CATTANEO DELLA VOLTA, Cesare
Nacque a Genova da Giovanni Battista e da Maddalena, figlia di Cesare Gentile, e fu battezzato il 12 luglio 1680 nella parrocchia di S. Torpete.
Nulla si sa sulla sua gioventù e sulla sua educazione, che dovettero essere splendide, come si conveniva alla ricchezza e potenza della sua famiglia e alla sua particolare condizione di figlio di un doge (il padre fu eletto a tale carica nel 1691), di cui era esaltata la magnificenza. Il C. era secondogenito: il fratello Nicolò, maggiore di lui di un anno, divenne egli pure doge nel 1736, e la sorella minore, Livia Maria, andò sposa al potente Giovan Battista Centurione.
Il primo riferimento pubblico nella vita del C. risale al 1709, anno in cui venne eletto al magistrato di Terraferma; l’anno seguente entrava a far parte del magistrato dei Poveri. Quindi, per la durata di otto anni, del C. non si hanno notizie: sembra che abbia risieduto all’estero, ma si ignora se come libero viaggiatore o come inviato ufficiale o ufficioso presso qualche corte straniera, come potrebbero far supporre le sue celebrate doti di oratore. Ritornato a Genova, riprese gli incarichi pubblici: tra il 1718 e il 1719 fece parte del magistrato dei Provveditori dell’olio e nel 1724 di quello delle Monete; nel 1725 fu eletto sindicatore della Ruota criminale e, carica molto più importante e delicata a causa dei recenti disordini fomentati nel Finale da Vittorio Amedeo II di Savoia, nel 1727 venne inviato a Savona come commissario di quella fortezza. Così quando, nel 1732, scoppiata nel Finale una nuova ribellione sostenuta dai Piemontesi, si presentò a Genova la necessità di inviare a Vienna, per protestare presso la corte cesarea, una persona competente e di persuasiva oratoria, il 12 maggio, a sostituzione del Pallavicini, venne scelto il Cattaneo. Questi, espletato l’incarico di deputato alle Triremi, cui era già stato eletto, partì il 15 genn. 1733 e arrivò a Vienna il 9 febbraio, ma dovette attendere fino al 19 marzo l’udienza per la presentazione delle credenziali.
Il C. rimase come ministro residente a Vienna tre anni e dovette occuparsi di questioni di primaria importanza: tra l’altro, la posizione di neutralità dichiarata da Genova nel corso della guerra di successione polacca aveva reso difficile non solo il mantenimento del Finale, minacciato dai Savoia, ma anche il possesso della Corsica, ove la Francia manteneva focolai di rivolta anche dopo che, nel 1731, l’Impero aveva inviato gli aiuti richiesti dalla Repubblica ligure per sedare una rivolta. Anche attraverso il C., inoltre, il governo imperiale aveva chiesto prestiti finanziari alla nobiltà genovese che nel 1736 era stata in grado di fornire alle casse asburgiche la somma di 1.000.000 di fiorini, per la quale l’imperatore offrì in garanzia gli Stati di Boemia.
Conclusa la sua missione, il C. presentatosi all’udienza di congedo il 12 apr. 1736, ripartiva da Vienna il 20 aprile successivo. A Genova riprendeva parte attiva ai pubblici incarichi: eletto nel 1737 sindicatore supremo, nel 1738 entrava a far parte per la seconda volta del magistrato delle Triremi e nel 1743 di quello degli Inquisitori di Stato.
Durante la guerra di successione austriaca, nel 1746, mentre gran parte della nobiltà fuggiva dalla città attaccata dalle truppe austriache, il C. vi rimase: caduta Genova sotto l’occupazione austriaca, venne scelto come uno dei quattro ambasciatori che avrebbero dovuto recarsi a Vienna presso Maria Teresa, per protestare e contemporaneamente difendere gli interessi della città, e che si videro invece ritirare il lasciapassare dal generale Botta Adorno; ma, iniziata il 5 dic. 1746, con il leggendario gesto di Balilla, la riscossa popolare, il C. partecipò, insieme con un esiguo numero di patrizi travestiti da marinai, ai combattimenti contro gli Austriaci per le strade di Genova. Quindi, mentre la controffensiva austro-sarda guidata dallo Schulenberg, che aveva sostituito il Botta Adorno, dilagava, nella primavera del 1747, nella Val Polcevera e in Val Bisagno, il C. manteneva attivamente la carica, ottenuta l’anno precedente, di commissario sindicatore nelle tre podesterie devastate dalla guerra e in preda a continui disordini, coadiuvando, nella vasta periferia della città, l’opera riorganizzatrice svolta all’interno delle mura dal doge Gian Francesco Brignole Sale. Di questo il C., eletto alla massima magistratura dello Stato il 6 marzo 1748, con voti 188 su 340, fu il degno successore: venne incoronato dall’arcivescovo di Genova il successivo 31 agosto, quando, ad ostilità ormai cessate, erano già stati avviati i preliminari di pace.
