MINUTOLO, Ceccarella
– Nacque probabilmente a Napoli nella prima metà del XV secolo da Francesco, soprannominato il Monaco, signore d’Issico, presso Otranto, e dalla sua seconda moglie, Agnesella Filomarino. Apparteneva a una famiglia patrizia del «seggio» di Capuana, considerato uno dei centri più colti e raffinati di Napoli. La M. era vedova di Francesco Brancaccio e, in seconde nozze, aveva sposato Camillo Piscicelli, figlio di Ottinello e di Vannella Caracciolo, che, più giovane di lei, dopo la sua morte sposò Margherita Galuccio.
La M. fu identificata con l’autrice di un epistolario in volgare di argomento amoroso – che solo in minima parte può essere ritenuto autobiografico – da B. Croce, che si basò sulle notizie fornite dal collezionista e studioso Vito Capialbi. Questi, in possesso di un codice contenente lettere d’amore, aveva segnalato, in una nota messa in calce al manoscritto, che la scrittrice aveva designato se stessa con il nome di «Ceccarella», in risposta all’immeritato appellativo di «Sybilla Parthenopea» datole dal duca di Calabria Alfonso. E il soprannome di Sybilla, attribuito poi alla M., compare anche all’interno del Colibeto di Francesco Galeota.
Tre sono i manoscritti noti dell’epistolario della M.: il Parigino (P), Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds italien, 518; quello conservato nella Biblioteca Capialbi a Vibo Valentia (V); il terzo (N) conservato nella Biblioteca della Società napoletana di storia patria, Fondo Percopo, 26.
Il Parigino è cartaceo, consta di 38 carte numerate, precedute da altre 6 bianche non numerate e seguite da altre 8 anch’esse bianche e non contrassegnate da numeri, ed è collocabile negli ultimi tre decenni del XV secolo. Fu descritto da A. Marsand che, confondendo l’autore con il destinatario, ne definì erroneamente il contenuto come «lettere dell’Arcella». Il codice V, descritto dallo stesso Capialbi, è pergamenaceo, anch’esso databile agli ultimi decenni del XV secolo, composto di 116 carte non numerate e incompleto sia dell’inizio sia della fine; conteneva originariamente iniziali miniate, successivamente asportate. Il codice N è una copia, seppur incompleta per le mutilazioni subite, del codice di Capialbi redatta a fine Ottocento per conto del professor Erasmo Percopo. È costituito da due parti dovute a mani diverse: la prima parte, composta di 41 fogli compilati solo nel recto, comprende 36 lettere numerate con cifre romane; la seconda consta di 100 fogli, di formato più piccolo rispetto a quello della parte precedente, e contiene altre lettere non numerate. Un dato interessante è la presenza, alla fine della seconda parte, di quella che viene riportata come una nota di Capialbi: «Ceccarella Minutolo figlia di Francesco e Agnesella Filomarino diviene moglie di Fran.co Brancaccio in prime nozze ed in seconde nozze di Camillo Sinicello figlio di Ottinello e Vannella Caracciolo». A causa della frammentarietà dei tre manoscritti non è possibile accertare di quante lettere fosse effettivamente composto l’epistolario; si è supposto che il numero non dovesse comunque essere inferiore alle 90 missive (cfr. Casale).
Tema prevalente della raccolta di lettere è l’amore colto nelle sue molteplici manifestazioni; la lettera incipitaria, che contiene la dedicatoria, i motivi che hanno ispirato la composizione dell’opera e una suddivisione per argomenti del tema trattato, consente al lettore di comprendere immediatamente gli elementi fondanti del libro.
L’opera è dedicata a Francesco Arcella, chiamato dalla M. «mio affectuoso fratello» (ed. Morabito, 1999, p. 34), anch’egli nobile appartenente al seggio di Capuana, cognato di Antonio Beccadelli detto il Panormita, di cui aveva sposato la sorella Laura, e amico dell’umanista Luigi Gallucci (Elisio Calenzio). La M. descrive Arcella come colui che l’aveva incoraggiata a intraprendere il lavoro, come l’amico nel cui sostegno confidava qualora l’opera avesse messo in cattiva luce se stessa e il suo nome o avesse dato adito a infondate maldicenze.
