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GONZAGA, Cecilia

di Isabella Lazzarini - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)
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GONZAGA, Cecilia (in religione, Chiara)

Isabella Lazzarini

Seconda figlia femmina di Gianfrancesco I, marchese di Mantova, e di Paola Malatesta, nacque a Mantova nel 1425. Con i fratelli Ludovico, Carlo, Gianlucido, Alessandro e con la sorella Margherita trascorse gli anni della fanciullezza e dell'adolescenza alla scuola inaugurata alla corte di Mantova, nella Ca' Zoiosa, dal grande umanista e pedagogo Vittorino Rambaldoni da Feltre, che Gianfrancesco aveva chiamato a Mantova nel 1423 affinché si occupasse dell'istruzione dei propri figli. Vittorino diresse la scuola mantovana, che contava fra i trenta e i quaranta allievi giuntivi da diverse parti d'Italia, sino alla morte, avvenuta il 2 febbr. 1446: le vicende personali e spirituali della giovane G. si intrecciarono inestricabilmente con gli ammaestramenti ricevuti dal celebre insegnante.

La G. si dimostrò un'allieva precoce e dotata: nei registri di spese di corte della madre Paola nel 1431 venne annotato l'acquisto di un manuale di grammatica di Donato destinatole, mentre l'anno seguente veniva acquistato un evangeliario in greco, sempre per la bambina, che evidentemente imparò a leggere il greco a sette anni. A otto anni la facilità e la prontezza della G. nel districarsi nei meandri della grammatica greca colpì a tal punto il generale dei camaldolesi, Ambrogio Traversari, da spingerlo a rammentare, nell'Hodoeporicon, lo stupore provato dinnanzi alla bambina: "denique principis filiam octo ferme annorum ita imbuerat ut legeret iam et scriberet, graecaque et nomina et verba inoffense declinaret, non sine admiratione nostra" (il soggetto è Vittorino).

Gianfrancesco Gonzaga, dopo avere destinato in matrimonio la prima delle figlie, Margherita, a Leonello d'Este (la cerimonia venne celebrata nel 1435), promise la seconda a Oddantonio, figlio del signore di Urbino Guidantonio da Montefeltro. I patti matrimoniali non sembrarono nei primi anni suscitare problema alcuno, come testimonia il carteggio tra Mantova e Urbino avviato a partire dal 1439. Ma, quando i due giovani giunsero in età utile al matrimonio, la G. rifiutò lo sposo ritenendo di avere in precedenza fatto voto di dedicare la propria vita a Dio e chiese al padre di consentirle di prendere il velo.

I contemporanei ricordano come in questa sua propensione alla vita monastica la fanciulla trovasse il favore di Vittorino, che la felicitò per questa inclinazione, nonché della madre Paola, donna di profonda e sincera religiosità, che fra le altre iniziative in favore di enti ecclesiastici e ordini monastici aveva fondato in città nel 1420, dopo la visita a Mantova di Bernardino da Siena, un monastero di clarisse dedicato al Corpus Domini. Lo sviluppo della vicenda, illuminato dettagliatamente dal carteggio e dalle cronache dei contemporanei, divenne in qualche modo esemplare per i valori discussi e interpretati dai protagonisti. Di fronte al padre Gianfrancesco, che, adiratosi immediatamente, ricorse anche a forme violente di persuasione sulla figlia e investì di veementi recriminazioni la moglie, colpevole di non dissuadere la fanciulla dai suoi propositi, e davanti a Guidantonio da Montefeltro, fiducioso in una soluzione positiva della vicenda, stettero infatti il precettore, che severamente ebbe a ricordare al marchese di guardarsi dal provocare l'ira di Dio, gli alunni della Ca' Zoiosa (fra questi Gregorio Correr che scrisse per la G., nel 1443, su esortazione di Vittorino, un'epistola De fugiendo saeculo), oltre alla marchesa Paola, che protesse la figlia dalle intemperanze paterne.

