CECILIA METELLA, Sepolcro di (Caecilia, Q. Cretici filia, Metella)
Uno dei più caratteristici monumenti antichi degli immediati dintorni di Roma, divenuto, insieme agli archi dei vicini acquedotti, quasi elemento obbligatorio delle vedute di paesaggio della campagna romana, all'inizio della via Appia (v.). Nulla si sa di C. M. oltre quanto ci dice di lei l'iscrizione (che la designa come moglie di Crasso, probabilmente un figlio del triumviro dell'anno 6o a. C.), sul suo monumento sepolcrale. Questo sorge, tra il secondo ed il terzo miglio della via Appia, sul ciglio di una collinetta e ci appare costituito da una base quadrangolare alta m 7 che sorregge un corpo cilindrico dall'altezza di m 11 e dal diametro di m 29,50. Il cilindro era quasi sicuramente sormontato da un tetto a cono ancora esistente nell'XI sec., quando un atto designa il sepolcro come monumentum peczutum (= aguzzo. Cfr. vol. I, fig. 743).
Siamo di fronte ad una caratteristica tomba individuale del tipo classico in uso tra i Romani. Tale tipo succedette al tumulo verdeggiante su base rotonda, di cui ultimo esempio è il mausoleo di Adriano, per il quale, come già per l'Augusteo, furono le grandi dimensioni che consigliarono il modo più antico, laddove una calotta di pietra avrebbe dato eccessiva pesantezza all'insieme.
Il sepolcro di C. M. rientra nel gruppo di opere consimili del I sec. a. C., per quanto il rivestimento, il fregio, ecc. lo caratterizzino meglio come edificato verso la fine dell'età repubblicana. Il muro esterno, costruito in opera a sacco, era rivestito di travertino; i lastroni di questo che ricoprivano la base furono divelti, mentre i blocchi che li sostenevano e che erano incuneati nel corpo della costruzione furono troncati con la mazza; ciò era già avvenuto poco dopo il 1000. Tutt'intorno alla parte superiore del corpo cilindrico corre un fregio in marmo pentelico con bucrani da cui pendono festoni (donde l'origine del toponimo "Capo di Bove"). Sopra l'iscrizione, incisa su una lastra marmorea dalla parte della via, è ancora in parte visibile una Vittoria che scrive su uno scudo; altri bassorilievi (freccia legata con arco cretese, prigioniero sotto clamide, insegne militari, ecc.) alludono alle vittorie di Metello o anche a quelle del marito di Cecilia, legato di Augusto in Mesia. Si può pensare che attorno alla sommità del cilindro si trovasse un giro di merli, da non confondere con quelli di origine medievale attualmente visibili. Alla camera sepolcrale conica, rivestita in opera laterizia coperta di stucco, si accede da un corridoio il cui ingresso è posto su un lato della costruzione e che era interrotto poco dopo la metà da una porta di cui è conservato l'architrave.
Il monumento, così come ora ci appare, è stato ripristinato da L. Canina nel 1836. Durante il Medioevo esso era divenuto la rocca di un castello prima dei Caetani e poi, successivamente, dei Savelli, dei Colonnesi e degli Orsini. Di tale adattamento sono ricordo, oltre la merlatura già menzionata, anche gli avanzi del ballatoio che correva attorno alla sommità del corpo cilindrico. Il castello, a causa della sua posizione dominante l'accesso di Roma dalla via Appia, fu naturalmente oggetto di contese, subendo più volte gravi danneggiamenti, culminati con la distruzione agli inizi del XIV sec. e con la definitiva rovina nel Rinascimento, epoca in cui se ne comincia la sistematica spoliazione, culminata addirittura in una delibera di demolizione del sepolcro di C. M, concesso ufficialmente come cava di materiale edile e salvatosi mercè una sospensiva (poi provvidenzialmente mai più revocata) ottenuta per le proteste degli spiriti colti.
Bibl.: A. Nibby, Roma nell'anno MDCCCXXXVIII, I, 2, Roma 1839, pp. 550-556; L. Canina, La prima parte della v. Appia, etc., Roma 1853, p. 87 ss.; F. Azzurri, Osservazioni sul fregio marmoreo del sepolcro di C. M., in Bull. Com., IV, XXIII, 1895, p. 14 ss.; G. Ripostelli-O. Marucchi, La Via Appia, Roma 1908, p. 14; G. Tomassetti, La campagna romana, II, Roma 1910, pp. 60-69.