CAVALIERE
La figura equestre del dio, del sovrano, dell'eroe, ma anche del semplice soldato o cacciatore, fu di grande rilevanza nell'arte antica tanto nel campo della rappresentazione regale, quanto in quello religioso, con significato funerario o più ampiamente cosmologico. Molte sono le varianti dell'immagine e riguardano l'atteggiamento del cavallo e del c., l'abito e le armi di quest'ultimo - che talvolta è anche nudo -, così come gli elementi complementari.Seguendo la tradizione ellenistica, l'iconografia imperiale fece ampio uso della figura a cavallo, evocante con immediatezza i concetti di vittoria e di trionfo. Le fonti testimoniano che fino all'epoca di Giustiniano si continuarono a erigere statue equestri in onore degli imperatori; questi monumenti sono andati tutti perduti e le scarse testimonianze, scritte o figurate, spesso tarde e controverse, non consentono un'analisi approfondita dei dettagli iconografici (Bertelli, 1960, p. 933; Age of Spirituality, 1979, nr. 12). Monete e medaglie però forniscono diverse varianti riconducibili a due tipi fondamentali. Il primo, che mostra il sovrano - su un cavallo al galoppo o impennato - in atto di sopraffare un avversario, rappresenta la virtus dell'imperatore, la sua illimitata capacità di sconfiggere il male. Si tratta di un'immagine astratta, dotata di un significato simbolico che resta immutato nonostante il variare degli elementi accessori, a volte dettati da riferimenti storici non sempre identificabili. L'avversario sconfitto, infatti, può essere un barbaro nemico dell'impero, così come una preda di caccia, ma anche un serpente, in quanto simbolo del male, come nel medaglione aureo di Costanzo II (Parigi, BN, Cab. Méd., metà sec. 4°), che reca la scritta debellator hostium e in cui il serpente potrebbe riferirsi all'usurpatore Magnezio, sconfitto nel 351 (Török, 1971; Age of Spirituality, 1979, p. 64). Questo tema del 'c. in azione' ebbe un'ampia sfera di utilizzazione nell'arte tardoromana, in opere che influirono sulla produzione artistica del Medioevo: per es. nelle stele funerarie (Schleiermacher, 1984), nelle raffigurazioni del 'c. tracio' (Gočeva, 1986) e in quelle dei mostri ippofori gallo-romani (Benoît, 1954). Il secondo tipo fondamentale di figura imperiale equestre si riferisce all'adventus (v.) del sovrano, cioè al suo arrivo in una città per celebrarvi il trionfo. Al c., che qui incede con passo da parata, si fanno incontro vittorie o personificazioni di città che gli porgono corone o altri oggetti di analoga simbologia. Anche questa variante, che ebbe maggior durata nel corso del Medioevo per quel che riguarda l'arte ufficiale, esprime il concetto di vittoria ma ha concreti riferimenti a fatti storici e al cerimoniale di corte. Il c.d. avorio Barberini, di produzione costantinopolitana (Parigi, Louvre, sec. 6°), offre un esempio di rielaborazione dei due diversi schemi: l'imperatore in trionfo riceve l'omaggio dei barbari e dei dignitari, ma il suo cavallo impennato rivela la compresenza del tema della virtus, che si limita tuttavia a quest'accenno, poiché sotto le zampe del cavallo non si trova un nemico vinto bensì una personificazione della Terra, allusione al potere universale del basiléus.Anche al di fuori dell'ambito imperiale la figura del c. conservò una notevole diffusione all'avvento del Medioevo. Il fenomeno che per primo si pone all'attenzione è quello della sua straordinaria proliferazione nell'arte copta. Già nei secc. 4° e 5°, ma in modo massiccio nel 6° (e fino al 12° con adeguamenti islamici), nelle regioni della valle del Nilo il c. compare su rilievi, pitture, stoffe, terracotte, bronzetti, avori e altri oggetti in un'ampia gamma di variazioni. Solo o in coppia, con o senza insegne regali, in battaglia o a caccia, con arco, lancia, spada o armato semplicemente di un sasso, spesso con il berretto frigio, il 'c. copto' si alimenta di tradizioni diverse, mediterranee e orientali. Molto si è discusso sulle ragioni di questa predilezione e sul significato dell'immagine (Török, 1971; Lewis, 1973; Bayer-Niemeier, 1985). Secondo l'ipotesi che ha trovato maggiori consensi, l'impulso determinante per il crearsi del fenomeno partì dal culto di Alessandro Magno (eroe-dio c.), fortemente radicato in Egitto, dove nella sola Alessandria doveva esistere più di una raffigurazione equestre del re macedone. Tale punto di vista è corroborato dalla presenza di un'iscrizione copta che riporta il nome di Alessandro il Macedone nei medaglioni sui tessuti egiziani con due c. addorsati incoronati da geni alati (secc. 6°-8°; Cleveland, Mus. of Art; Washington, Textile Mus.), affini dal punto di vista iconografico ai c. che compaiono in alcuni avori di discussa pertinenza (per es. Baltimora, Walters Art Gall.; Aquisgrana, duomo, ambone di Enrico II; Stern, 1963; Shepherd, 1971). Oltre al mito del Macedone, molti altri temi confluiscono nel 'c. copto': quelli di Dioniso, Bellerofonte, i Dioscuri, Mitra, l'Eros tracio, Horus e altri ancora concorrono, in un ambiente di spiccata tendenza sincretistica, a creare questo simbolo di vittoria e rinascita che doveva avere funzione apotropaica, tanto nella vita quotidiana, quanto nell'ambito funerario a cui molte delle stoffe