L'ideale educativo di Vittorino, saldamente fondato su una formazione classica, ma radicato in una profonda religiosità e sobrietà di vita, fu probabilmente alla base della scelta della giovane G. e l'influenza in corte del grande umanista (che il maestro esercitò sul marchese in questi stessi anni, in occasione di un altro scontro tra Gianfrancesco e un figlio, in questo caso Ludovico, esule volontario dal Marchesato nel 1436 e riconciliatosi con il padre, anche grazie alle insistenze del precettore, nel 1441), permisero alla G., seppure nel solco di una mai rinnegata obbedienza filiale, di insistere a favore delle proprie scelte sino alla felice soluzione della vicenda.

Nel frattempo dal lato urbinate, infatti, Oddantonio, ferito dalle difficoltà sollevate dalla fidanzata e dall'idea che la promessa sposa gli sarebbe stata mandata, se necessario, anche costretta, nel corso del 1442 si allontanò contro il volere del padre dall'idea del matrimonio gonzaghesco, iniziando a pensare a una moglie estense (Isotta di Nicolò [III], che in effetti sposò nel 1444, appena prima di venire ucciso in una congiura). Il carteggio fra Mantova e Urbino (cfr. Tarducci) è di grande interesse: da un lato il giovane Oddantonio sostenne anche rudemente con il marchese di Mantova di non essere in alcun modo disposto a ricevere una moglie obbligata con la forza a sposarlo e a distogliere la G. dalla sua vocazione; dall'altro Gianfrancesco il quale, benché avesse ottenuto dalla figlia un assenso alle nozze dopo che una commissione di religiosi e giuristi (fra cui il vescovo di Mantova) aveva convinto la giovane che la sua promessa matrimoniale era precedente al voto di verginità che aveva pronunciato, dapprima asseriva di non forzare alcuno, poi rifiutava a sua volta il matrimonio divenuto ormai solo un motivo di imbarazzo. Nonostante l'evidente rammarico di Guidantonio da Montefeltro, il matrimonio dunque non si fece: la G. non ottenne peraltro dal padre il permesso a prendere i voti, come voleva, se non nel 1444. Solo allora infatti, in punto di morte, Gianfrancesco liberò la figlia dal suo diniego: una clausola del testamento del marchese, redatto il 23 settembre, consentiva finalmente alla monacazione della G., che entrò quello stesso anno nel convento di clarisse dedicato al Corpus Domini, dove venne raggiunta qualche tempo dopo dalla marchesa stessa. Qui visse, con il nome di Chiara, sino alla morte, avvenuta pochi anni dopo, nel 1451. Tanto la G. quanto Paola, che mantenne in convento il suo nome, furono beatificate e inserite nel Martirologio francescano.

