CATRAME (dall'arabo qaţrān "pece liquida"; fr. goudron; sp. alquitrán; ted. Teer; ingl. tar)
Il catrame è un liquido di odore particolare e di colore che varia dal bruno al nero secondo la provenienza. La sua densità è circa 1,2. Si ottiene come prodotto della distillazione del carbon fossile (prodotto secondario nella fabbricazione del gas illuminante e nella fabbricazione del coke metallurgico). Si hanno diversi catrami anche dalla distillazione delle ligniti, delle torbe, degli scisti e dalla distillazione del legno.
La formazione di catrame dal carbon fossile fu osservata e descritta per la prima volta verso la fine del sec. XVII dal chimico tedesco J.J. Becker. Le sue osservazioni furono confermate in seguito da altri sperimentatori, le ricerche dei quali furono però presto dimenticate, finché, iniziata alla fine del sec. XVIII la fabbricazione del gas illuminante (Murdoch in Inghilterra dal carbon fossile e Lebon in Francia dal legno), si ebbe il catrame come prodotto secondario di questa industria nascente. Nei primi tempi esso costituì un cascame ingombrante e di nessun valore. Si cominciò dapprima a usarlo per riscaldare le storte per la fabbricazione del gas, ma non si riuscì allora a evitare gl'inconvenienti che presentava. Scarso successo ebbero pure tentativi fatti per utilizzarlo in altri modi. Un'applicazione pratica del catrame si trovò solo nella fabbricazione dei cartoni incatramati; ma l'acqua che è contenuta sempre nel catrame era d'impaccio per questa lavorazione ed era quindi necessario disidratare prima il catrame riscaldandolo in caldaie aperte, operazione difficile per il pericolo d'accensione.
Accum nel 1815 propose di sottoporre il catrame a una distillazione in caldaie chiuse in modo da disidratarlo non solo, ma anche da raccogliere l'olio volatile che distilla insieme con l'acqua, utilizzandolo per la preparazione di vernici in sostituzione dell'essenza di trementina. Gettato così il primo germe dell'industria della distillazione del catrame, si cominciò nel 1838 a distillarlo fino a temperatura più alta e ad usare un'altra frazione del distillato (olio di creosoto) per impregnare il legno da costruzioni e specialmente traverse per ferrovie, ecc. Nel 1846 Brönner insegnò a utilizzare le frazioni più volatili come olio da illuminazione, come solvente e come liquido per smacchiare. In Germania e in Inghilterra sorsero i primi impianti per la distillazione del catrame.
Un'utilizzazione scientifica del catrame cominciò, si può dire, nel 1845, quando Hofmann isolò il benzolo dagli olî leggieri del catrame e Mitscherlich insegnò a preparare il nitrobenzolo, che fu usato in profumeria come essenza artificiale di mandorle amare. Presero allora sviluppo le ricerche intorno alle proprietà delle sostanze che si possono separare dal catrame per distillazione frazionata; furono isolate l'anilina, la naftalina, ecc.
Nel 1856 Perkin preparò dall'anilina la malveina, prima sostanza colorante ottenuta dal catrame, la quale ebbe un successo straordinario. Da questo momento il catrame di carbon fossile divenne la sorgente inesauribile di prodotti che sono divenuti oggi indispensabili nella vita moderna. Per separare il benzolo, l'anilina, ecc. si cominciò a distillare in grande quantità questo prodotto, che intanto era decuplicato di prezzo e così prese un considerevole sviluppo l'industria del catrame di carbon fossile. Le prime grandi distillerie sorsero in Germania nel 1860.
Intanto gli scienziati, specialmente tedeschi, sottoposero ad accurate ricerche le sostanze che dalla distillazione del catrame si ottenevano e di ognuna si cercò un'utilizzazione pratica, mentre si svilupparono contemporaneamente le conoscenze teoriche sui composti aromatici derivati dal benzolo. La formula di costituzione del benzolo fu proposta da Kekulé nel 1865.
