CATTANI DA DIACCETO, Iacopo (il Diaccetino)
Nacque a Firenze nel 1494; il padre Giovan Battista (figlio di Lapo, dei Signori nel 1483), fervente ammiratore del Savonarola, sarebbe morto di peste nel 1527.
Spesso si è caduti nell’errore di considerare il C. come fratello, o cugino dei più conosciuti Francesco, soprannominato il Pagonazzo, e Francesco, detto il Nero. Forse a determinare l’incertezza circa i legami di parentela del C. ha contribuito l’omonimia tra un suo fratello e i più noti appartenenti alla stessa famiglia. Il Varchi, in alcuni appunti per la sua Storia, esclude nel modo più categorico non solo la parentela fra il C. e il Pagonazzo, ma anche la discendenza da uno stesso ceppo familiare, e sostiene, a proposito del C., che “non apparteneva cosa alcuna a Francesco, perché originalmente non erano d’una medesima famiglia. Gli fu bene sempre amicissimo et scolare, et eziandio, mentre che leggeva greco, l’udiva” (cit. in P. Villari, N. Machiavelli, p. 279). Sembra comunque più probabile di una completa assenza di legami fra il C. e Francesco l’appartenenza dei due a rami familiari distaccatisi da tempo; forse sin dai primi anni del sec. XIV, a quanto sostiene il Passerini.
Le scarse notizie che possediamo circa la formazione culturale del C., gli studi compiuti, le amicizie, ci permettono tuttavia di cogliere i lineamenti della sua personalità e di collocarlo in quella cerchia di giovani intellettuali che si raccoglieva nell’ambiente degli Orti Oricellari e nella quale sarebbe maturato, nel 1522, il tentativo di congiura contro il cardinale Giulio de’ Medici.
Gli storici fiorentini contemporanei insistono nel definire il C. come “persona di buone lettere” (I. Nardi, II, p. 71) e come giovane “molto letterato” (F. Nerli, p. 139). Fra gli elementi caratterizzanti della sua formazione è da segnalare innanzi tutto la solida cultura umanistica e la conoscenza delle lingue antiche, in particolare del greco. Secondo il Nardi, proprio gli studi letterari compiuti procurarono al C. prima la stima, quindi l’amicizia di Giulio de’ Medici. Infatti, “amato assai dal cardinale”, ne divenne, in breve tempo, “familiarissimo”. Ricevuto “spesse volte alla mensa” del Medici, ottenne da esso “una lezione nello studio di Fiorenza” (I. Nardi, II, pp. 139 s.). Un altro elemento di rilievo nella formazione culturale del C. era la conoscenza e l’ammirazione, comune nella cerchia degli Orti Oricellari, delle opere del Machiavelli. Zanobi Buondelmonti, in una lettera al Machiavelli del 6 sett. 1520, ricordava una riunione nel giardino dei Rucellai, cui anche il C. era presente, e in cui era stata letta e discussa la Vita di Castruccio Castracani, che l’autore aveva da poco terminato. Proprio questi elementi, gli studi classici e l’ammirazione del Machiavelli, su cui gli storici contemporanei insistevano a proposito del C., ne fecero un tipico esponente di quella cultura intrisa di classicismo retorico che doveva fornire alimento alla congiura del 1522.
I legami di familiarità del C. con i Medici non dovevano costituire un remora alla partecipazione al tentativo antimediceo, se è vero che il Buondelmonti e Luigi Alamanni, suoi amici e organizzatori in Firenze della congiura, avevano mantenuto buoni rapporti con la famiglia al potere. Anche nel caso di questi ultimi, infatti, come in quello del C., il regime d’incertezza regnante a Firenze nei primi anni ’20 e le difficoltà esterne, aggravate dalla morte di Leone X, contribuivano a orientare la loro azione in un senso antimediceo, che trovava alimento nella cultura e nell’ammirazione per gli antichi esempi dei tirannicidi.
Circa il ruolo occupato dal C. nella congiura non vi è concordanza di vedute fra gli storici fiorentini. L’Ammirato sostiene la funzione di organizzatore e di capo svolta dal Cattani. Nella cerchia dei giovani che frequentavano gli Orti Oricellari egli avrebbe spinto gli elementi più influenzabili a prender parte al tentativo antimediceo: “le male soddisfazioni di questi giovani udendo, e atti a far qualunque grande impresa stimandoli, con addur loro gli antichi esempi, con questo splendidissimo nome di liberatori della patria, a dover uccidere il cardinale grandemente li confortava” (S. Ammirato, Istorie, VI, pp. 66 s.). Sarebbe stato quindi il C., secondo l’Ammirato, a guadagnare alle sue idee i maggiori dei partecipanti alla congiura: Zanobi Buondelmonti, Luigi di Piero e Luigi di Tommaso Alamanni, Antonio Brucioli, Giovan Battista della Palla. Gli storici contemporanei ritenevano tuttavia più giustamente che la funzione di organizzatori in Firenze spettasse al Buondelmonti e a Luigi di Piero Alamanni e che il C., “per la simiglianza degli studi amicissimo loro” (I. Pitti, Istoria, p. 128), avesse aderito in un secondo momento trascinato dai due amici.
