CAVALCHINI GUIDOBONO, Carlo Alberto
Nato a Tortona il 26 luglio 1683 dal barone Pietro e da Lucrezia Passalacqua, fu avviato agli studi giuridici e si laureò in utroque iure all’università di Pavia il 24 luglio 1702. Esercitò quindi l’avvocatura a Milano, ove venne aggregato al nobile Collegio dei giudici e dottori di quella città. Si recò poi a Roma per seguirvi la trafila prelatizia e nel 1716 ottenne di essere ascritto tra gli avvocati concistoriali nel posto riservato allo Stato di Milano. Il 15 sett. 1724 fu nominato da Benedetto XIII votante della Segnatura di giustizia e successivamente anche referendario della Segnatura di grazia. Il 24 febbr. 1727 venne ordinato sacerdote e poté conseguire altri importanti benefici e cariche: abate commendatario dell’abbazia di S. Paolo e S. Pietro di Molo nella diocesi di Tortona, consultore dell’Inquisizione ed esaminatore in sacri canoni. Il 10 maggio 1728 fu nominato arcivescovo di Filippi e il 19 maggio 1728 divenne promotore della fede nella Congregazione dei Riti. Nel 1735 fece un ulteriore passo avanti nel cursus honorum, ottenendo la segreteria della Congregazione del Concilio, che lascerà soltanto per ascendere al cardinalato.
In questa carica dette prova delle sue capacità giuridiche, esaminando e avviando a soluzione i problemi concernenti la validità dei matrimoni fra eretici e quelli misti contratti nei Paesi Bassi (De matrimoniis inter haereticos, ac inter haereticos et catholicos initis in Foederatis Belgii Provinciis dissertationes theologicae, et canonicae R.mi P. D. Cavalchini..., necnon quatuor insignium theologorum, Romae 1741). Le argomentazioni del C. (ibid., pp. XXIV-XLIX), nettamente orientate a riconoscere la validità di tali vincoli anche quando uno o entrambi i contraenti si fossero convertiti alla religione cattolica, vennero recepite dalla Declaratio SS.mi D. N. Benedicti PP. XIV cum instructione super dubiis respicientibus matrimonia in Hollandia, et Belgio contracta, et contrahenda del 4 nov. 1741.
Il 9 sett. 1743 Benedetto XIV elevò il C. alla sacra porpora, assegnandogli il 23 settembre il titolo presbiteriale di S. Maria della Pace; avrebbe voluto anche affidargli l’arcivescovado di Milano, se l’Austria non si fosse opposta alla nomina (Le lettere di Benedetto XIV, I, p. 117). Il C. rimase quindi al servizio della Curia, divenendo subito membro delle Congregazioni del Concilio, dell’Immunità, dei Vescovi e regolari, dell’Esame dei vescovi. Nel 1748 divenne anche prefetto della Congregazione dei Vescovi e regolari e dal 24 genn. 1752 al 29 genn. 1753 fu camerlengo del Sacro Collegio. Ponente nella causa di beatificazione di Roberto Bellarmino dal 1748, soltanto nella primavera del 1753 il. C. riuscì a completare la sua relazione sullo stato del processo (Sanctissimo Domino Nostro Benedicto XIV Relatio C. A. card. Cavalchini ponentis in causa beatificationis et canonizati onis Ven. Servi Dei Roberti Bellarmini pro congregatione habenda coram Sanctitate Sua super dubio an constet de virtutibus Theologalibus, et Cardinalibus, earumque adnexis in gradu heroico ad effectum, de quo agitur, Romae 1753).
Nel clima polemico che si era venuto a creare intorno al processo, la cui conclusione positiva era avversata dal combattivo gruppo antigesuitico che aveva le sue punte nei cardinali York e Passionei, il lavoro del C. non impressionò tanto per l’accurato apparato erudito di cui era fornito o per la fedeltà con cui recepiva gli insegnamenti pubblicati dallo stesso Benedetto XIV nell’opera De canonizatione Sanctorum, quanto per il chiaro giudizio favorevole all’ulteriore proseguimento della causa, motivato anche con la necessità di non accogliere le richieste dei gruppi giansenisti. Il C., in effetti, era così deciso fautore della beatificazione del Bellarmino, che nell’agosto del 1753 avvertì il padre generale dei gesuiti del pericolo che il papa si facesse influenzare in senso contrario dalla corte francese, consigliandolo di scrivere al cardinale de Tencin per chiedere un suo intervento.
Questi rapporti con i gesuiti costarono cari al C. nel conclave del 1758, seguito alla morte di Benedetto XIV. La sua candidatura al papato, sostenuta efficacemente dai cardinali Corsini e Portocarrero, sembrava destinata a raccogliere i voti sufficienti ad assicurargli l’elezione, quando il 23 giugno il cardinale Luynes, per impedirla, comunicò al cardinal decano D’Elce il veto ufficiale della corte francese. Perciò poté essere eletto il 5 luglio il cardinale Rezzonico che, salito al pontificato con il nome di Clemente XIII, nominò il C. prodatario e (il 12 febbr. 1759) vescovo di Albano.