Nei primi tempi il catrame veniva distillato fino a 270°-280° in modo da ottenere una pece molle; si separavano cioè con la distillazione frazionata soltanto gl'idrocarburi aromatici più leggieri, l'anilina, la naftalina e i fenoli, che intanto avevano trovato impiego in medicina. Ma quando nel 1868 Graebe e Liebermann insegnarono a preparare l'alizarina artificiale dall'antracene, si distillò il catrame fino a temperatura più elevata, in modo da ottenere una pece dura, per poter separare anche l'antracene che era diventato in tal modo un prodotto ricercato e prezioso. S'imparò intanto a separare la chinolina, il carbazolo, ecc. Oggi il catrame viene sottoposto alla distillazione frazionata.
Composizione del catrame. - Il catrame di carbon fossile è un miscuglio complesso di diverse sostanze, la maggior parte delle quali appartiene alla serie aromatica. Il catrame contiene sempre acqua (dal 4 al 10%), molto difficile a eliminarsi e che, in un buon prodotto, non dovrebbe eccedere il 4-5%; contiene anche quantità variabili di carbonio elementare in sospensione (dal 10 al 30%).
Alcuni dei componenti del catrame hanno proprietà basiche (p. es. l'anilina) e si possono separare per la loro solubilità negli acidi, altri hanno proprietà acide (p. es. i fenoli) e si possono separare per la loro solubilità negli alcali. La maggior parte sono composti neutri privi di proprietà basiche o acide.
Fra i composti neutri predominano gl'idrocarburi. Oltre a piccole quantità d'idrocarburi saturi e non saturi della serie grassa, è contenuto nel catrame il ciclo-pentadiene (I) e il suo dimero (diciclo-pentadiene) insieme a indene (II) e a fluorene (III)
In quantità maggiore sono contenuti nel catrame idrocarburi cromatici, cioè benzolo (IV) e diversi suoi omologhi, quali il toluolo (V), gli xiloli (p. es. quello della formula VI), etilbenzolo (VII), pseudocumolo (VIII), mesitilene (IX), durolo (X), ecc.
È presente anche un altro idrocarburo monociclico, lo stirolo
Fra gl'idrocarburi policiclici sono contenuti nel catrame il difenile (C6H5−C6H5), la naftalina (XI) e alcuni suoi omologhi (a e β-metil-naftalina, dimetil-naftalina, ecc.), e anche l'acenaftene (XII).
L'antracene (XIII), il metil-antracene, il fenantrene (XIV)
sono pure contenuti nel catrame. Oltre a questi idrocarburi sono da rammentare anche altri idrocarburi più complessi, quali il retene (metil-isopropil-fenantrene), il pirene (XV), il crisene (XVI), il picene (XVII), ecc.,
che bollono a temperatura più elevata e restano per la maggior parte nella pece.
Fra i composti ossigenati contenuti nel catrame, occupano il primo posto i fenoli, p. es. l'acido fenico (XVIII) e diversi suoi omologhi, come il m-cresolo della formula XIX, lo xilenolo della formula XX, ecc., e anche naftoli e altri fenoli con punto di ebollizione più elevato.
Hanno importanza anche altre sostanze ossigenate contenute nel catrame, cioè il furano (XXI) e alcuni suoi omologhi (che sono contenuti però soltanto nel catrame proveniente dalla distillazione del legno di pino), il cumarone (XXII) e alcuni suoi omologhi, e l'ossido di difenilene (XXIII) che sono contenuti nel catrame di carbon fossile in piccola quantità.
Fra i composti solforati, oltre al solfuro di carbonio (CS2), che si ritrova nelle porzioni più volatili della distillazione del catrame, sono da rammentare il tiofene (XXIV) e molti suoi omologhi (tiotolene, tioxene, ecc.) e il benzo-tiofene e tionaftene (XXV).
Maggiore importanza hanno i composti azotati, in prima linea l'anilina (XXVI) e i suoi omologhi, toluidine, xilidine, cumidine, ecc. (v. per esempio le formule XXVII, XXVIII, XXIX), che si trovano nel catrame
insieme con piccole quantità di acetonitrile CH3−CN, di metilisonitrile CH3−NC e di benzonitrile C6H5−CN.