copte in questione erano destinate (Lewis, 1973; Jones, 1974; Hanfmann, 1980, p. 85ss.; Maguire, 1990). Il potere talismanico del 'c. copto' risulta confermato dalla presenza di una figura equestre in atto di trafiggere un demone, sotto forme diverse, su uno degli amuleti più popolari all'epoca nel mondo bizantino. Questi amuleti erano legati alla figura di Salomone, secondo le tradizioni grande mago che aveva il dono di sconfiggere il male anche se il c. rappresentato non si identifica necessariamente con lui. L'iscrizione che vi compare con una certa frequenza, "ε`ιϚ θεὸϚ ὁ νιϰῶν τὰ ϰαϰά" ('un dio che vince il male'), riporta alla concezione mitica del dio-eroe vittorioso e, a volte, attributi come il nimbo e l'asta crucifera possono suggerire un'identificazione con lo stesso Cristo (Menzel, 1955). Vi sono casi, come quello del pettine d'avorio proveniente da Deir Abu Hennis presso Antinoe (Cairo, Coptic Mus., sec. 6°), in cui tale identificazione è certa per la presenza, sull'altra faccia, della Risurrezione di Lazzaro e della Guarigione del cieco. Ma a parte i rari esempi di sicuro o ipotetico riferimento a Cristo, un'altra dibattuta questione relativa al 'c. copto' riguarda i santi-c.; in sostanza nella moltitudine di personaggi a cavallo prodotti nella regione sono stati individuati come santi-c. tutti quelli che, per ragioni di contesto o per particolari iconografici, tali potevano apparire; nell'atto di trafiggere un demonio anguiforme o nel gesto di oranti o anche con un cero o una palma nella mano, i santi-c. copti spesso non hanno nome e costituiscono anch'essi una raffigurazione astratta con funzione simbolica, cui spetta però un particolare ruolo come presumibile punto di partenza dell'immagine, di futura grande fortuna, del santo-c. uccisore del drago, che ebbe generale diffusione con s. Giorgio, pur appartenendo, e da tempi precedenti, anche ad altri santi, per es. Teodoro. In un primo tempo, già nel secolo scorso, si è ritenuto di poter individuare la fonte di questa iconografia nelle immagini del dio egiziano Horus a cavallo che uccide con la lancia il suo nemico Seth in forma di coccodrillo, di cui si conservano alcuni esempi (per es. Parigi, Louvre, rilievo calcareo, sec. 5°). Ben presto quest'ipotesi è stata respinta in favore di una derivazione dall'iconografia imperiale. Più di recente è stato rilevato come il problema non si ponga in realtà in questi termini, poiché tanto le raffigurazioni imperiali quanto quelle di Horus in guisa di c. sono tributarie delle stesse fonti ellenistiche (Török, 1971; Badawy, 1978; Parlasca, 1982). Molte immagini di santi-c. compaiono negli affreschi di Bāwīt; nella raffigurazione più interessante, che mostra s. Sisinnio mentre trafigge la diavolessa Alabasdria, la scena è fiancheggiata da elementi tratti dal paganesimo ellenico ed egiziano, fra cui anche l'immagine del malocchio che riconduce agli amuleti rivelando la polivalenza di queste figure, le quali conservano il loro valore talismanico pur avendone acquistato uno religioso, come espressione della lotta contro il paganesimo e le eresie. Un altro esempio particolare da menzionare è una lastra funeraria proveniente da Sohag nell'Alto Egitto (Londra, British Mus., sec. 7°-8°), dove, ai lati di una croce incorniciata da una ghirlanda, sono affrontati due monaci c. la cui clamide svolazzante conserva il ricordo dell'antico 'c. in azione' (Badawy, 1978).Anche nelle regioni dell'Europa settentrionale la figura del c. godette di una notevole diffusione tra 6° e 8° secolo. Dischi a traforo, lamine a sbalzo e rilievi in pietra, principalmente, mostrano un certo numero di varianti, in cui gli influssi mediterranei, penetrati per vie diverse, si fondono con le tradizioni locali. I dischi con il c. (Reiterscheiben) costituiscono una delle suddivisioni su base iconografica dei dischi a traforo, a sua volta distinta nei due sottogruppi del c. con la lancia (Lanzenreiter) e del c. orante (Oransreiter), con le braccia sollevate e piegate. Le immagini, estremamente stilizzate, dovevano avere significato simbolico e funzione apotropaica (Renner, 1970). Più complesso è il discorso per ciò che riguarda le lamine a stampo. Se infatti esempi come la fibula di Güttingen (Singen, Hegau-Mus.), la falera di Hüfingen (Friburgo in Brisgovia, Mus. für Ur- und Frühgeschichte; Christlein, 1978) o il c. dello scudo di Stabio, lamina ritagliata decorata a punzone (Berna, Bernisches Historisches Mus.), mostrano a diversi gradi di evidenza la loro origine mediterranea, in altri casi - come nel disco d'oro di Pliezhausen (Stoccarda, Württembergisches Landesmus.), nelle lamine dei caschi di Valsgärde (Uppsala, Mus. för Nordiska Fornsaker), di Vendel (Stoccolma, Statens historiska mus.) e di Sutton Hoo (Londra, British Mus.) - un qualsivoglia modello tardoantico risulta del tutto trasfigurato, non solo dal punto di vista stilistico o per elementi accessori come la foggia delle armi (Gamber, 1968), ma proprio nella concezione fondamentale. La diversità di concezione nei casi in cui tra le zampe del cavallo si trova un avversario di fattezze umane (per es. nel disco di Pliezhausen) è resa manifesta dal fatto che quest'ultimo non appare sopraffatto bensì conficca la