non vulgaris in lacteas nuper patefactas venas animadversio praeponitur, dedicata al doge Francesco Erizzo.
Nel testo, corredato di tavole anatomiche, il F. affronta il tema della circolazione sanguigna e riporta le opinioni di diversi autori con tale precisione che l'opera può essere considerata un piccolo trattato di erudizione. Tra le altre il F. analizza ed esclude anche la teoria della "piccola circolazione" di Realdo Colombo, elaborata in contrapposizione al principio galenico della pervietà del setto interventricolare. Da parte sua il F., avendo scoperto in un cadavere il foro di Botallo ampiamente pervio, sostiene che il sangue, quando vi sia un grande afflusso, transiti dal ventricolo destro a quello sinistro attraverso tale foro; in realtà la pervietà del foro di Botallo, presente esclusivamente nel feto, nell'adulto individua una malformazione congenita che provoca la commistione tra sangue venoso e sangue arterioso. Sempre secondo il F., qualora l'afflusso sia minore e il foro si sia serrato, il sangue transita da un ventricolo all'altro attraverso appositi forellini posti in prossimità del foro che, in realtà, sono gli orifizi dei capillari che vengono dalla parte dell'atrio. Inoltre il F., citando Harvey, a cui riconobbe genio e capacità, parla anche di piccole anastomosi presenti in tutto il corpo in grado di porre in comunicazione sistema venoso e sistema arterioso, ma, pur riconoscendo la fimione dei capillari ed esprimendosi in termini di "circolazione", rimane su posizioni galeniche credendo a un processo non di circolazione ma di costante generazione del sangue. Nell'opera vi è anche una digressione sulle "vene lattee", i vasi chiliferi scoperti da G. Aselli nel 1622. Il F. afferma di avere dimostrato per primo in una anatomia pubblica la presenza delle vene lattee in cadaveri umani, che Aselli aveva visto sezionando esclusivamente animali.
Nel 1644 nel Discorso anatomico nel quale si contiene una nuova opinione circa la generazione, et uso della pinguedine con altri principii hippocratici (Venetia), il F. torna a parlare delle vene lattee e della circolazione dell'umor latteo.
In particolare, distinguendo in base alla densità quattro qualità di grasso - la pinguedine, l'adipe, il sevo e il midollo osseo - intende dimostrare che il grasso non è un "escremento" ma una parte integrante del corpo umano. Pur essendo distribuito al tessuto cellulare per mezzo dei vasi sanguigni, necessario in alcune circostanze per la nutrizione del corpo, non si forma dal sangue ma dall'"umor latteo" che deriva dalla digestione dei cibi. Nella prefazione all'opera, inoltre, il F. fa cenno a una serie di lavori di carattere anatomico e fisiologico (tra. cui un trattato Defebribus, un De semine, un De origine partium), opere, secondo l'autore, cui mancavano solo pochi ritocchi finali per essere editi ma che non videro mai la luce.
L'anno successivo il F. pubblicò un opuscolo di sole 6 pagine ma molto importante: la Nova auris intemae delineatio (Venezia 1645).
L'opera, consegnata come una lettera a Th. Bartholin, divenne immediatamente celebre e rara. La notorietà è dovuta ad una tavola in cui compaiono 6 figure che offrono una accurata e analitica descrizione, ai confini dell'indagine microscopica, dell'orecchio medio ed esterno. Evitando premeditatamente ogni commento di natura fisiologica e limitandosi solo a segnalare le diverse parti analizzate, il F. descrive alcune strutture dell'organo dell'uffito mai osservate precedentemente. Tra le molte e notevoli precisazioni di carattere morfologico che compaiono nelle figure del F., di particolare importanza è la descrizione nella seconda figura del processo gracile del martello, detto anche "processo del Folli", cioè l'apofisi anteriore di questo ossicino diretta verso l'esterno e connessa con la membrana del timpano. Il Portal nota anche che l'autore individua il processo lenticolare dell'incudine che chiama "os globulus" la cui scoperta è attribuita a S. de Le Boë. Tuttavia il F. lo considera erroneamente un osso indipendente.
Il fatto che l'opera sia indirizzata al Bartholin è l'indizio dello stretto rapporto di stima e di amicizia che intercorreva tra i due; spesso il F. si recava a Padova, dove Bartholin risiedeva, sia per discutere con lui l'evoluzione delle sue ricerche sia per fare dimostrazioni pratiche di anatomia. A riprova di ciò nel carteggio di Bartholin, Epistolarium medicinalium a doctis vel ad doctos scriptarum centuriae (Hagae Comitum 1740)., oltre alla Nova auris vi è un'altra lettera scritta dal F., datata 4 nov. 1644 e titolata Observationes quaedam anatomicae (cent. I, epist. LXXII, p. 251) - Si tratta di un breve trattato che contiene svariate osservazioni anatomiche sulla cute, sul peritoneo, sulle ulcerazioni del ventricolo cardiaco, sui vermi intestinali.
In seguito alla pubblicazione di tali opere la fama del F. si diffuse ulteriormente e l'11 apr. 1650 egli fu eletto, al posto dello zio Giambattista, protomedico alla Sanità. Ammesso al priorato del Collegio dei medici dal 1638, negli anni 1652 e 1671 esercitò l'incarico di priore.