Tenuto dal papa in grande considerazione, il C. tentò più di una volta di orientarne le decisioni nel senso di un intransigente rigorismo: così quando all’inizio del 1759 si fece sostenitore della pubblicazione dell’enciclica Quantopere Dominus Iesus contro la diffusione della cattiva stampa; così quando nell’aprile di quell’anno gli fu chiesto dal segretario di Stato, cardinal Torrigiani, un parere sulla possibilità di impiegare in maniera fruttifera il tesoro di Sisto V. In questo caso il C. rispose che esso poteva essere intaccato soltanto per far fronte alle calamità eccezionali indicate da Sisto V (carestia, peste, guerra, ecc.): il miglioramento, delle condizioni economiche dello Stato poteva essere conseguito o “col risparmio di varie spese forse non necessarie, o non opportune (quante sembra purtroppo, che sieno state fatte ne passati Pontificati), o con introdurre lavori di opere, e manifatture, che vediamo mancar nello Stato, e portarsi dagli Esteri, o con trovare il modo di rendere più colto, e fruttifero l’Agro Romano”; in particolare egli si dichiarava contrario alla proposta di estinguere con quel denaro i luoghi di Monte in possesso di forestieri.
Dopo l’espulsione dei gesuiti dal Portogallo, la Curia romana, per risolvere le pendenze sorte con la corte di Lisbona, designò il C. a trattare con l’inviato straordinario Almada, ma questi rifiutò la proposta pontificia.
Nominato vescovo di Ostia e Velletri il 16 maggio 1763, il C. negli anni successivi si portò su posizioni ostili alla Compagnia di Gesù e più sensibili agli interessi delle corti. Dopo l’espulsione dei gesuiti dalla Spagna, nella seduta della Congregazione del S. Uffizio del 21 apr. 1767, che doveva decidere se accoglierli nello Stato della Chiesa come voleva il governo spagnolo, il C. (già decano del Sacro Collegio) fu solo insieme con il cardinale Rossi a dare un parere favorevole, motivandolo con la necessità di sottoporli a una severa disciplina; egli si dichiarò anche favorevole alla loro secolarizzazione che avrebbe anticipato soltanto di poco la soppressione di tutta la Compagnia, ormai giudicata necessaria per il bene della Chiesa.
Il C. affermava che i gesuiti erano “pieni di massime evidentissime scelerate... Non è più possibile nascondere le colpe de’ Gesuiti. Io gli ho amati, gli ho favoriti, e tutto il Mondo sa con quanto pregiudizio di me medesimo; ma amo alla fine più l’armonia de’ Fedeli, la gloria della Chiesa Romana, e la verità”; e concludeva che “nell’odierna circostanza l’unica compassione per li Gesuiti è il non usarne veruna” (Parere dell’eminentiss. sig. Cardinale C. A. Guidobono Cavalchini… esposto nella Congregazione del S. Officio in occasione dell’espulsione de’ Gesuiti dalla monarchia di Spagna, Lucca 1768, pp. non numerate).
Benché alcuni mettessero in dubbio l’autenticità del Parere stampato nella parte relativa alle accuse antigesuitiche, certo è che esso procurò al C. il totale favore delle corti borboniche in occasione del conclave del 1769: la Francia tolse l’esclusiva contro di lui e la Spagna, benché egli avesse ottantasei anni, avrebbe voluto la sua elezione al pontificato. Il C., che aveva ancora delle ambizioni, da parte sua proclamava che si doveva scegliere un papa accetto alle corti; e al Rezzonico, il quale sosteneva che molti cardinali sarebbero stati disposti al martirio per impedirlo, rispose che “quei signori prendessero pure il martirio per se stessi ma non per fare martire la Santa Sede” (Berra, p. 74). La sua candidatura non riuscì a raccogliere che un massimo di sette voti, poi sfumò anche perché egli fu colto in conclave da un attacco di tisi che lo tenne una settimana a letto (23-30 aprile). Il 19 maggio fu eletto Lorenzo Ganganelli.
Con il nuovo pontefice i rapporti del C. furono molto tesi, tanto che egli non si recò più neppure all’udienza. Morì a Roma il 7 marzo 1774 e fu sepolto nella basilica dei SS. Apostoli, donde poi il suo corpo fu trasferito nella città natale.
Fonti e Bibl.: Bibl. Ap. Vatic., Vat. lat. 8373, ff. 116-117; Vat. lat. 9724, ff. 217-227; Ibid., Cod. Ferraioli 366, ff. 66-67; Notizie per l’anno 1735, Roma 1735, pp. 168, 170, 212, 217, 223; Notizie per l’anno 1743, Roma 1743, p. 231; Notizie per l’anno 1744, Roma 1744, p. 148; Notizie per l’anno 1774, Roma 1774, p. 88; P. Savio, Devozione di mgr. A. Turchi alla Santa Sede…, Roma 1938, p. 62; Le lettere di Benedetto XIV al card. de Tencin, a cura di E. Morelli, I, Roma 1955, pp. 117, 179, 277; II, ibid. 1965, pp. 32, 68, 360; L. Berra, Il diario del conclave di Clemente XIV del card. Filippo Maria Pirelli, in Arch. della Soc. romana di storia patria, LXXXV-LXXXVI (1962-63), pp. 25-319; L. Cardella, Mem. stor. de’ cardinali della S. Romana Chiesa, IX, Roma 1797, pp. 5 s.; G. Carnevali, Notizie per servire alla biogr. degli uomini illustri tortonesi..., Vigevano 1838, pp. 10 s.; F. Petruccelli della Gattina, Histoire diplom. des conclaves, IV, Bruxelles 1866, pp. 146, 148, 154-157, 164, 174, 177, 181, 190, 192, 195 s.; E. Rosa, Il cardinale D. Passionei e la causa di beatificaz. del ven. cardinale Roberto Bellarmino..., Roma 1918, pp. 27 s., 39, 41, 48, 59; L. von Pastor, Storia dei Papi, XVI, 1-2, Roma 1933, ad Indicem; E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. decimottavo, Città del Vaticano 1945, ad Indicem; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-eccles., XI, pp. 5 s., e ad Indicem; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica..., V, Patavii 1952, pp. 313 s.; VI, ibid. 1958, pp. 13, 39, 46, 56.