ANGIOLIERI, Cecco
Nacque a Siena intorno al 1260.
Suo padre, Angioliero degli Angiolieri, era tra le persone più segnalate per ricchezza e nobiltà: banchiere di papa Gregorio IX, fu dei Signori del Comune nel 1257 e nel 1273, dopo essere stato due volte priore, ed entrò nell'ordine dei Cavalieri di Beata Maria, più noto come quello dei Frati Gaudenti. Non meno nobile discendenza aveva la madre di lui, monna Lisa della famiglia dei Salimbeni, anch'essa iscritta al suddetto ordine. È presumibile che l'A. trascorresse in Siena gli anni della sua prima giovinezza e della sua formazione. Di famiglia tradizionalmente guelfa, prese parte, nel 1281, alla campagna militare condotta per la conquista del castello ghibellino di Turri in Maremma, e fu multato, in quell'occasione, due volte in lire due per essersi arbitrariamente assentato dal campo. Altre multe gli fioccarono addosso l'anno successivo; fra l'altro, "quia fuit inventus de nocte post tertium sonum campane Comunis" (cfr. A. F. Massèra, La patria..., p. 446 n. 3) e questa motivazione è ripetuta nel 1291, anno nel quale Cecco fu anche coinvolto nel processo per il ferimento di un tale Dino di Bernardo da Monteluco, risultandone tuttavia innocente. Nel secondo semestre dell'anno 1288 i Senesi inviarono un piccolo contingente di truppe in aiuto dei Fiorentini impegnati in quella guerra contro Arezzo che si concluse con la battaglia di Campaldino (1289), alla quale, com'è noto, partecipò anche Dante Alighieri. Fra i Senesi era Cecco Angiolieri con suo padre; e non è improbabile che Cecco e Dante, allora pressoché agli inizi delle loro rispettive carriere poetiche, vi si incontrassero e vi iniziassero un'amicizia, che, data la natura così radicalmente diversa dei due poeti, non poteva durare. Ne è prova una serie di tre sonetti indirizzati dall'A. all'Alighieri, del quale, però, non ci sono pervenuti i rispettivi sonetti collocutorii: 1) Lassar vo' lo trovare di Becchina, sicuramente scritto fra il 1289 e il 1294, nel quale i rapporti fra i due poeti sono amichevoli; 2) Dante Alighier, Cecco, 'l tu' serv'e amico, nel quale il poeta senese con un affiorante sorriso d'ironia crede di cogliere in contraddizione, nel sonetto Oltre la spera che più larga gira, l'amico poeta fiorentino, che rintuzzerà forse indirettamente l'accusa nella prosa del paragrafo XLI della Vita Nuova ed in Convivio III, IV, 9; 3) Dante Alighier, s'i', so', bon begolardo, nel quale la rottura appare profonda e completa. Da quest'ultimo sonetto emerge chiaramente che Dante rivolse a Cecco parole di aspro rimprovero, suscitando la puntuta reazione del vecchio amico, che si trovava a Roma ("s'eo so' fatto romano, e tu lombardo"). Secondo una poco sicura notizia del filologo senese Celso Cittadini, l'A. fu, a Roma, in casa del cardinale senese Riccardo Petroni; ma sembra comunque certo che, anche prima della morte del padre (già avvenuta nel 1296), egli dovette abbandonare per un certo tempo Siena, probabilmente per ragioni politiche. Nessuna notizia si ha per gli ultimi anni della vita di Cecco (il terzo sonetto contro Dante risale all'anno 1304), salvo ch'egli vendette, nel 1302, una sua vigna a Neri Perini per settecento lire. Né si conosce l'anno preciso della sua morte, certamente avvenuta per altro prima del 1313. È del febbraio di quest'anno, infatti, un documento attestante che Meo, Deo, Angioliero, Arbolina, Simone, "filii olim Cecchi domini Angelerii", rifiutavano l'eredità patema, perché eccessivamente ipotecata (cfr. A. F. Massèra, La patria..., p. 448). E dopo, e nonostante, questa legale rinuncia, costoro furono condannati ugualmente a pagare una certa somma che il Comune di Siena credeva di aver diritto di esigere da Cecco, loro padre. Da chi Cecco avesse avuti questi figli, e un'altra figlia, Tessa, già in precedenza emancipata e perciò non nominata nel documento ora ricordato, non sappiamo. Non certo da quella Uguccia Casali della quale parla il D'Ancona come moglie di lui, e che, invece, fu moglie di un altro omonimo e contemporaneo Cecco Angiolieri, come ha dimostrato A. F. Massèra, appartenente a quel ramo cortonese degli Angiolieri, che si disse poi degli Alticozzi. Costui era vivo nel 1329; molti anni dopo, dunque, che era già morto l'altro Cecco Angiolieri poeta senese.
