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CAVE E TORBIERE

di Dante Cosi - Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)
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CAVE E TORBIERE

Dante Cosi

(App. IV, I, p. 393; v. cava, IX, p. 510; v. miniera, XXIII, p. 390)

Legislazione. - L'attività economica di estrazione dal suolo, o dal sottosuolo, con la tecnica di coltivazione ''a cielo aperto'', di minerali non pregiati (o anche di materiali comuni per l'edilizia e le costruzioni), è presa in considerazione dall'ordinamento giuridico italiano mediante l'individuazione della c. come bene autonomo rispetto al suolo su cui insiste, e mediante l'applicazione di un regime giuridico particolare che − dopo il completamento del trasferimento delle funzioni statali alle regioni (realizzato dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616) − non accomuna più soltanto, produttivisticamente, le c. (e le c. di combustibile fossile dette torbiere) alle miniere (strettamente intese come giacimenti sotterranei di sostanze minerali), ma ne condiziona lo sfruttamento al perseguimento concorrente dell'interesse pubblico, alla conservazione dell'ambiente e all'assetto urbanistico del territorio.

La competenza regionale in materia di c. e t., infatti, preconizzata dall'art. 117 (e dall'art. 118) della Costituzione per le regioni a statuto ordinario, e variamente configurata dagli statuti speciali per le regioni autonome (con maggior estensione nella Sicilia), è stata ridefinita e ampliata dal d.P.R. n. 616 del 1977.

Tali competenze regionali sono state ridefinite da detto decreto:

1) con la disposizione (art. 10) secondo cui l'eventuale riclassificazione di sostanze tra i minerali pregiati, invece che tra quelli non pregiati che l'art. 3, secondo comma, della legge mineraria (R.D. 29 luglio 1927, n. 1443) include nelle lavorazioni a c., deve avvenire "d'intesa con le regioni interessate";

2) con la disposizione (art. 62, secondo comma, lettera d), secondo cui l'inclusione nelle lavorazioni a c. di sostanze che non siano già state classificate dalla legge o dai decreti dello stato tra i minerali, pregiati o non, è di competenza delle regioni;

3) con le disposizioni (art. 64, secondo comma, lettere a, b, e c) che integrano il precedente trasferimento delle funzioni di sorveglianza sull'utilizzazione delle c. (e del connesso potere, ex art. 41, primo comma, legge mineraria, di concessione della c. a terzi in caso di mancato sfruttamento da parte del proprietario del suolo cui era stata lasciata in disponibilità), mediante l'attribuzione di poteri di autorizzazione all'escavazione di sabbie e ghiaie nell'alveo dei corsi d'acqua e nelle spiagge e fondali lacuali di competenza regionale, di poteri di autorizzazione all'apertura e alla coltivazione di c. e t. in zone sottoposte a vincolo alberghiero o forestale, e di poteri di approvazione dei regolamenti per la disciplina delle concessioni degli agri marmiferi;

4) con la disposizione (art. 62, secondo comma, lettera e) che trasferisce sia le funzioni di igiene e sicurezza del lavoro, sia la vigilanza sull'applicazione delle norme di polizia delle c. e t. (vigilanza comprensiva, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 128 e n. 1013 del 1988, di poteri di pubblica sicurezza che accedono oggettivamente alle attività materiali di coltivazione, e sono inerenti, tra l'altro, all'uso del materiale esplodente e all'effettuazione di scavi in deroga alle distanze minime fissate dalla legge).

Le regioni, in assenza di una legge cornice nazionale, hanno poi quasi generalizzato, nelle loro leggi e nei relativi regolamenti, il principio per cui le c. − che secondo la legge mineraria (art. 45) sono "lasciate" in disponibilità del proprietario del suolo, il quale però è tenuto a coltivarle − sono sottoposte a un ulteriore regime di autorizzazione, correlato non solo e non più alla ponderazione dell'interesse pubblico alla produzione, ma anche ad altri interessi pubblici riconosciuti dall'ordinamento.

La legislazione regionale, quindi, da un lato ha sistematizzato i previgenti limiti, esplicantisi in puntuali interventi preventivi di tipo autorizzatorio: regolamentazione dell'attività cavatoria che provochi emungimento di acque (art. 169 l. 20 marzo 1865, n. 2244, all. F, e art. 93 del T. U. delle acque n. 1175 del 1933); limitazioni connesse alle bonifiche di terreni paludosi (art. 133, lett. d del R.D. 8 maggio 1904, n. 368); poteri di intervento inibitorio per le lavorazioni a c. che possano recare pregiudizio agli interessi paesaggistici, indipendentemente dall'inclusione del bene, su cui gli interventi si attuano, nell'elenco delle località protette (art. 8 e 11 della l. 29 giugno 1939, n. 1497 e art. 30 del relativo regolamento di applicazione 3 giugno 1940, n. 1357); dall'altro, prendendo spunto dalla l. 29 novembre 1971, n. 1079 di tutela delle bellezze naturali e ambientali dei Colli Euganei e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 9 del 1973 (che ebbe a respingere le censure di incostituzionalità mosse alla legge stessa proprio in relazione alla nuova disciplina ivi enucleata sulle attività estrattive locali), ha introdotto il principio per cui le lavorazioni a c. possono esplicarsi solo previa autorizzazione dell'amministrazione regionale o dell'amministrazione comunale, se all'uopo delegata.