Nel catrame si ritrova un po' di pirrolo (XXX), probabilmente anche indolo (XXXI) e in maggiore quantità carbazolo (XXXVI)
Sono presenti nel catrame anche la piridina (XXXIII) e diversi suoi omologhi, la chinolina (XXIV) e diversi suoi omologhi, e in minore quantità l'isochinolina (XXXV) e l'acridina (XXXVI).
La composizione del catrame dipende principalmente dalla qualità di carbon fossile che è stata sottoposta alla distillazione e dipende molto anche dalla temperatura alla quale il fossile è stato riscaldato. Col variare di questa, e anche di altre condizioni, non solo si può avere catrame di composizione differente: ma anche in maggiore o minore quantità. Da 100 chilogrammi di fossile si possono avere da 3,5 fino anche a 10 kg. di catrame.
Catrami di composizione differente si possono inoltre avere dalla distillazione delle torbe, delle ligniti e degli scisti bituminosi (ricchi d'idrocarburi della serie grassa), e differente è il catrame ottenuto nella distillazione del legno. Esso contiene paraffine, è più ricco di fenoli, e qualche volta contiene anche speciali composti, per es. il guaiacolo contenuto nel catrame di legno di faggio e il furano e suoi omologhi contenuti nel catrame ottenuto dalla distillazione del legno di pino.
Formazione dei costituenti del catrame. - Diverse ipotesi sono state fatte per spiegare il modo di formazione delle sostanze che costituiscono il catrame.
Quando Berthelot osservò che l'acetilene riscaldato a 400-500° può trasformarsi in benzolo, si pensò alla possibilità che i composti aromatici contenuti nel catrame provenissero tutti dall'acetilene, che si forma appunto quando si riscalda il carbon fossile. Secondo quest'ipotesi l'acetilene da solo oppure col metano, con l'etilene, ecc., i quali pure si formano nel riscaldamento del carbon fossile, potrebbe condensarsi in vario modo dando origine ai diversi composti ciclici costituenti del catrame.
Le formule di costituzione di diversi componenti del catrame andavano bene d'accordo con quest'ipotesi: come il benzolo si potrebbe avere da 3C2H2, lo stirolo si potrebbe avere da 4C2H2, la naftalina da 5C2H2, l'acenaftene. da 6C2H2, ecc.
L'antracene e il fenantrene potrebbero analogamente risultare dall'unione di 7C2H2 con perdita d'idrogeno
Recentemente R. Meyer sottopose a una revisione sperimentale quest'ipotesi e trovò che effettivamente l'acetilene riscaldato a circa 500° da solo o con metano, con etilene, ecc., può formare veramente un catrame che contiene quasi tutti gl'idrocarburi che si ritrovano nel catrame di carbon fossile. Il Meyer ne poté identificare sicuramente 37, identici a quelli del catrame e notò lo svolgimento d'idrogeno che si f0rma come prodotto secondario nelle condensazioni.
Se pensiamo che nel riscaldamento del carbon fossile si forma anche H2S, HCN, ecc., questa teoria potrebbe anche spiegare la formazione del tiofene (da 2C2H2 + H2S), della piridina (da 2C2H2 + HCN), della chinolina (da 4C2H2 + HCN), ecc.
Se l'ipotesi di Berthelot fosse giusta, la formazione del catrame dovrebbe però avvenire ad alta temperatura in uno stadio avanzato della decomposizione. Invece lo sviluppo di componenti volatili condensabili dal carbon fossile ha luogo più intensamente nel primo tempo della distillazione, quando la temperatura delle storte non è ancora salita così alto da avere il massimo di produzione di acetilene. Anche il fatto che l'acetilene si ritrova sempre nel gas in piccole percentuali, a qualunque temperatura, è tale da lasciare dei dubbî sulla validità dell'ipotesi di Berthelot.