La prima organica edizione dei sonetti dell'A. è dovuta ad A. F. Massèra, ed apparve a Bologna (ed. Zanichelli) nel 1906. Conteneva 138 sonetti, divisi in sette gruppi secondo il loro contenuto, e tratti per la maggior parte dal cod. Chigiano L. VIII. 305 e in minor parte da altri manoscritti. L'edizione era anche corredata di abbondanti note critiche, storiche e filologiche. A quei 138 sonetti ne furono poi aggiunti dal Massèra alcuni altri, ritrovati nel cod. Escurialense e. III. 23; sicché, nella sua successiva edizione laterziana (1920) dei Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, i componimenti attribuiti all'Angioleri salivano a 150. Essi inoltre venivano ordinati in modo da costituire un vero e proprio "canzoniere", dall'innamoramento alla gelosia, alla conquista, alle esorbitanti pretese della donna, al lamento sulla povertà e al conseguente improperio contro il padre e la madre, accusati di esser poco generosi di danaro col poeta loro figlio. L'ordinamento (conservato da C. Steiner nella sua edizione commentata del 1925) si adeguava, dunque, alla interpretazione romantico-autobiografica, che, con grande fortuna critica, aveva attribuito alle rime di Cecco il più autorevole studioso dell'A., il D'Ancona. Nel 1940 apparve una seconda edizione del volume masseriano, riveduta e aggiornata da L. Russo; ma non recava alcuna novità circa i sonetti del poeta senese, sebbene da A. Todaro fosse stata prospettata (1933 e 1934) una non lieve questione di attribuzioni e di autenticità. Alle ipotesi della Todaro si riallacciano i successivi studi di M. Marti (1950; confermati in sostanza dalle ricerche di A. Razzini nell'anno 1954) in preparazione a una nuova edizione dei sonetti dell'A., apparsa poi (1956) nel volume dei Poeti giocosi del tempo di Dante. Qui i sonetti autentici sono ridotti a 112, in appendice ai quali compaiono altri 16 sonetti dubbi; e il loro ordinamento è radicalmente diverso da quello del Massèra, poiché, nel frattempo, s'era andata dileguando (Russo, Sapegno) l'interpretazione romantico-autobiografica dei contenuti angioliereschi, e s'era andata sostituendo, pur con qualche concessione a linee critiche tradizionali (Maier, Figurelli), la misura della cultura e dello stile, la quale non nega il dato biografico, sotto il profilo dell'esame psicologico, né l'elemento storico sotto il profilo dell'implicazione sociale, ma è disposta a riconoscere l'uno e l'altro solo nell'epifania di un'arte individuale formatasi nel clima di una precisa cultura, e concreta testimonianza di una letteratura "generica" di respiro romanzo ed europeo (Marti). Così la costruzione masseriana, operata dall'estemo, di un "canzoniere" angiolieresco, cede ora il posto ad uno svolgimento di esperienze, di toni, di "topoi" giustificati da una particolare visione della vita antiplatonica, che si traduce nei modi di un ben posseduto stile "comico". Tuttavia, una successiva edizione, a cura di M. Vitale, del gruppo dei poeti giocosi, apparsa a Torino anch'essa nel 1956, da una parte riconfermava generalmente i risultati del Marti circa l'autenticità dei sonetti da attribuire a Cecco Angiolieri, ma, dall'altra, si rifaceva alla costruzione masseriana del "canzoniere", invero irremissibilmente compromessa ormai dalla necessaria sottrazione dei sonetti non autentici.
La figura di Cecco Angiolieri assume storico significato solo se inserita nella tradizione scolastica di tono giocoso e nella letteraria di genere goliardico, e se contrapposta ai "poetae novi" del dolce stile. Rivive nella cultura e nella tradizione. Per lungo tempo s'è creduto veramente autobiografico tutto ciò che al poeta piacque narrare di sé nei suoi versi: l'amore per una Becchina rivelatasi presto linguacciuta, volgare, cupida; la realtà di una strana innominata moglie che garrisce in modo atroce e solo invita a far masserizia; la ribellione, al padre e alla madre, vecchi, avari e sempre maledettamente vivi; la povertà odiosa, spregevole, insopportabile, al confronto delle ricchezze che sole permettono ogni godimento; la dissipazione quotidiana fra donne, taverne e dadi.