La M. riconduce le ragioni che hanno ispirato l’epistolario alle ripetute richieste di amici per conto dei quali avrebbe composto molte delle lettere. La suddivisione, anticipata nell’epistola iniziale, risponde alla necessità di distribuire le lettere all’interno dell’opera secondo un criterio ben definito: «Destingo mia operetta in tre libre: lo primo contenerà lictere da donne, parte per mio necessario et parte ad preghiera de alcune mie generose sorelle; lo secondo ponerà lictere de amici, dalli quali constrecta non agio potuto negare loro pregaria, e sono sencça preposte come lo primo; lo terzo sono lictere con preposte et resposte, dove de amore legerai ogni affecto» (ibid.).
Dal momento che questa disposizione non è presente all’interno dei manoscritti, si potrebbe ipotizzare che nel corso della trasmissione l’ordine della silloge sia stato alterato e che le lettere dei vari libri si siano mescolate tra loro. Si può supporre, altrimenti, che la M. non sia riuscita a dare al suo epistolario l’assetto definitivo previsto. In assenza di una precisa suddivisione è difficile comprendere quali lettere la M. abbia composto «per suo necessario»; si può presumere che sue personali siano quelle destinate ad alcuni personaggi illustri della corte aragonese, tra cui le due missive inviate a Eleonora d’Aragona. Con la prima lettera manda in dono alla principessa una cagnetta di nome Fedele sperando che voglia allevarla; nella seconda invece la M. si rallegra del fatto che Eleonora abbia accettato il regalo. È in questa lettera che compare per la prima volta il nome dell’autrice. Vi è poi una missiva indirizzata al duca di Calabria Alfonso in cui la M. incoraggia il giovane a seguire gli studi così come la carriera militare. Proprio queste lettere hanno consentito a Croce di collocare la composizione dell’epistolario tra il 1460 e il 1470 circa, in considerazione del fatto che si parla di Eleonora d’Aragona quando viveva nubile a Napoli – da dove partì nel 1473 per sposare Ercole d’Este –, e del duca Alfonso, descritto, invece, come ancora molto giovane. La lettera indirizzata a Federico, fratello di Eleonora, e Alfonso, induce a supporre che la data di composizione sia da spostare più verso il 1470: Federico, infatti, era nato nel 1451 e il tipo di lodi che la M. gli rivolge farebbe pensare più a un giovane che a un bambino.
Escludendo le lettere indirizzate a personaggi storicamente individuati, l’amore è il tema predominante nell’epistolario; esso è descritto attraverso situazioni canoniche e senza riferimenti a fatti precisi, bensì sottoposto al vaglio della riflessione.
L’esposizione di numerosi argomenti viene presentata sotto il nome di Teofilo, fittizio amante dell’autrice – cui molte lettere sono indirizzate e molte attribuite – e suo principale interlocutore, attraverso il quale trovano giustificazione i temi d’amore. Le lettere che la M. indirizza all’amante contengono diversi aspetti di una relazione che, pagina dopo pagina, si rivela clandestina: prega l’uomo di resistere al desiderio della seduzione, respinge una sua richiesta considerata troppo audace, esprime delusione per il tradimento di un’amica che faceva da intermediaria tra i due amanti. Compaiono inoltre l’esasperazione di una donna costretta a vivere accanto a un marito che non ama e che la tiene sotto controllo, la gelosia per l’amato che parte per andare in guerra, e infine la paura dell’abbandono. Il ritratto dell’autrice che emerge da queste missive è quello di una donna consapevole del ruolo che la società le ha imposto, per cui l’onore è la qualità più importante per una signora della sua età e del suo rango. In nome di queste convinzioni ella non potrà ricambiare completamente l’amore di Teofilo, lo accuserà anzi di non aver mantenuto il segreto sulla loro relazione, mettendo così fine agli scambi epistolari. Le lettere che l’uomo invia alla sua amata rimarranno infatti senza risposta: Teofilo si lamenta di non ricevere alcun segno d’amore e la prega di dargli delle risposte; gli è sufficiente udire cantare l’amata per riprendersi, la sprona ad amare e a cogliere quanto la vita le sta offrendo. È dunque un amore che si nutre prevalentemente di sofferenza.