sua spada nel ventre dell'animale. Per un certo tempo si è creduto che queste raffigurazioni di c. di marca decisamente nordica si riferissero per lo più a Odino, ma studi recenti propongono di ravvisarvi piuttosto temi legati agli eroi delle saghe scandinave. Di particolare interesse è la presenza, non costante, di una figuretta alle spalle del c. che lo aiuta a tenere la lancia: una personificazione di quel favore celeste che, a quanto narrano le saghe, gli eroi cercavano di ottenere con rituali magici illustrati su lamine appartenenti agli stessi contesti (Hauck, 19782). Odino sarebbe invece raffigurato nel c.d. tipo C dei bratteati nordici, dove è effigiata una testa di profilo su un grande quadrupede, iconografia per la quale oggi si rifiuta l'interpretazione, per lungo tempo corrente, che vi vedeva un'immagine degenerata di c. (Ellmers, 1970, p. 236; Hauck, 19782, p. 364).Ancora più ampia è la casistica dei possibili riferimenti, sia semantici sia stilistici, per ciò che riguarda i rilievi in pietra. La frequente presenza di c., isolati o all'interno di scene, sulle stele insulari e nordiche fino al sec. 11° va messa in rapporto con il mondo della mitologia germanica. Uno degli esemplari più antichi, la stele di Mojbro (Stoccolma, Statens historiska mus.), databile tra i secc. 5° e 6° - che reca un'iscrizione runica traducibile in "qui giace Frarad Ane, il malvagio è ucciso" e un c., accompagnato da due cani, che solleva scudo e giavellotto in segno di vittoria -, rivela tra le componenti originarie una ripresa, anche dal punto di vista formale, delle stele funerarie tardoromane. Nella produzione successiva si stabilizzano invece alcuni tratti tipici: il c., spesso con il corpo per buona parte coperto da uno scudo rotondo, è generalmente piuttosto piccolo rispetto al cavallo e quest'ultimo ha una sagoma particolare restringentesi verso la coda, testa piccola e gambe nastriformi. Tali tratti si ritrovano in certa misura anche nel disco con c. proveniente dalla necropoli Cella di Cividale, degli inizi del sec. 7° (Cividale, Mus. Archeologico Naz.). Gli altri rilievi in pietra, sparsi nelle varie regioni d'Europa, hanno nature diverse, deducibili di volta in volta dai contesti e dalle particolari caratteristiche delle immagini. Per uno dei più noti, la lastra di Hornhausen (Halle, Landesmus. für Vorgeschichte, sec. 8°) - dove sopra a una fascia a intreccio in II stile animalistico è rappresentato un c. passante con lancia e scudo rotondo -, si è proposta un'originaria funzione come parte di una recinzione presbiteriale, di cui si conservano altri frammenti, uno dei quali con la croce (Böhner, 1976-1977). Questo caso, come quello della lastra di sarcofago nella pieve di Gussago (prov. Brescia; sec. 8°), in cui un c., con il braccio destro alzato alla maniera antica, avanza in una fitta selva di simboli cristiani (Panazza, Tagliaferri, 1966), confermano, insieme ad altri, l'interpretatio christiana del motivo. Tratti originali nella foggia delle vesti e nei particolari filettati del rilievo mostra la lastra frammentaria con il c. cacciatore oggi nel portico di S. Saba a Roma, databile all'8° secolo.In epoca carolingia la figura equestre imperiale assunse un ruolo chiave nell'apparato rappresentativo della renovatio imperii promossa dai papi e dai nuovi sovrani dell'Occidente. Verosimilmente verso la fine del sec. 8° (anche se i documenti più antichi al riguardo risalgono al 10°) la statua bronzea di Marco Aurelio - ritenuta in quel tempo il caballus Constantini - venne posta nell'area antistante il palazzo Lateranense a Roma, in significativa concomitanza con la compilazione del falso storico noto come Constitutum Constantini che attestava l'attribuzione al papa del potere temporale. Negli stessi anni Carlo Magno fece trasportare da Ravenna ad Aquisgrana il monumento equestre di Teodorico, forse una statua dell'imperatore bizantino Zenone reimpiegata dal re dei Goti, che peraltro si era fatto raffigurare come c. più di una volta anche in mosaico (Agnello di Ravenna, Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, 94, MGH. SS rer. Lang., 1878, p. 337ss.; Hoffmann, 1962; de Lachenal, 1990, n. 16). Dietro l'apparente assonanza, le due operazioni rispondevano a ideologie non omogenee e diverso era anche l'aspetto delle due statue: pacifico quello di Costantino/Marco Aurelio, protendente il braccio in segno di clemenza verso il nemico sottomesso; bellicoso quello di Teodorico, che impugnava la lancia con il braccio alzato. Ma, al di là delle differenze, con tali esempi autorevoli la figura equestre assunse definitivamente una funzione di segno del potere sacro e legittimo che, irradiandosi principalmente dal monumento romano, ebbe lunga vita ben oltre i limiti del Medioevo (Frugoni, 1984; Gramaccini, 1985; de Lachenal, 1990).A partire da quest'epoca, in virtù della 'donazione', anche al papa spettò il diritto di montare nei cortei solenni il palafreno bianco riservato all'imperatore e il sovrano temporale di turno avrebbe dovuto fargli da scudiero, un particolare che fu oggetto di grandi polemiche nei secoli seguenti. La testimonianza iconografica di un papa-c., una gemma intagliata (Firenze, Palazzo Pitti, Mus. degli Argenti, inv. nr. 