Con la pace di Aquisgrana, restituiti a Genova la Corsica e il Finale, cessati i timori, il C. cercò di valorizzare, anche istituzionalmente, il significato della rivolta antiaustriaca, contribuendo contemporaneamente a ristabilire all’interno della città quella normalizzazione dei rapporti politico-sociali che i sussulti antioligarchici emersi durante la rivolta stessa avevano minacciato di incrinare: a questo scopo il C. distribuì onorificenze e somme di denaro a tutti quei cittadini che, nei momenti difficili, si erano comportati con coraggio, ma anche con rispetto delle istituzioni, e decise anche l’iscrizione alla nobiltà di sette popolani che, come capi, si erano distinti in modo particolare. Il C. sottoscrisse inoltre l’atto solenne con cui si stabiliva che ogni 10 dicembre, giorno anniversario dell’evacuazione austriaca, fosse celebrato come festa solenne, e le campane di tutte le chiese suonassero a gloria e le artiglierie dei forti e del porto rispondessero con colpi di cannone. Durante il dogato del C., nel novembre 1749, l’arrivo a Genova di Luisa Elisabetta di Francia, duchessa di Parma, diede occasione nella città a nuovi festeggiamenti, che il C. volle splendidi.
Il 6 marzo 1750 finiva il suo governo ducale; ma, invece di ritirarsi, come facevano molti ex dogi, alla vita comoda che le sue grandi ricchezze gli avrebbero permesso, immediatamente riprendeva l’attività politico-amministrativa. Nello stesso 1750 era eletto preside del magistrato della Guerra; nel successivo 1751 presiedeva il magistrato degli Inquisitori di Stato, carica che riprendeva nel 1753. Soltanto le precarie condizioni di salute lo costrinsero a ritirarsi nel 1754 dalla vita pubblica e a limitarsi a curare il suo vastissimo patrimonio, che egli usava investire, anche con altri membri della sua famiglia, in prestiti bancari internazionali, secondo il costume tipico della nobiltà genovese, che, nel Sei-Settecento, aveva trasferito l’impiego dei suoi capitali dal campo marittimo-mercantile a quello finanziario.
Così il C., insieme con il fratello Nicolò, possedeva, tra l’altro, 50.110 lire investite in banche del Milanese (in quella di S. Ambrogio, nel Monte di S. Carlo il Vecchio e in quello di S. Francesco), nella Ferma del sale di Milano e nella Cassa del sale di Varese; aveva partecipato, con la somma personale di 300 scudi d’argento, a un prestito di 32.960 scudi fatto nel 1728, a interessi rilevantissimi, al duca di Parma Antonio Farnese da parte di un gruppo finanziario di nobili genovesi; e sempre con questa formula, aveva partecipato, con un capitale personale di 8.000 fiorini (mentre il fratello contribuiva con altri 6.000) a un prestito di 500.000 fiorini fatto nel novembre 1747 a Maria Teresa d’Austria.
Nel 1755 le ricchezze del C. vennero ulteriormente accresciute da una eredità: il 12 aprile divenne titolare delle azioni del Banco di S. Giorgio già intestate a Margherita Pinelli, vedova di Federico Centurione e moglie di Giovan Battista Spinola, che, morendo senza discendenti, lasciò al C., come rispondente al requisito richiesto di essere secondo fra i tre figli del fu Giovan Battista, il diritto di eredità. Ma l’anno successivo, il 22 luglio 1756, anche il C. cessava di vivere, celibe e senza figli.
Il suo ingente patrimonio passava ai nipoti Giovan Battista e Giacomo, figli del già defunto fratello Nicolò. Fu sepolto nella chiesa di S. Torpete, che egli aveva fortemente contribuito a far ricostruire dopo che la vecchia, nella quale era stato battezzato, era stata completamente atterrata: rifabbricata di sana pianta su disegno dell’architetto Antonio Maria Ricca detto il Gobbo, la chiesa divenne poi gentilizia del ramo Della Volta, cui il C. appunto appartenne, della famiglia Cattaneo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, mss. 479, c. 322; 495, c. 281; Ibid., Buste Nobilitatis, 531 C; Ibid., Istruzione a Ministri, 9/2716; Ibid., Lettere Ministri Vienna, 61/2578, 62/2579; Ibid., Relazioni di Ministri, 3/2719; Genova, Civica Bibl. Berio, m.r. X, 2, 167: L. Della Cella, Famiglie di Genova (1782), c. 678; F. M. Accinelli, Compendio delle storie di Genova, III, Lipsia 1750, pp. 43, 79, 147; C. Varese, Storia della Repubblica di Genova, VIII, Genova 1835, p. 160; L. A. Cervetto, Famiglie genovesi, in Il Cittadino (Genova), 1897, n. 31; L. Levati, I dogi di Genova dal 1766 al 1771, Genova 1914, pp. 18-20, 149; R. Di Tucci, La ricchezza privata e il debito pubblico di Genova nel sec. XVIII, in Atti della Soc. ligure di scienze e lettere, XI (1932), pp. 20 s.; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XLIII (1934), p. 124; Id., Breviario della storia di Genova, Genova 1955, p. 418.