La legislazione regionale a cui ci si riferisce riguarda: l. regionale Piemonte 22 novembre 1978, n. 69; l. regionale Lombardia 14 giugno 1975, n. 92; ll. regionali Veneto 17 aprile 1975, n. 36, 22 gennaio 1980, n. 5, e 20 agosto 1981, n. 50; l. regionale Friuli-Venezia Giulia 16 agosto 1974, n. 42; l. regionale Liguria 10 aprile 1979, n. 12; ll. regionali Emilia-Romagna 26 gennaio 1976, n. 8, e 26 gennaio 1977, n. 4; l. regionale Toscana 30 aprile 1980, n. 36; l. regionale Marche 22 maggio 1980, n. 37; l. regionale Lazio 16 gennaio 1980, n. 1.

In tal modo, al potere di conformazione e individuazione del benec. e di regolamentazione dello stesso sotto il profilo produttivo, l'autorità amministrativa regionale aggiunge ulteriori poteri amministrativi che, in riferimento prevalente a profili urbanistici e ambientali, determinano e limitano la facoltà del proprietario del suolo di coltivare il giacimento di cava. In altri termini, il bene-c. è passato da un blando regime amministrativo, finalizzato all'interesse della produzione mineraria ed edilizia, a un più penetrante regime autorizzatorio, funzionale alle politiche regionali del territorio e dell'ambiente.

La Corte costituzionale ha assentito all'intensificazione e alla finalizzazione plurima del regime amministrativo sulle c. affermando che "il diritto dominicale sulla cava [è] geneticamente condizionato ad intra dalla tutela di un interesse pubblico (economico), cui l'evoluzione legislativa e costituzionale affianca altri diversi interessi della stessa natura", e che i procedimenti autorizzatori necessari per continuare a coltivare il giacimento hanno ampio spettro d'azione, non essendo inquadrabili nei programmi e controlli sull'impresa, essi sì consentiti solo nei termini di cui all'art. 41 della Costituzione (sentenza n. 7 del 1982).

Ne risulta così che − nelle regioni nelle quali l'attività estrattiva di c. e t. non è oggetto di specifica pianificazione volta a delimitare le aree territoriali in cui è consentita, e a determinare la natura e la qualità dei materiali da estrarre e i modi e i tempi di coltivazione e di sistemazione conclusiva dell'area − il potere di coltivare il giacimento di c., che non è più facoltà connessa all'appartenenza del suolo, sorge e si mantiene per effetto di provvedimenti amministrativi di lata discrezionalità, nei quali la prevalenza e il gioco dei vari interessi pubblici implicati non sono normativamente predefiniti o, quanto meno, procedimentalizzati, situazione che corrisponde all'incerta linea di confine tra produzione economica − che ha pur sempre bisogno, per fornire i beni richiesti dalla società, di consumare materie prime − ed ecologia ambientale, che esprime l'opposta esigenza di non erodere e dissipare il capitale naturale e, comunque, di non modificarne la forma, come nel caso delle colline e delle montagne interessate dalle cave.

Bibl.: V. Cerulli Irelli, Cave e torbiere, in I nuovi poteri delle Regioni e degli enti locali, a cura di A. Barbera e F. Bassanini, Bologna 1978, pp. 373 ss.; F. Levi, Cave e urbanistica, in Rivista giuridica dell'edilizia, 2 (1979), pp. 168 ss.; N. Marzona, Attività estrattive e poteri regionali e comunali di disciplina del territorio, in Regioni, 1980, pp. 744 ss.; F. Caia, Attività economica e tutela ambientale nella disciplina delle cave e torbiere, in Foro Amministrativo, 2 (1981), pp. 2061 ss.; V. Onida, Le cave tra tutela ambientale e sviluppo economico, in Confronti, 4 (1982), pp. 55 ss.; G. Cugurra, Corte costituzionale e cave: come si esorcizza il convitato di pietra, in Regioni, 1982, pp. 351 ss.; A. Robecchi Majnardi, V. Fantigrossi, Cave e torbiere, in Digesto delle discipline pubblicistiche, ii, Torino 1987, pp. 527-33; S. Brignola, Cave e torbiere, in Enciclopedia Giuridica, vi, Roma 1988.

Vedi anche
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cave canem – Frase lat. (propr. «guàrdati dal cane») corrispondente all’ital. «attenti al cane!»; l’iscrizione era tracciata all’ingresso delle case romane, spesso nella parte inferiore di un mosaico raffigurante un cane ringhioso alla...
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