319), risale tuttavia solo alla metà del sec. 12° (Traeger, 1970b). La statua equestre di Aquisgrana scomparve poco dopo la morte di Carlo Magno (814), ma altri due importanti esempi restano a testimonianza della centralità del tema del c. nell'ambiente carolingio. La statuetta in bronzo, un tempo dorato, proveniente dalla cattedrale di Metz (Parigi, Louvre) presenta forti analogie di impostazione con il monumento romano. L'opera è tradizionalmente considerata un'effigie di Carlo Magno e ancora all'inizio del sec. 17° la notte dell'anniversario della sua morte veniva esposta sull'altare della cattedrale di Metz. Ma l'accentuato classicismo della statuetta ne ha fatto mettere in dubbio la realizzazione agli inizi del 9° secolo. Potrebbe piuttosto trattarsi di un ritratto postumo, eseguito all'epoca di Carlo il Calvo o, ancora più tardi, quando Ottone I promosse il culto del fondatore del nuovo impero; in tal modo il bronzetto attesterebbe il persistere della concezione del sovrano come novus Constantinus nell'ambiente imperiale. Ancor più rivelatrice è la testimonianza del reliquiario ad arco fatto eseguire da Eginardo, intellettuale di corte, per la chiesa di S. Servazio a Maastricht, oggi noto solo grazie a un disegno del sec. 17° (Parigi, BN, fr. 10440, c. 45). Il reliquiario, in argento, databile al secondo quarto del sec. 9°, costituiva il piede di una croce ed era decorato da una serie di figure a sbalzo - Cristo in trono tra gli apostoli nel registro superiore; gli evangelisti, l'Annunciazione e l'Incontro tra Cristo e il Battista, in quello mediano; santi militari alla base - a cui si aggiungevano, ai lati del fornice, due c. senza nimbo. Svariate ipotesi sono state avanzate sull'identità di queste due ultime figure, che si differenziano tra loro per la foggia dell'elmo; la più ricorrente è quella secondo la quale si tratterebbe di Costantino e Carlo Magno (Belting, 1973). A prescindere dall'identità dei due personaggi, che resta sfuggente, l'interesse dell'opera sta nel presentare i c. all'interno di un programma politico-teologico teso alla glorificazione della croce, tropaeum aeternae victoriae, come recita l'iscrizione sull'arco. In conformità a tale concetto di vittoria, i due c. sono rappresentati in atto di calpestare il serpente, ma non nel momento della lotta, come nell'iconografia tardoantica, bensì in una fase successiva in cui il mostro è già sottomesso, secondo un modulo di cui non si conoscono precedenti e che si potrebbe pertanto, con le cautele dovute alle lacune della tradizione, considerare innovativo. Per ciò che attiene all'uso ideologico della figura del sovrano a cavallo, un altro esempio interessante si trova nel libro di preghiere di Arnolfo II, arcivescovo di Milano dal 998 al 1018 (Londra, BL, Egert. 3763), dove - tra la preghiera per l'imperatore e la benedizione degli stendardi di guerra - una miniatura (c. 121v) mostra un vescovo aureolato (probabilmente s. Ambrogio) che consegna a un c. una lancia con lo stendardo (Turner, 1960).A partire dal sec. 8° una nuova serie di c. penetrò in Occidente con il commercio di stoffe seriche di produzione orientale, un genere di lusso molto ricercato di cui oggi si conoscono gli esemplari recuperati nei sarcofagi di sovrani o santi e nei reliquiari. In questi tessuti, che presentano generalmente un'immagine sdoppiata speculare entro medaglioni, venne utilizzato di preferenza il tema allegorico del c. cacciatore, tratto tanto dalla tradizione ellenistico-romana (rivista in termini bizantini) quanto soprattutto da quella orientale sasanide. La raffigurazione equestre, che sempre aveva goduto di grande favore nell'arte dell'antica Persia, divenne in epoca sasanide un elemento fondamentale dell'iconografia reale. In particolare la caccia del re - immagine della sua infallibilità (de Francovich, 1964) -, principalmente nella versione a cavallo, che già aveva costituito una delle componenti del 'c. copto', ebbe grande diffusione, sia attraverso i tessuti in questione (Martiniani-Reber, 1985) sia attraverso le opere di oreficeria (Harper, 1981). Alcuni tratti caratteristici dell'iconografia sasanide sono: l'abbigliamento del c., soprattutto il copricapo, l'uso prevalente dell'arco e i nastri svolazzanti che ornano c. e cavallo (ripresi anche dal costume bizantino). Per quanto invece riguarda le raffigurazioni del basiléus, un esempio piuttosto enigmatico è il c.d. sudario del vescovo Günther (Bamberga, Diözesanmus.), dove due figure femminili porgono ciascuna una corona a un sovrano a cavallo. Generalmente datato al sec. 11° e ritenuto di manifattura bizantina (Grabar, 1956; Geijer, 1981), questo tessuto presenta elementi discordanti e non si può escludere una sua produzione locale.A tale repertorio che, benché notevolmente variato, si rifà comunque a una concezione regale del c., a partire dalla fine del sec. 10° se ne sovrappose un altro, di impronta islamica, in cui il c. è parte della rappresentazione della vita agiata dell'aristocrazia di corte. Questo soggetto, anch'esso ricco di risvolti simbolici, si dispiega sui prodotti dell'artigianato di lusso islamico di vasta circolazione anche in Europa: ceramiche, cofanetti eburnei, stoffe, acquamanili, ecc. (Seidel 