Un'altra teoria è stata presa in considerazione in questi ultimi anni, quando si sono cominciate a fare ricerche per sciogliere le sostanze solubili contenute nel carbon fossile (tutto ciò che non è carbonio elementare) e quando sono state fatte esperienze di distillazione del fossile a bassa temperatura o a pressione ridotta. (Amé Pictet 1918). Si partì dal concetto che il carbon fossile non è f0rmato soltanto da carbonio elementare (alcuni arrivano a pensare che il carbonio elementare non vi sia affatto contenuto), ma anche da H, O, N e S, che vi sono presenti sotto forma di sostanze organiche complesse, ricchissime di carbonio, di composizione sconosciuta, le quali sono prodotti della trasformazione delle sostanze organiche del legno da cui il fossile proveniva: queste sostanze sarebbero cioè prodotti intermedî della trasformazione del legno in carbone. Nell'antracite, per es., questa trasformazione ha raggiunto uno stadio molto avanzato e l'antracite contiene soltanto poco H, O, N e S. Nella lignite e nella torba invece, le quali si trovano in uno stadio meno avanzato di trasformazione, queste sostanze organiche sono contenute in quantità maggiore.
Si volle portare in soluzione con diversi solventi le sostanze organiche contenute nel carbon fossile. Riscaldando il carbon fossile con benzolo a 280° circa, sotto pressione di 50 atmosfere, si vide che il benzolo scioglie il 6,5% circa del peso del carbon fossile. Furono esperimentati anche altri solventi. I migliori risultati si ebbero adoperando come solvente la piridina. Le sostanze organiche che erano state sciolte dalla piridina (le quali restano come residuo dopo lo svaporamento del solvente) si possono dividere in due parti: una parte solubile e una insolubile nel cloroformio. Sottoponendo separatamente alla distillazione queste due frazioni, si ebbero risultati interessanti.
La parte solubile nel cloroformio, quando è riscaldata, comincia a decomporsi a 450° circa, svolgendo metano e dando origine a paraffine, olefine e nafteni (p. es.: biidro-toluolo, biidro-m-xilolo, ecc.). Non si formano affatto composti aromatici. Soltanto quando è riscaldata a temperatura più alta si formano composti aromatici mentre si svolge idrogeno.
La parte insolubile nel cloroformio non si altera invece quando è riscaldata a 700°. A temperatura superiore comincia a decomporsi formando in prevalenza idrogeno, CO, e fenoli.
Questi fatti si possono spiegare pensando che le sostanze organiche costituenti delle due frazioni (solubile e insolubile nel cloroformio) provengano l'una dalla trasformazione della cellulosa, e in generale degl'idrati di carbonio del legno (porzione cellulosica o porzione umica, insolubile nel cloroformio), e l'altra invece provenga dalla trasformazione delle resine, dei terpeni, dei tannini, dei grassi, ecc., che erano contenuti nel legno (porzione resinosa, solubile nel cloroformio).
Queste esperienze sono state confermate dalle ricerche fatte distillando il fossile a bassa temperatura e a pressione ridotta. Si è visto che se invece di riscaldare il fossile a 1000° o 1200° come si fa quando si vuol preparare il gas illuminante, lo si riscalda soltanto a 400° circa, si ottiene metano, etano, propano e altre paraffine, e per decomposizione della porzione resinosa si produce un catrame primario formato da composti alifatici e aliciclici e privo di composti aromatici, di fenoli e di naftalina. Un catrame primario simile si ha distillando il fossile a pressione ridotta anche a temperatura più bassa.
Sopra 700° comincia a decomporsi la frazione cellulosica e si svolge allora idrogeno, CO, e si ritrovano nel catrame anche i fenoli. Idrocarburi aromatici si hanno se si prende il catrame primario e lo si riscalda a temperatura più elevata: allora soltanto, i composti alifatici e aliciclici, perdendo idrogeno, si trasformano in composti aromatici.
Il catrame ordinario quale si ottiene distillando il fossile a 1000°-1200° è dunque il prodotto di trasformazione di un catrame primario, il quale si forma sotto 700° e si trasforma a temperatura più elevata.