Certo, alcuni documenti già ricordati e riguardanti la vita di Cecco sembrano confermare sregolatezza e dissipazione; ma ciò non può in alcun modo autorizzare ad attribuire ai contenuti dei sonetti una precisa indicazione autobiografica. La coincidenza biografico-letteraria non è in quei temi, che hanno tutto il sapore di una mitologia poetica tradizionale, ma nella originaria e connaturata scelta letteraria e stilistica operata da Cecco, la quale è sempre in funzione di opposizione, di polemica, di ribellione a ciò che è contrario al carattere insofferente e scapigliato del poeta. La sua interiore biografia trova adeguata espressione, solo in un'arte multiforme, varia, cangiante, sempre lontana dall'ascensione idealistica e dal misticismo "tragico" e solenne; arte, per. altro, non popolare né d'istinto, ma raffinata e colta, educata sulla tradizione e sulla scuola delle Artes dictandi, ricca di vistosa tensione retorica. L'esame del lessico, della sintassi, potrebbe indurre ad affermare che l'A. pecchi addirittura di tecnicismo e di letterarietà. I suoi incipit iperbolici, la sua tecnica "a catena", l'improvvisa introduzione della battuta dialogata, la conclusione esclamativa, la sua sintassi impervia, il suo lessico dialettale, ma pur ricco di parole nuove e preziosissime, l'uso scoperto di formule e di figure retoriche, le cadenze sentenziatrici e proverbiose suggerite dalle Artes, le modulazioni scanzonate e motteggiatrici non solo rivelano la sua consumatissima perizia, ma finiscono addirittura col porre in guardia il lettore. I suoi temi, quasi tutti, sono tradizionalm ente logorati (svolti dalla letteratura goliardica in latino, o recati come esempi nelle trattazioni retoriiche, o assunti già in molteplici variazioni da una vasta letteratura romanza di carattere giocoso); ristretti sembrano i confini della sua specifica inventio. Forse il suo "trovato" nuovo è nell'invettiva antipaterna; ed è inserito, tuttavia, fra gli altri "trovati" vecchi come aspetto di un preciso genere (vituperium), e atteggiato secondo la, comune categoria stilistica dello stile "comico". Ma Cecco sa elaborare quell'antica mitologia con aria scanzonata e beffarda e farla rivivere con mteresse attuale nella sua polemica letteraria antiaulica in genere e antistilnovistica in particolare. Le sue rime per Becchina costituiscono la caricaturale rifrazione dello stilnovo e di Beatrice: diabolica fattura contro angelica creatura. E sa anche calare quei temi nella vita tumultuosa, compagnevole e pettegola (quante figure di scorcio nei suoi sonetti !) del Comune di Siena. E, dunque, la mimesi caricaturale è il modo più felice della sua espressione, l'attenzione acuta e immediata il segno della sua più vera umanità. Cecco ha saputo fissare in arte quel riso malizioso e un po' grossolano, ma, in fondo, innocente, che affiora spontaneamente nell'animo, in maggiore o minore misura, quando linee caratteristiche di cose o difetti caratteristici di uomini sono accentuati fino all'esagerazione: che può esser segno di sprezzo, ma anche d'amore.
Bibl.: Le principali edizioni dei sonetti di Cecco Angiolieri sono quelle che, indirettamente o direttamente, abbiamo già ricordato: I sonetti di C. A. editi criticamente e illustrati, a cura di A. F. Massèra, Bologna 1906; Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, a cura di A. F. Massèra, Bari 1920, pp. 63-138 del vol. I (l'ediz. è in due volumi; nel 1940 apparve in un solo volume la II ediz. di quest'opera, riveduta e aggiornata da L. Russo); Poeti giocosi del tempo di Dante, a cura di M. Marti, Milano 1956, pp. 111-150; Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, a cura di M. Vitale, Torino 1956, voll. 2, pp. 259-456 del I volume.
Ma occorrerà almeno ricordare le seguenti edizioni commentate, che non affrontano il problema del testo: Le rime di C. A., a cura di D. Giuliotti, Siena 1914; C. A., Il Canzoniere, introd. e commento di C. Steiner, Torino 1925; C. A., Il Canzoniere, a cura di S. Blancato, Milano 1946; C. A., Rime, a cura di G. Cavalli, Milano 1959.
Fra gli studi riguardanti l'autenticità, l'ordinamento, la lezione dei sonetti di C. A.: A. F. Massèra, I sonetti di C. A. contenuti nel cod. Chigiano L. VIII. 305, in Studi romanzi, II (1904), pp. 41-61; L. Pirandello, I sonetti di C. A., in Arte e scienza, Roma 1908, pp. 195-259 (poi in Poesie e scritti vari, a cura di M. Lo Vecchio Musti, Milano 1960, pp. 263-304); A. F. Massèra, Nuovi sonetti di C. A., in Studi romanzi, XIII(1915), pp. 77-97; A. Todaro, Il caribetto "A nulla guisa" di Meodi Simone dei Tolomei, in Bullett. senese di storia patria, n. s., IV, 2 (1933), pp. 147-163; Id., Sull'autenticità dei sonetti attribuiti a C. A., Palermo 1934; M. Marti, Per una nuova edizione dei sonetti di C. A., in Convivium, n.s., IV (1950), pp. 441-450; Id., Sui sonetti attribuiti a C. A., in Giorn. stor. d. letter. ital, CXXVII(1950), pp. 1-23; A. Razzini, Intorno all'autenticità delle rime ascritte a C. A., in Filologia romanza, I (1954), pp. 30-38.