1981, p. 78ss.). Di frequente ricorre qui la figura del c. con il falcone, che si trova per es. nel cofanetto di Pamplona (Pamplona, Mus. de Navarra, 1004-1005) o nel sudario di s. Lazzaro (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny, sec. 12°). In alcune di queste immagini, al di là del tema generale della vita di corte, si celano significati specifici ancora per lo più da chiarire, come nel caso dei due c. che colgono datteri da una palma accompagnati da un ghepardo e da un falco (o pappagallo) della pisside di al-Mughira, del 968 (Parigi, Louvre; Al Andalus, 1992, p. 192ss.). Il c.d. Reitermantel dell'imperatore Enrico II (Bamberga, Diözesanmus.), generalmente datato al sec. 12° e assegnato dubitativamente all'Italia meridionale, mostra infine una versione onnicomprensiva del motivo, in cui un c. imperiale appare a caccia con il falco, mentre un leone gli si leva contro e un nemico giace sotto gli zoccoli del cavallo (Schramm, Mütherich, 19812, nr. 189).Anche nelle regioni dell'Europa orientale, tanto per l'influsso ellenico e iranico di origine remota, quanto per la forte componente nomade dei popoli che le abitavano, la raffigurazione equestre, per es. il c. tracio, ebbe un ruolo centrale fin dall'Antichità (Rašev, 1984). Tra le molteplici testimonianze si può menzionare per la sua originalità la figura di c. corazzato che trascina un nemico per la testa su uno dei vasi d'oro del tesoro di Nagyszentmiklós, di probabile datazione al sec. 9° (Vienna, Kunsthistorisches Mus.).Per la sensibilità cristiana il c. conservò a lungo anche una connotazione negativa, legata all'interpretazione del cavallo come animale lussurioso e superbo data dai Padri della Chiesa (Leclercq, 1913) o, meno drasticamente, al suo essere portatore di un principio buono e di uno cattivo (Rabano Mauro, De Universo, VIII, 8; PL, CXI, col. 213; Traeger, 1971). Di conseguenza il miles Christi di s. Paolo (Ef. 6, 10-20) - il cristiano che combatte contro il maligno - venne raffigurato a piedi (Frugoni, 1976-1977), come a piedi era stato ritratto Costantino che trafigge il serpente nel palazzo imperiale di Costantinopoli (Eusebio, Vita Const., III, 3). A cavallo invece appare il vizio della superbia nelle illustrazioni dei manoscritti della Psychomachia di Prudenzio, il cui prototipo dovrebbe risalire al sec. 5° (Woodruff, 1929; Cames, 1972). Tale atteggiamento rispecchiava i non facili rapporti che correvano tra gli uomini di Chiesa e l'aristocrazia laica durante l'Alto Medioevo, dovuti principalmente al mancato rispetto da parte di quest'ultima dei precetti della vita cristiana. La Chiesa da sempre si era adoperata per ridurre ai propri principi i rappresentanti dei poteri laici e vi riuscì, almeno in apparenza, a partire dal sec. 11°, con il supporto di due movimenti: la pax poi tregua Dei e soprattutto le crociate. Nacque così la figura del c. cristiano "pacificus, strenuus, fidelis et Deo devotus", a cui la Chiesa affidò il compito, un tempo spettante al sovrano, della propria difesa e di quella di tutti i deboli e gli innocenti (Fleckenstein, 1977; Flori, 1978). Parallelamente a questo processo di codificazione e liturgizzazione della figura del c. - che consentì la costituzione di veri e propri ordini religioso-militari (v. Cavalleria) -, lo stesso svolgersi dei fatti storici, ancor prima delle crociate, fornì terreno fertile allo svilupparsi dell'iconografia cavalleresca. Le lunghe teorie di c. del ricamo di Bayeux (Bayeux, Tapisserie de Bayeux), realizzato all'indomani della battaglia di Hastings (1066), fanno percepire con immediatezza il valore che la figura doveva avere già nell'immaginario dell'epoca e in particolare per i Normanni, protagonisti della grande epopea della conquista d'Inghilterra. Ed è probabilmente significativo il fatto che il sigillo di Guglielmo I (Parigi, Arch. nat.) sia il più antico esemplare conservatosi con un'effettiva raffigurazione equestre, un tipo che ebbe grande fortuna nei secoli seguenti soprattutto in Inghilterra, Germania e Francia (Die Zeit der Staufer, 1977-1979, I, p. 43ss.; Age of Chivalry, 1987, p. 252).A partire da quest'epoca le immagini del c. si moltiplicano investendo tutti i campi dell'attività artistica. Il nobile c., a caccia, in guerra o a passeggio, diviene parte della rappresentazione della vita umana; esso è il mese di Maggio nei calendari e appare anche con ulteriori varianti in quei cicli che più ampiamente riflettono il quadro della società e del pensiero contemporaneo: nei mosaici pavimentali delle chiese (Barral i Altet, 1982) o nelle iniziali di manoscritti, per es. nei Moralia in Job miniati a Cîteaux nel secondo decennio del sec. 12° (Digione, Bibl. Mun., 173 [4]), dove il c. compare in lotta con il drago (c. 20), disarcionato, come personificazione della superbia (c. 47) e a caccia con il falco come immagine di orgoglio mondano (c. 174). Nel contempo una lettura dello stesso testo sacro, attenta ai temi cavallereschi, da un lato diede spazio a nuove immagini, come il Cristo-c. di Ap. 19, 11-16 (Auxerre, cripta della cattedrale, metà sec. 12°), dall'altro portò all'accentuazione del carattere cavalleresco degli episodi della Bibbia che vi si prestavano, per es. quelli relativi ai Maccabei