Proprio in virtù della notorietà e degli incarichi che ricopriva il F. si fece promotore di un'importante iniziativa pubblica: la costruzione a Venezia di un teatro anatomico sul modello di quello padovano. Il progetto fu reso possibile da un generoso lascito messo a disposizione a tal fine nel 1654 da L. Loredan e dalla deliberazione del Senato veneziano, che, nel 1669, concesse l'area per l'erezione dell'edificio a S. Giovanni dell'Orio. Il F. ideò l'architettura del teatro e con T. Zuccati e F. Bernardi si adoperò con sollecitudine perché i lavori fossero portati a termine nel più breve tempo possibile e nel migliore dei modi. Il teatro venne inaugurato il 2 febbr. 1671, ma l'8 genn. 1800 fu devastato da un incendio e con esso scomparvero anche la preziosa biblioteca e l'archivio. Il Collegio medico dell'istituto rimase attivo fino al 1806, anno in cui la scuola venne assorbita dall'università padovana.
Oltre agli incarichi pubblici, il F. ebbe anche una numerosissima clientela privata e, molto probabilmente, fu questa intensa attività pratica che non gli permise di portare a termine molti suoi studi scientifici. Tra i testi smarriti vi è anche un dialogo scritto dal F. contro F. Bernardi, relativo a un contrasto sorto sulla terapia più opportuna per curare il patrizio G. Lando.
Sempre in merito a questa vicenda, intorno al 1668, F. Cameroni, allievo e cugino dei F., scrisse una confutazione per difendere le posizioni dei maestro (Confutazione della Diatriba pubblicata da Florio detto Bernardi sotto il nome di Scipione Obezinglese, del dott. Giò. Cesare Manfrocini, Fanano, con falsa data [secondo G. Tiraboschi risalente al 1668 circa]).
Oltre all'ammirazione del Bartholin (che, nella prefazione all'opera del padre Caspar, Istituzioni anatomiche, lo annovera tra i più famosi anatomici d'Europa), il F. godette la stima e l'amicizia di molti studiosi contemporanei e con alcuni intrattenne corrispondenza epistolare su specifici argomenti inerenti alla ricerca medica. Tuttavia non ebbe solo interessi scientifici ma anche letterari e, secondo quanto viene attestato nelle memorie dell'Accademia degli Incogniti - di cui fu membro -, pubblicò alcuni componimenti anche sotto falso nome.
Nell'incendio del teatro anatomico andò distrutto, tra gli altri, un busto commemorativo dei F., che datava la sua morte nel 1682. Dopo accurate ricerche, presso gli archivi veneziani e i registri parrocchiali di Fanano, il Di Pietro escluse che fosse deceduto a Venezia o al suo paese natio, facendo l'ipotesi che fosse morto in qualche località vicino alla città, chiamato per un consulto medico. Per quanto riguarda l'anno del decesso, pur mancando documenti probatori, la data del 1682 appare confermata sia da alcuni autori sia da notizie che riguardano la sua attività. D'altra parte già dall'11 luglio 1680, per l'eccessivo carico di lavoro e per le "non ottime condizioni di salute", gli era stato affidato, per disposizione dei Notari, il suo discepolo I. Grandi come aiuto nella carica di protomedico. Nel maggio e giugno 1681 il F. figura come medico curante delle monache del convento di S. Donato di Murano e il 12 luglio viene registrato il suo esposto ai provveditori per chiarire alcune controversie.
Fonti e Bibl.: Cenni storici sopra la peste di Venezia del 1630-31, estratta da un'opera non pubblicata dal c. re F. (secondo Di Pietro cavaliere Fuoli), Venetia 1830; M.V. Vercellini, Le glorie degli Incogniti, Venezia 1647, pp. 97 ss.; I. Grandi, Orazione nell'aprirsi il nuovo teatro di anatomia in Venezia, li 2 febbraio 1671, Venezia 1671; N.C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, Venetiis 1726, II, p. 296; G.A. Moschini, Ragguaglio della veneta peste dell'anno 1630..., Venezia 1730; M. Portal, Histoire de l'anatomie et de la chirurgie, Paris 1770, II, pp. 548-552; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, Modena 1781-1786, II, pp. 311-316; G. Casoni, La peste di Venezia nel 1630, Venezia 1830, passim; A. Corradi, Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850, in Mem. della Soc. medico-chirurgica di Bologna, VI (1870), 5, p. 1878; N. Pedrocchi, Storia di Fanano, a cura di A. Sorbelli, Fanano 1927, pp. 309-316; P. Di Pietro, C. F. di Fanano anatomico del secolo XVI, in Minerva medica, XLIII (1952), pp. 653-660 (con bibliografia); G. Kasten Tallmadge, Caecilius Folius ori the circulation, in Bull. of the history of medicine, XXVIII (1954), pp. 15-31; A. Bosatra, La "Nova auris intemae delineatio" di C. F., in Acta medicae historiae Patavina, I (1954-55), pp. 1-16 (con ristampa anastatica dell'opera); L. Premuda, Storia dell'iconografia anatomica, Milano 1957, p. 172; Venezia e la peste, a cura del Comune di Venezia, Assessorato alla Cultura e Belle Arti, Venezia 1979, p. 141.