La vicenda della giovane G., la cui bellezza e la cui cultura vennero magnificate dai contemporanei e immortalate dal Pisanello in una splendida medaglia, fu significativa agli occhi dei contemporanei proprio per la sobrietà e la severità dell'inclinazione della G., che volle rinunciare ai privilegi del rango e della cultura per la vita ritirata del chiostro: il magistero di Vittorino la rese esemplare.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, bb. 330, 410a.28 (Affari difamiglia); 1066 (Pesaro e Urbino); 2094 (Minute); 286 bis: Memorie Maloselli, c. 37r; I. Donesmondi, Dell'istoria ecclesiastica di Mantova, II, Mantova 1613, p. 389; A. Traversari, Hodoeporicon, Florentiae-Lucae 1678, col. 34; G. Correr, Epistola ad Caeciliam virginem de fugiendo saeculo, in E. Martène - U. Durand, Veterorum scriptorum et monumentorum historicorum, dogmaticorum, moralium amplissima collectio, III, Parisiis 1724, coll. 829-842; Sassuolo da Prato, De Victorini Feltrensis vita ac disciplina, ibid., col. 846; G.B. Mittarelli - A. Costadoni, Annalium Camaldolensium Ordinis S. Benedicti libri, VII, Venetiis 1769, p. 129; Vespasiano da Bisticci, Frammenti di un trattato storico-morale e notizie di alcune illustri donne del sec. XV, in Arch. stor. italiano, s. 1, IV (1843), pp. 444 s.; F. Prendilacqua, De vita Victorini Feltrensis dialogus…, in E. Garin, Il pensiero pedagogico dello Umanesimo, Firenze 1958, pp. 605, 647-649; F. Tarducci, C. G. e Oddantonio da Montefeltro. Narrazione e documenti, Mantova 1897; A. Magnaguti, Le medaglie mantovane descritte e commentate, Mantova 1921, pp. 20 s.; C. Fratini, Vittorino da Feltre e C. G., Feltre 1946; R. Quazza, L'ambiente e i tempi di Vittorino da Feltre, in Vittorino da Feltre. Pubblicazione commemorativa del V centenario della morte, Brescia 1947, pp. 37, 39 s.; E. Faccioli, Mantova. Le lettere, II, L'esperienza umanistica, Mantova 1962, pp. 26 s., 48 s.; R. Signorini, A caccia del magister Pelicanus. Catalogo della Mostra documentaria di Vittorino da Feltre, Mantova 1979, pp. 15-18; Vittorino da Feltre e la sua scuola: umanesimo, pedagogia, arti, a cura di N. Giannetti, Firenze 1981, ad indicem; R. Signorini, Opus hoc tenue: la camera dipinta di Andrea Mantegna, Mantova 1985, pp. 23, 189, 197, 204.

Vedi anche
Antonio di Puccio Pisano detto il Pisanèllo Pisanèllo ‹-s-›, Antonio di Puccio Pisano detto il. - Pittore e medaglista (n. prima del 1395 - m. 1455). Fu il massimo interprete della cultura tardogotica italiana insieme a Gentile da Fabriano, di cui fu probabilmente allievo. Umanisti e poeti (Guarino Veronese, Basinio da Parma, Porcelio, B. Facio) ... Gianfrancésco Gonzaga 1º marchese di Mantova Gianfrancésco Gonzaga 1º marchese di Mantova. - Figlio (n. 1395 - Gianfrancesco Gonzaga 1º marchese di Mantova 1444) di Francesco signore di Mantova e di Margherita Malatesta. Successe nel 1407 al padre, sotto la tutela prima di Carlo Malatesta, poi del conte Albertino da Prato. Uscito di tutela nel ... Gonzaga, Francesco I (o Gianfrancesco). - Capitano generale (1366-1407) di Mantova; successe (1382) al padre Luigi II; per primo tentò di liberare Mantova dalla soggezione viscontea, appoggiandosi a Venezia. Nel 1383 gli fu conferito il titolo di vicario imperiale. Ebbe inoltre il merito di aver costituito su salde basi ... Ludovico III Gonzaga secondo marchese di Mantova detto il Turco Figlio (1414-1478) di Gianfrancesco, primo marchese di Mantova e di Paola Malatesta. Sposò (1433) la nipote dell'imperatore Sigismondo, Barbara di Brandeburgo. Dopo essere stato al servizio dei Visconti, morto il padre (1444), poté riunire nelle proprie mani il marchesato prima diviso coi fratelli Gianlucido ...
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cecìlia
cecilia cecìlia s. f. [dal lat. caecilia, der. di caecus «cieco»]. – 1. Altro nome della luscengola (rettile della famiglia scincidi), con le varianti region. ciciglia, cicigna, cecigna. 2. Forma italianizzata del lat. scient. Caecilia,...
cecìlie
cecilie cecìlie s. f. pl. [dal lat. caecilia, der. di caecus «cieco»]. – In zoologia, ordine di anfibî, noti anche come apodi.
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