o ai Magi. È a questo punto che si verificò la grande espansione dell'immagine del santo-c., sia in Oriente sia in Occidente (Wentzel, 1959; Meinardus, 1973; Manova, 1977; Cruikshank Dodd, 1992, p. 85ss.), fenomeno che riguardò tanto i santi soldati, come Giorgio o Teodoro, quanto i santi che non lo erano mai stati, come l'apostolo Giacomo Maggiore, o dei quali il lato militare non aveva avuto fino a quel momento grande peso, come Martino vescovo di Tours. Lo sviluppo dell'iconografia di alcuni di questi santi, che in sostanza si rifà all'antico prototipo del c. vittorioso sul male (probabilmente tramite il santo-c. copto), fu incrementato dal fiorire di leggende sul loro intervento in alcune battaglie: per es. Giacomo in quella, già di per sé leggendaria, di Clavijo, o Giorgio al primo assalto crociato ad Antiochia. Diverso è il discorso per Martino di Tours, patrono della monarchia in Francia sin dall'epoca merovingia, che divenne il modello del nobile c. ricco di virtù cristiane.Determinante per il dilagare delle figure di c. fu l'apporto della letteratura cavalleresca (v. Artù; v. Romanzo), che costituì un ampio serbatoio da cui vennero attinti cicli o singole immagini, non sempre identificabili con certezza, per la decorazione plastica delle chiese, per i mosaici pavimentali già citati, per i prodotti delle arti suntuarie, eccetera. Ulteriore spunto fu offerto dalla narrazione delle gesta dei c. crociati di cui sono esempio, nel 1170-1180, gli affreschi della cappella dei Templari a Cressac (dip. Charente).Benché ricca di agganci con la realtà contemporanea, l'immagine del c. conservava comunque all'epoca un basilare significato metaforico. Preziosa in proposito è la testimonianza del Salterio di St Albans, del 1120-1130 ca. (Hildesheim, St. Godeshardskirche, 1169), dove in un lungo commento si spiega come la scena di un duello tra c., nella pagina del Beatus vir, non vada intesa corporaliter, bensì spiritualiter, in quanto raffigurazione della lotta del cristiano contro il nemico invisibile, di quella della Chiesa contro l'Anticristo e di quella dei giusti contro gli ingiusti. Di conseguenza sono gli spiriti contemplativi, e con ciò l'autore del commentario intende i religiosi, che meglio sanno comprendere il significato di questa lotta (Pächt, 1960, p. 149ss.; Helsinger, 1971). Il Salterio di St Albans venne eseguito per la anacoreta Cristina di Markyate e in questo ambiente di tendenze ascetiche l'immagine corporea si limita a rimandare a quella spirituale; tuttavia il motivo venne ripreso in manoscritti di committenza laica e anche altrove, e con il passare del tempo si sviluppò, dando luogo, soprattutto in ambito inglese, a raffigurazioni più esplicite (Evans, 1982). Emblematica è la miniatura illustrante la Summa de vitiis di Guillaume Peyraut, del 1240-1255 ca. (Londra, BL, Harley 3244, cc. 27v-28r), che mostra un c. armato di tutto punto, con ognuna delle armi identificata dai cartigli con una virtù cristiana, che combatte contro ben sessantanove mostri capeggiati dai sette peccati capitali. In un'elaborazione posteriore del tema (1351-1358), già imbevuta di spirito cortese, appare una personificazione femminile dell'anima, in groppa a un cavallo rappresentante il corpo, che riceve le armi da quattordici virtù (Lilienfeld, Zisterzienserstift, 151).Tornando all'epoca romanica, una testimonianza indicativa della polivalenza e circolarità dell'immagine equestre è offerta dal portale di S. Zeno a Verona (prima della metà del sec. 12°); nella porta bronzea si trova un c. generalmente identificato come Salomone, nella lunetta soprastante i milites del comune in parata, nel ciclo dei mesi il Maggio-c. che parte per la guerra e, infine, nei rilievi ai lati del protiro le discusse formelle con il duello tra c. e la caccia infernale di Teodorico (Calzona, 1985, p. 464ss.; Verzar Bornstein, 1985). Un altro esempio interessante, degli inizi del sec. 12°, è un rilievo proveniente dall'urna del beato Alberto (Pontida, basilica abbaziale, chiostro), con un c. al galoppo che tiene in mano una bilancia con due figurette, mentre altre figure attendono su un capitello (Gatti Perer, 1979, p. 474ss.). Si tratta di un'immagine in cui confluiscono, per vie diverse, l'antica funzione psicopompa del cavallo, così come i riferimenti all'apostolo Giacomo come c. vittorioso, a s. Michele che pesa le anime e al terzo c. dell'Apocalisse (King, 1922).Un problematico capitolo a sé stante è poi costituito da una notevole serie di pitture e, soprattutto, di sculture, che si trovano nelle chiese romaniche della Francia centro-occidentale (in particolare dell'Aquitania) e della Spagna settentrionale, raffiguranti c. in diverse varianti: in abiti antichi o moderni, a volte coronati o con il falco, spesso accompagnati da una figura femminile e/o calpestanti un avversario (per es. fra i molti: Poitiers, battistero; Parthenay-le-Vieux, Saint-Pierre; Arles, Saint-Trophime, chiostro; Lérida, cattedrale vecchia). A lungo si è discusso sull'identificazione di questi personaggi e per un certo tempo, anche sulla scorta di alcune testimonianze epigrafiche e documentarie, si è ritenuto di poter stabilire come prototipo la statua equestre romana di Costantino e