Il tentativo di rovesciamento del regime mediceo traeva la sua origine politica nelle trame dei Soderini, che, approfittando della vacanza della sede pontificia dopo la morte di Leone X, con l’aiuto dei Francesi avevano assoldato il condottiero Lorenzo Orsini, che doveva invadere i territori soggetti al dominio fiorentino. L’uccisione del cardinale avrebbe completato il rovesciamento dei Medici, che era affidato prevalentemente alle truppe dell’Orsini e all’aiuto francese.
Nell’organizzazione del complotto al C. spettava il compito di mantenere i contatti con i Soderini e con i fuorusciti. A Lucca egli incontrò un corriere francese che riferiva notizie concernenti il piano antimediceo; lo stesso corriere portava alcune lettere al C. quando, il 22 maggio 1522, venne catturato in Firenze. Interrogato, confessò di aver avuto contatti col C. e di essere venuto in città proprio per parlargli. Immediatamente, in pieno giorno, anche il C. fu imprigionato. Gli altri congiurati, vistisi scoperti, abbandonarono la città. L’unico a condividerne la sorte fu Luigi di Tommaso Alamanni. La tortura costrinse ben presto il C. a confessare: “Io mi voglio cavare questo cocomero di corpo: noi abbiamo voluto ammazzare il cardinale” (Nardi, II, p. 75). Il giudizio degli Otto venne pronunziato il 6 giugno e il C., accusato di voler “facere et patrare tractatum de seditione et coniuratione contra presentem pacificum, liberum et tranquillum statum civitatis Florentiae, et pro subversione et mutatione ipsius status” (Documenti della congiura, p. 124), venne condannato a morte.
Agli ultimi suoi giorni appartengono alcuni versi composti in prigione, che iniziano: “Este procul, tristes animum dimictite, cure. Libera non intret in mea corda pavor” (Bibl. nazionale di Firenze, Manoscritti, II, IV, 380, c. 293). I distici elegiaci, in cui abbondano reminiscenze classiche, non fanno riferimento alla congiura, ma esprimono la stanchezza della vita e non mancano di una certa intonazione religiosa. Di questi versi esiste, in un manoscritto forse appartenuto al Varchi, una traduzione in endecasillabi a rima alternata che comincia: “Angosciosi pensier state da lunge / Abbandonate la sicura mente” (Ibid., Manoscritti Palatini, 288, c. 25).
Il C. venne decapitato, insieme a Luigi di Tommaso Alamanni, il 7 giugno 1522.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. nazionale, Manoscritti, II, IV, 380, c. 293; Ibid., Manoscritti Palatini, 288, cc. 25-27; Ibid., Manoscritti Passerini, 187; Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 2, CXI, c. 2; Ibid., Carte Pucci, 33; Documenti della congiura fatta contro il card. Giulio de’ Medici, a cura di C. Guasti, in Giornale storico degli Archivi toscani, III (1859), pp. 121-150, 185-232, 239-267: passim; N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, Milano 1961, p. 394; Id., Arte della guerra, a cura di S. Bertelli, Milano 1961, pp. 310, 544; F. Nerli, Commentari de’ fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall’anno MCCXV al MDXXXVII, Augusta [Firenze] 1728, p. 139; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, Firenze 1858, II, pp. 71-76; I. Pitti, Istoria fiorentina, a cura di F. L. Polidori, in Arch. stor. ital., s. 1, I (1842), p. 128; F. Vettori, Somm. della storia d’Italia dal 1511 al 1527, a cura di A. v. Reumont, ibid., VI (1848), App., p. 342; G. Busini, Lettere a B. Varchi sopra l’ass. di Firenze, a cura di G. Milanesi, Firenze 1860, pp. 18, 71, 153; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di G. Milanesi, Firenze 1923, I, p. 52; S. Ammirato, Ist. fiorentine, a C. di I. Ranalli, VI, Firenze 1842, pp. 66 s.; Id., Delle fam. nob. fiorent., Firenze 1615, p. 17; A. Ademollo, Marietta de’ Ricci, ovv. Firenze al tempo dell’assedio, Firenze 1845, II, p. 214; G. Capponi, St. della Rep. di Firenze, Firenze 1875, II, pp. 338 s.; C. Cipolla, St. delle signorie ital. dal 1313…, in Storia polit. d’Italia, IV, 2, Milano 1881, p. 873 (parlando della congiura confonde il nome del C. con quello del padre Giovan Battista); O. Tommasini, La vita e gli scritti di N. Machiavelli nella loro relaz. col machiavellismo, Roma-Torino-Firenze 1883-1911, II, pp. 259, 1086 s.; P. Piccolomini, Ultimi versi di I. da D., in Giornale stor. d. letteratura italiana, XXXIX (1902), pp. 327-334; H. Hauvette, LuigiAlamanni. Sa vie et son oeuvre, Paris 1903, pp. 11, 16, 28 s., 31, 33, 35, 38 s., 186 s.; P. Villari, N. Machiavelli e i suoi tempi, Milano 1927, p. 279; G. Spini, Tra Rinascimento e Riforma. Antonio Brucioli, Firenze 1940, pp. 30 ss.; G. De Caro, Buondelmonti, Zanobi, in Diz. biogr. degli ital., XV, Roma 1972, sub voce; R. von Albertini, Firenze dalla Repubblica al principato, Torino 1970, pp. 83 s.