Non è escluso però che una piccola quantità dei composti costituenti del catrame si formi per condensazione dell'acetilene secondo l'ipotesi di Berthelot, ma questa porzione dev'essere certamente piccola in confronto di quella che si genera per trasformazione pirogenica delle sostanze organiche che erano contenute nel carbon fossile.
Produzione del catrame.
Il catrame viene fuori dalle storte o camere di distillazione del fossile sotto forma di vapori insieme col gas. La temperatura di distillazione più comunemente adottata è quella di 900°-1000° e il miscuglio di gas e vapori abbandona le storte o le camere a una temperatura di 150°-200°.
La separazione del catrame dal gas è effettuata per mezzo di successive condensazioni, sia con raffreddamenti sia per azioni meccaniche o elettriche.
La prima condensazione avviene sugli stessi forni di distillazione nel bariletto. La funzione del bariletto è effettivamente duplice: esso serve sia da condensatore sia da organo di chiusura per intercettare la comunicazione fra lo spazio di distillazione e il collettore del gas durante i periodi di carica del fossile o di scarica del coke.
Fino a pochi anni or sono, quando il gas serviva principalmente come gas illuminante, era necessario che in esso rimanesse la massima parte possibile di componenti con forte potere illuminante, fra i quali è da citare il benzolo. Si riteneva quindi che fosse necessaria una condensazione "a caldo", cioè una condensazione effettuata con un raffreddamento lento e progressivo, che facesse rimanere nel gas una grande quantità di benzolo; tale sistema presentava lo svantaggio, molto grave, di produrre catrame spesso e di pochissimo valore commerciale, oltre a dare luogo, nell'esercizio dei forni, a serî inconvenienti dovuti alle ostruzioni nelle tubazioni e nei collettori.
Col diffondersi delle reticelle a incandescenza e col diffondersi dell'uso del gas a scopo di riscaldamento sia domestico sia industriale, la vecchia tendenza è stata sostituita da quella della condensazione "brusca", secondo la quale il gas all'uscita dello spazio di distillazione deve essere immediatamente raffreddato e il più bruscamente possibile.
Queste due tendenze hanno molto influito sulle forme del bariletto. Infatti il bariletto antico era formato da un cassone cilindrico; il gas vi entrava per mezzo d'un tubo, che pescava nel catrame, e usciva da una tubazione all'estremità del bariletto, mentre i prodotti di condensazione, a mano a mano che si formavano, sfuggivano da un troppo pieno che permetteva di mantenere costante il livello del liquido.
Nel bariletto di tipo moderno, il tubo di sviluppo del gas non pesca più nel catrame; in esso si trova inserito un iniettore dal quale viene, in direzione contraria a quella del gas, un getto d'acqua ammoniacale fredda, che raffreddando bruscamente il gas, provoca la condensazione di frazioni che distillano a temperatura più bassa e quindi rendono il catrame più fluido e di maggior valore commerciale; la intercettazione del collettore con la camera di distillazione è fatta mediante un'ordinaria valvola tampone (fig. 1).
La seconda condensazione avviene all'entrata degli apparecchi di estrazione mediante veri condensatori, che possono essere ad aria o ad acqua.
I condensatori ad aria, formati da una serie di tubi nei quali circola il gas, che così si raffredda irradiando il suo calore nell'aria circostante, sono quasi scomparsi, sia perché richiedono molto spazio (20-25 mq. per 1000 mc. nelle 24 ore), sia perché riesce impossibile regolare la temperatura di uscita del gas.
I condensatori ad acqua sono formati da fasci tubolari, percorsi dal gas e immersi nell'acqua. Con questo tipo di condensatore si richiede uno spazio minore (10-15 mq. per 1000 mc. nelle 24 ore) e, regolando l'efflusso dell'acqua refrigerante, è possibile mantenere la temperatura di uscita del gas entro i limiti voluti (circa 200).
All'uscita degli apparecchi di condensazione, nel gas si trova ancora del catrame, che, essendo allo stato vescicolare, cioè di minute goccioline, ha resistito all'azione refrigerante. La completa eliminazione è fatta mediante mezzi meccanici o elettrici.