interpretare di conseguenza i c. come immagini dell'imperatore cristiano, figura simbolica della vittoria contro i nemici della Chiesa. Ma un tale punto di vista si è rivelato, a una più approfondita lettura dei contesti, troppo univoco, e, senza negare il largo raggio d'influenza del monumento romano, altre componenti, individuabili di volta in volta, vanno riconosciute alla base di questo fenomeno (Crozet, 1958; 1971; Cahn, 1974, p. 98ss.; Lavagne, 1977). Le principali possono considerarsi: l'influsso dell'iconografia equestre di s. Giacomo, presente in particolar modo lungo le vie di pellegrinaggio verso il santuario di Santiago de Compostela che attraversano il territorio in questione; il riferimento a un complesso simbolismo religioso che, al di là dell'ambito costantiniano, utilizza la figura del c. come un articolato congegno semantico che da un lato celebra le vittorie del combattente di Cristo e dall'altro mette in guardia dai pericoli di un orgoglio eccessivo. Il fatto che spesso questi c. compaiano in prossimità di raffigurazioni tratte dal ciclo davidico attesta inoltre un significativo contatto con la decorazione dei salteri (Helsinger, 1971; Ruiz Maldonado, 1979; 1983). Infine, va ricordata l'importanza che per lo sviluppo concettuale e iconografico del combattente cristiano ebbero i rapporti più stretti che le crociate crearono con il mondo islamico, in cui già da tempo era maturata la concezione del c. impegnato nel jihād, la lotta per la fede e contro le passioni (Seidel, 1981).Il sec. 13° segnò la ripresa del monumento equestre, sia in versione monumentale - benché in un primo tempo 'a muro' - sia in opere di piccolo formato in materiali preziosi (Baron, 1968). Tale ripresa, le cui linee portanti furono senza dubbio l'interesse per l'antico e la volontà di autorappresentazione di identità politiche consolidatesi di recente, nelle singole manifestazioni rivela in realtà il convivere di elementi discendenti da tradizioni diverse. Ai primi decenni del secolo risale verosimilmente il gruppo della Carità di s. Martino sulla facciata del duomo di Lucca. Nel 1233 venne eretta sulla facciata meridionale del Broletto Nuovo di Milano la statua equestre in onore del podestà Oldrado da Tresseno, di cui solo di recente è stato valutato appieno il significato di monumento chiave dell'arte comunale (Romanini, 1989). Un'immagine a cavallo, oggi nota da Salimbene de Adam (Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, I, p. 95), venne dedicata intorno alla stessa epoca anche al podestà di Reggio. Di qualche anno successivo (prima del 1237) è il c. di Bamberga, celebre quanto discusso gruppo scultoreo addossato a uno dei pilastri del Georgenchor della cattedrale, che mostra un giovane c. coronato (Die Zeit der Staufer, 1977-1979, I, nr. 441). Svariate ipotesi sono state fatte sull'identità della figura (Enrico II, s. Stefano d'Ungheria); da ultimo si è proposto che si tratti di un criptoritratto dell'imperatore Federico II nelle vesti di s. Giorgio: un travestimento, per così dire, che ne permetterebbe la presenza in un luogo consacrato. Un criptoritratto dell'imperatore svevo dovrebbe essere anche il c. di Magdeburgo (1240-1245), posto su di un alto sostegno nell'Alter Markt (l'originale è oggi nel Kulturhistorisches Mus.; Badstübner, 1987), che un'iscrizione apocrifa identifica come Ottone I (Ladner, 1983). Numerose e differenziate nei riferimenti furono le raffigurazioni equestri nell'arte del periodo federiciano in Italia meridionale: dai gruppi monumentali a parete di Castel del Monte e Lagopesole, al rilievo di tradizione romanica del portale della collegiata di Foggia, alle opere di piccolo formato di cui è esempio il cammeo (Parigi, BN, Cab. Méd.) con la figura di un falconiere (de Lachenal, 1990, p. 22ss., n. 123). Quest'ultima immagine assume un ulteriore significato perché la caccia a cavallo con il falco - da sempre attività distintiva, in senso reale quanto metaforico, di sovrani e aristocratici, e particolarmente cara all'Islam - nella corte federiciana ricevette lustro dal fatto che lo stesso imperatore aveva scritto un trattato sull'argomento, il De arte venandi cum avibus. Questi c.-falconieri di origine federiciana divennero anche i protagonisti, dopo la metà del secolo, di un nuovo motivo iconografico, l'incontro dei tre vivi e dei tre morti, proprio perché assunti come simbolo della bellezza della vita (Bologna, 1969, p. 42ss.), secondo un concetto che venne poi accolto e variamente declinato nelle successive rappresentazioni della danza macabra (Frugoni, 1987).Altro elemento di novità nel sec. 13°, legato al diffondersi della sensibilità cortese, fu la comparsa dei temi amorosi, impiegati in primo luogo per la decorazione di oggetti di lusso di uso profano che, in ragione della loro stessa natura, si sono conservati in pochi esemplari. Uno di questi è una chiusura per cintura in argento dorato di produzione renano-mosana, databile agli anni trenta del secolo (Stoccolma, Statens historiska mus.), con il c. e la dama (Die Zeit der Staufer, 1977-1979, I, nr. 603). Grande parte ebbero poi ovviamente le figure di c. nell'illustrazione della letteratura cavalleresca e cortese che si sviluppò a partire dalla metà del