Fra le recensioni, che hanno recato importanti contributi allo studio del testo: A. F. Massèra, al commento dello Steiner, in Giorn. stor. d. letter. ital, XC (1927), pp. 325-331; D. Guerri, al volume della Todaro, in Riv. di sintesi letteraria, I(1934), pp. 419-436; G. Contini, al vol. del Martii in Giorn. stor. d. letter. ital., CXXXI(1954), pp. 220-226; M. Marti, all'edizione del Vitale, in Giorn. stor. d. letter. ital., CXXXVII,1960, pp. 117-140.
Quanto alla biografia di C. A., oltre al fondamentale studio di A. D'Ancona, citato più avanti, ed oltre alle note biografiche contenute nelle ricordate edizioni: G. Mancini, Cortona nel Medio Evo, Firenze 1897, pp. 126-127, e Id., Il contributo dei Cortonesi alla coltura italiana, Firenze 1898, pp. 8-13 (notizie sul C. A. cortonese); A. F. Massèra, La patria e la vita di C. A., in Bullett. senese di storia patria, VIII (1901), pp. 435-452 (nell'estr. fu aggiunta la notizia sulla figliola Tessa); P. Rossi, Dante e Siena, ibid., XXVIII(1921), pp. 5-86.
Fra gli scritti volti a illustrare la personalità e l'opera di C. A.: A. D'Ancona, C. A. da Siena, poeta umorista del sec. XIII, in Nuova Antologia, XXV(1874), pp. 5-57 (poi in Studi di critica e storia letteraria, Bologna 1880, pp. 105-215, correzioni ed aggiunte nella successiva ediz. del 1912. pp. 163-275); G. Volpi, Il Trecento, Milano s.d., pp. 138-140; L. Pirandello, Un preteso poeta umorista del sec. XIII, in La vita italiana, IV(1896), pp. 23-29 (poi in Saggi, cit., pp. 271-288); A. Momigliano, L'anima e l'arte di C. A., in L'Italia moderna, IV(1906), pp. 678-684 (dei Momigliano è la voce C. A. dell'Encicl.Ital.); G. Bertoni, Il Duecento, 3 ediz., Milano 1939 (la 1 è del 1910), pp. 163-165; V. Cian, La satira, Milano 1923, pp. 140-143; N. Fattovich, Poesia amorosa di C. A. e sue relazioni con le varie scuole Poetiche del sec. XIII, in Annuario del Liceo-Ginnasio Dante Alighieri in Fiume, Fiume 1923, pp. 17-59; L. Russo, C. A. e la critica, in Leonardo, II(1926), pp. 303-305 (ma ora si veda la sua Storia della letteratura italiana, I, Firenze 1957, pp. 104-109); N. Sapegno, La lingua e l'arte di C. A., in Convivium, I(1929), pp. 371-382, e La corrente realistica nelle origini della nostra letteratura, in La Nuova Italia, IV (1933), pp. 39-47 (entrambi gli studi furono poi rifusi nel Trecento, Milano 1934, pp. 66-111); E. Nannetti, C.A., la sua patria, i suoi tempi, la sua poesia, Siena 1929; M. Marcazzan, La poesia d'amore di C. A., in Didimo chierico e altri saggi, Milano 1930, pp. 123-194; E. Rho, C. A., in Civiltà moderna, III(1931), pp. 499-512 (poi in Primitivi e romantici, Firenze 1937, pp. 43-156); G. Montagna, La Poesia di C. A., Pavia 1933; F. S. Mascia, La poesia di C. A., Milano-Roma 1933; B. Croce, Poesia popolare e poesia d'arte, 2 ediz., Bari 1946, pp. 133-136 e 145-146; T. Grossi, C. A. e i burleschi del Duecento e del Trecento,Torino 1936; C. Previtera, La poesia giocosa e l'umorismo, Milano 1939, pp. 148-162; E. Li Crotti, C.e Folgore, in Saggi, Firenze 1941, pp. 19-35; M. Apollonio, Uomini e forme della cultura italiana delle Origini, 2 ediz., Firenze 1943, pp. 294-299; M. Marti, C. A. e i poeti autobiografici tra il Duecento e il Trecento, Galatina 1945-1946; B. Maier, La personalità e la poesia di C. A., Bologna 1947; F. Figurelli, La musa bizzarra di C. A., Napoli 1950; M. Marti, Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante,Pisa 1953, pp. 83-130.