Si tratta di una gamma convenzionale di sentimenti, di cui anche il lessico risente, e in cui non è possibile discernere quanto di realmente autobiografico vi sia incluso. Inoltre le vicende del rapporto amoroso vengono presentate attraverso l’esame di momenti distinti, che se da un lato consentono di far intravedere una dimensione narrativa, sebbene minima, d’altra parte però sono affrontati nello spazio di una o due pagine e non hanno dunque uno sviluppo ampio e compiuto. Il discorso si fonda su un registro di tono medio nonostante la ricchezza lessicale, il periodare fortemente ipotattico e il frequente ricorso a figure retoriche quali parallelismi, paronomasie, allitterazioni e omoteleuti; elementi, questi, che rivelano attenzione per la scrittura e consapevolezza letteraria.
Sarebbe sbagliato dunque considerare quest’opera come priva di pretese letterarie. Innanzitutto l’intenzione di riunire le lettere in un epistolario lascia supporre che nella M. vi fosse il desiderio di utilizzarlo per uno scopo diverso da quello che aveva portato alla circostanza immediata della sua stesura. Il proposito, manifestato nella prima lettera, di suddividere in tre libri le epistole contribuisce a far credere che vi fosse un pubblico cui l’epistolario era destinato, facilmente identificabile con la società cortigiana di cui la M. faceva parte. Inoltre la convenzionalità e la riconoscibilità del genere (quello epistolare) e del tema scelto (l’amore) permettevano una immediata comprensione e un sicuro diletto da parte di un eventuale uditorio.
Eppure l’autrice ribadisce frequentemente la propria ignoranza e se ne giustifica imputandola al «debile et femineo sexo» (ed. Morabito, 1999, p. 61). La femminilità è descritta più volte come un impedimento: «Non è possibile muliebre ingenio volare tanto alto quanto tuo aereo o viro celeste intellecto penetrare» (p. 38); «mio ingegno non è altro che de femina et la mia penna non è altro che de vile calamo» (p. 42) e ancora «Io adunca, femina povera de vena, de dire parca, per pudore timida, per lo mio sexo fuora de arte» (p. 43). Tuttavia ciò non le impedisce di fare considerazioni di critica letteraria su lettere e libri altrui o di scrivere l’elogio di un celebre medico, Solimea, in cui mostra di possedere cultura letteraria e conoscenza del mondo classico. Il richiamo alla femminilità come giustificazione appare dunque pretestuoso, non riesce a celare completamente quella che sembra essere la vera aspirazione della M.: confrontarsi con i detentori ufficiali della cultura.
Le lettere della M. sono state edite a cura di R. Morabit0 (Napoli 1999).
Fonti e Bibl.: F. Galeota, Le lettere del «Colibeto», a cura di V. Formentin, Napoli 1982, pp. 155 s.; A. Marsand, I manoscritti italiani della Regia Biblioteca parigina, Parigi 1835; B. Croce, Aneddoti di varia letteratura, Napoli 1942, I, pp. 54-63; M. Corti, Lettere d’amore inedite di C. M., in L’Albero, VIII (1955), nn. 23-25, pp. 79-88; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1964, pp. 310, 746; D. De Robertis, L’esperienza poetica del Quattrocento, in Storia della letteratura italiana, a cura di E. Cecchi - N. Sapegno, III, Il Quattrocento e l’Ariosto, Milano 1966, pp. 283-628, 567 s.; F. Tateo, La letteratura in volgare da Masuccio Salernitano al Chariteo, in Letteratura italiana, Storia e testi, a cura di C. Muscetta, III, Il Quattrocento: l’età dell’Umanesimo, 2, Roma-Bari 1972, pp. 545, 551 s.; O.S. Casale, L’epistolario quattrocentesco di C. M.: fortuna critica e canone ecdotico, in La critica del testo. Problemi di metodo e esperienze di lavoro. Atti del Convegno, Lecce … 1984, Roma 1985, pp. 505-517; M.L. Doglio, L’arte delle lettere. Idea e pratica della scrittura epistolare tra Quattro e Seicento, Bologna 2000, p. 49; R. Morabito, Lettere e letteratura. Studi sull’epistolografia volgare in Italia, Alessandria 2001, pp. 87-98.
I. Bigelli