CAMPELLO, Cecchino (Cecchinus, Cirginus)
Figlio di Paparoccio, nipote di Francesco secondo alcuni, di Argento secondo altri, "de comitibus" o "de nobilibus de Campello de Spoleto" - come si esprimono le fonti -, nacque intorno al 1390 a Spoleto nella vaita Frasanti, un quartiere della città sempre in antagonismo con quello denominato Palazzo, dove abitava un altro ramo della famiglia Campello. La prima notizia che lo riguarda è del 1415, quando i suoi concittadini lo elessero membro della commissione dei Dodici sopra la guerra contro il castello di Beroide ribellatosi al Comune. Nel 1417 era già tutto immerso nella lotta politica del Comune spoletino partecipando all'accordo con il quale sei nobili guelfi e sei ghibellini si spartivano il potere nella città.
Pur così occupato e compromesso nelle faccende spoletine, il C. riuscì ad affermarsi anche fuori della sua città natale. Secondo un'oscura attestazione dell'Ammirato, sarebbe stato podestà a Firenze, per la prima volta, nel 1425; ma il banco di prova della sua capacità nei maneggi politici fu senza dubbio il senatorato di Roma, ottenuto da Eugenio IV il 5 dic. 1432 e protrattosi fino al 27 genn. 1434. Pur essendo la politica papale occupata nei gravissimi problemi suscitati dal concilio di Basilea e in quelli della complicata situazione italiana, il C. riuscì a mettersi in vista presso Eugenio IV e ne conquistò la benevolenza, forse fino a influire su di lui per la nomina di Pirro Tomacelli, abate di Montecassino, a castellano della rocca di Spoleto, fortezza militare importantissima. Rifugiatosi Eugenio IV a Firenze nel giugno del 1434, vi trovò il C. che, superato un difficile sindacato a Roma, era podestà per la seconda volta.
I rapporti di devozione-protezione tra il C. e il pontefice si intensificarono ancora negli anni successivi e il C. poté sperimentame gli effetti in più circostanze. Prima, negli anni 1437-1438, quando, di fronte all'odio popolare suscitatogli contro dai nobili antagonisti per la parte presa in favore del castellano della rocca di Spoleto sconfessato dal papa, fece apparire la sua complicità come mediazione pacificatrice delle fazioni opposte; poi, nel 1441, quando Eugenio IV rimproverò aspramente gli Spoletini responsabili dell'incendio e distruzione delle case del Campello. Certo ormai della quasi incondizionata protezione del pontefice, il C. tentò di imporre la sua tirannide sulla città: il giorno della festa del Corpus Domini del 1444 irruppe sul popolo ordinato in processione, gridando ai suoi: "Fate carne e fuoco!". Ma il popolo resistette e riuscì a ricacciare nella rocca gli assalitori, mentre il C. fuggì, rimanendo ancora una volta impunito. In seguito, anche se esule e odiato dalla sua città natale, non gli vennero meno onori e incarichi, tra i quali le podesterie di Perugia (1448)e di Bologna (1449).
L'ufficio di podestà ricoperto a Perugia da aprile a novembre del 1448 è il più documentato nella carriera del Campello. Succedeva al bolognese Bartolomeo Bolognini; legato pontificio della città era Giacomo da Recanati, arcivescovo di Ragusa, e l'umanista Tommaso Pontano era cancelliere del Comune. Sotto l'occhio vigile del legato amministravano la città, di bimestre in bimestre, i 10 priori delle arti, esponenti della nobiltà e della ricca borghesia, generalmente ligi all'autorità ecclesiastica e alla potente famiglia dei Baglioni. Il C. era venuto con circa 50 sbirri e 10 tra giudici e notai, provenienti questi ultimi da varie città italiane e dall'estero, come un certo Gerardo di Ruggero "de Brabantia". Non sembra che la violentissima peste che infierì in quell'anno anche a Perugia abbia ostacolato, almeno fino al 12 settembre, ultima seduta del tribunale dei podestà, l'ordinaria amministrazione della giustizia, anche se i cittadini avevano abbandonato in massa, durante l'estate, la città. Furono emanate tre sentenze capitali, di cui due almeno - contro ribelli - di carattere politico. Le poche parole con cui un cronista perugino, alla data del 2 novembre, ricorda la partenza del C. e l'arrivo del successore, il veneziano Alessandro Zeno, non lasciano dubbi circa la freddezza e la diffidenza manifestate dai Perugini verso il Campello.
Dopo l'esercizio della medesima magistratura a Bologna, testimoniata dal mese di maggio al 26 nov. 1449, le fonti tacciono il suo nome: il C. dev'essere morto non molto tempo dopo questa data, con tutta probabilità fuori di Spoleto, dove lasciava i figli Pietro Marino, Feliciangelo e Niccolò.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Perugia, Consigli e riformanze, 84 [a. 1448], cc. 27v, 47r; Offici, 9, cc. 41r, 42v, 43v; 26, cc. 55r-59r; Giudiziario, Podestà, ad annum, cc. 1r-59v; S. Minervio, De rebus gestis atque antiquis monumentis Spoleti, in Documenti storici inediti, a cura di A. Sansi, Foligno 1879, p. 97; Frammenti degli annali di Spoleto di Parruccio Zampolini dal 1305al 1424, ibid., p. 166; Commentarium Thomae Martani MCCCCXXIV-MCCCCXL, ibid., p. 178; Cronache e storie inedite della città di Perugia, in Arch. stor. ital., XVI (1850), 1, p. 611; L. Iacobilli, Vite de' santi e beati dell'Umbria, II, Foligno 1656, pp. 10, 19; F. A. Vitale, Storia diplomatica de' senatori di Roma, II, Roma 1791, p. 403; S. Ammirato, Istorie fiorentine, IV, Firenze 1848, p. 335; A. Sansi, Storia del Comune di Spoleto, I, Foligno 1879, pp. 284, 305, 310 s.; II, ibid. 1884, pp. 20-23; P. Campello della Spina, Storia docum. aneddotica di una famiglia umbra, I, Città di Castello 1889, pp. 89-189; Id., Append. alla "Storia docum. aneddotica di una famiglia umbra", Città di Castello 1915, pp. 10-13; A. Salimei, Serie cronologica dei senatori di Roma dal 1431 al 1447, in Arch. della R. Soc. rom. di storia patria, LII-LV (1930-32), pp. 93-97, 146-53, 174; Id. Senatori e statuti di Roma nel Medioevo. I senatori: cronologia e bibliografia dal 1144 al 1447, Roma 1935, pp. 179 s.; C. Piana, La facoltà teologica dell'università di Bologna nel 1444-1458, in Arch. francisc. histor., LIII(1960), pp. 414 s.