secolo e che ebbe eccezionale fioritura nell'arte delle corti tardogotiche. Essa riguardò soprattutto gli stessi manoscritti contenenti le opere ma venne ripresa anche in altri generi di lusso, tra cui vanno citati in particolare gli intagli in avorio - soprattutto cassette e custodie di specchi - prodotti nelle botteghe parigine e conservatisi in un certo numero (Ross, 1948; Dachs, 1989). Un raro esempio in smalto da menzionare è una capsella di ipotetica produzione inglese (Londra, Vict. and Alb. Mus., 1325-1340 ca.) con immagini di c. forse riferentisi al perduto romanzo Sir Enyas and the Wodewose (Age of Chivalry, 1987, pp. 458-459). Esempio estremo di quest'arte è il c.d. Goldenes Rössl, gruppo in smalto ronde-bosse donato da Isabella di Baviera al consorte Carlo VI di Francia per il capodanno del 1404, in cui il sovrano è rappresentato in ginocchio davanti alla Vergine mentre il maresciallo, inginocchiato di fronte a lui, gli tiene l'elmo da torneo e, al livello sottostante, il suo bianco destriero attende trattenuto dallo scudiero (Altötting, Wallfahrtskapelle und Schatzkammer).Anche per la decorazione dei palazzi del potere civile in ambiente comunale furono visti con favore i temi cavallereschi, cui vennero affidati messaggi simbolici, attinenti per lo più alla sfera politico-morale, ancora per gran parte da analizzare. Molti sono gli esempi menzionati nelle fonti e diversi quelli conservati, fra cui si possono citare: gli affreschi nel broletto di Novara, eseguiti tra il 1230 e il 1260-1270 (Gavazzoli Tomea, 1979), i rilievi con c. affrontati e in duello nel palazzo Comunale di Narni, del 1260 ca. (Gramaccini, 1985), e l'affresco con il capitano di guerra Guidoriccio da Fogliano, del 1330 ca., nel Palazzo Pubblico di Siena (Seidel, 1982; Strehlke, 1987). Ancora in quest'ottica va ricordato come a Pavia fungesse da palladio cittadino la statua equestre del Regisole, probabilmente un'opera tardoantica trasferitavi da Ravenna nel sec. 8° (Bovini, 1963; de Lachenal, 1990, n. 30). In un'ottica invece dinastica, in Francia, allo scadere del Duecento, si manifestò un nuovo fenomeno, consistente nella donazione a chiese e abbazie di statue lignee come ex voto da parte di re e grandi feudatari, oggi note solo attraverso le fonti. La più celebre, e controversa, è quella donata da Filippo il Bello alla cattedrale di Notre-Dame di Parigi dopo la battaglia di Mons-en-Pévèle del 1304 (Baron, 1968).Negli stessi anni si verificò anche il ritorno della figura equestre nell'arte funeraria (Bauch, 1976). I primi esempi noti rivelano ancora una volta la molteplicità dei canali di trasmissione dell'immagine nonché la diversità dei significati che le si potevano affidare. Sul sepolcro (1300 ca.) di Guilielmus, morto nel 1289 nella battaglia di Campaldino (Firenze, SS. Annunziata, secondo chiostro), il c. è colto nel corso della battaglia come sulle stele di tradizione classica, anche se, a giudicare dall'abbigliamento e dalle armi, fonte della raffigurazione furono i sigilli sui quali il c. venne generalmente effigiato in quell'aspetto, spesso in atto di guerreggiare (Janson, 1967). Sulla cuspide del monumento sepolcrale di Edmund Crouchbach, conte di Lancaster, del 1297 ca. (Londra, Westminster Abbey), appare invece un c. che procede al passo con le mani giunte, mentre un falconiere è inciso sulla lastra funeraria di Thiebaut Rupez, degli inizi del sec. 14° (Châlons-sur-Marne, Notre-Dame). Sempre negli stessi anni, sul sarcofago di Alberto I della Scala (Verona, S. Maria Antica) il defunto è ritratto su un cavallo al passo fiancheggiato da due santi (Bauch, 1976). Di maggiori pretese è il monumento equestre che coronava il sepolcro di Cangrande della Scala, del 1330 ca. (Verona, già in S. Maria Antica, ora al Mus. di Castelvecchio, Civ. Mus. d'Arte), in cui si dispiega un articolato simbolismo ghibellino esterno ai moduli classicheggianti (Janson, 1967). A partire da quest'epoca la statua equestre conservò a lungo un ruolo importante nell'arte sepolcrale, soprattutto nei monumenti destinati a condottieri.Un ulteriore tratto caratteristico delle rappresentazioni di c. nel Tardo Medioevo, comune ad altre manifestazioni artistiche e destinato a perdurare in alcune aree, è il gusto per l'esibizione araldica del lignaggio; come esempio al riguardo si può citare la miniatura con George Luttrell che si prepara al torneo, contenuta nel suo salterio, del 1325-1335 (Londra, BL, Add. Ms 42130, c. 202v), dove le figure umane - il c., la moglie e la figlia che gli porgono le armi - e lo stesso cavallo sono diafane presenze rispetto allo stemma dei Luttrell, banda diagonale azzurra fra sei merlotti argento, che si ripete ossessivamente financo sulle vesti delle dame.In tutt'altro ambiente, infine, cultura cortese, umanesimo e gusto per la resa del naturale convivevano nelle schiere di c. - gli uomini illustri del passato - celebranti il Trionfo della Gloria nell'affresco della loggia di Cansignorio a Verona, opera di Altichiero, oggi immaginabile sulla scorta di monocromi in manoscrtti del De viris illustribus di Francesco Petrarca, forse attribuibili allo stesso maestro (Parigi, BN, lat. 6069F; lat. 6969I).
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