Il sistema, fino a pochi anni or sono quasi esclusivamente adoperato, è quello della Pelouze. Questo apparecchio è formato da un involucro cilindrico nel quale si trovano dei gruppi di campane metalliche forate. Ogni gruppo è formato da quattro campane concentriche; i fori delle campane non sono uguali, ma vanno diminuendo da quella esterna alle interne; le campane sono poi disposte in modo che i fori di una non corrispondono a quelli della successiva ma alla parete piena (fig. 2). Il gas è obbligato a passar in questi fori e a laminarsi; le goccioline sono costrette ad avvicinarsi, aumentano di volume e urtando contro la parete piena della campana successiva si raccolgono sul fondo dell'apparecchio. Alcune cokerie usano il separatore Koppers (figura 3), che è basato sullo stesso principio del precedente, con la differenza che le campane sono disposte orizzontalmente e dotate di un lento moto di rotazione, in modo che immergendosi nel catrame sottostante, i fori, che eventualmente si fossero ostruiti, si puliscono. Questi apparecchi riescono a depurare fino a mc. 50.000 nelle 24 ore.
Nelle cokerie attualmente vi è la tendenza ad evitare la installazione di separatori di catrame e ad affidare tale funzione agli stessi estrattori centrifughi, portando la velocità periferica delle giranti a valori molto grandi (180 minuti secondi); in questo modo il gas è sottoposto a una centrifugazione. Le giranti di tali estrattori devono essere costruite in modo speciale. La ditta Rateau si è specializzata nella costruzione di questi estrattori: essa costruisce apparecchi nei quali le giranti sono ricavate, mediante fresatura, da un sol blocco con lo stesso asse (fig. 4).
Adesso si va molto diffondendo la precipitazione elettrica del catrame. Lo schema riprodotto nella fig. 5 mostra uno di questi apparecchi del tipo Cottrell. Il tubo 2 è messo in comunicazione con la terra, lungo il suo asse è sospeso il filo 3 che viene alimentato da corrente continua, ottenuta raddrizzando una corrente alternata. Le particelle di catrame si ionizzano, sono attirate dalle pareti del tubo, che si carica di elettricità di segno contrario, e scolano sul fondo dell'apparecchio.
La resa in catrame, cioè la quantità di catrame che si può ottenere da una certa quantità di combustibile distillato, e la sua composizione dipendono da molti fattori, cioè dalla natura del combustibile trattato, dalla pressione e temperatura di distillazione, dalla forma delle camere o storte nelle quali avviene il processo e dal trattamento cui il combustibile è sottoposto.
Riportiamo qui appresso le analisi di alcuni tipi di catrame per far vedere l'influenza che esercita la natura del combustibile:
Per rendersi conto dell'influenza che le varie forme delle camere di distillazione esercitano sulla composizione del catrame basta dare uno sguardo alle analisi seguenti:
Riassumendo, possiamo dire che i carboni di data più antica, geologicamente parlando, dànno una maggiore quantità di idrocarburi aromatici, mentre nel catrame ottenuto da combustibili più giovani abbondano le paraffine e i fenoli.
Circa l'influenza della temperatura si vede che le rese diminuiscono con l'aumentare della temperatura di distillazione; a bassa temperatura si hanno catrami ricchi di paraffine, fenoli e omologhi; mentre a temperatura elevata aumenta la naftalina e l'antracene.
Nelle camere orizzontali e anche in quelle inclinate, il gas, per uscire dallo spazio di distillazione, è obbligato a lambire il cielo delle camere surriscaldandosi; il gas e il catrame subiscono così una decomposizione pirogenica, la naftalina e il carbonio libero aumentano di fronte al catrame ottenuto nelle camere verticali.
Il catrame greggio, cioè come si ottiene dalla distillazione del fossile, è difficilmente adoperato. Si usa soltanto per vernici, per fare agglomerati di carbone, per il rivestimento basico dei convertitori Bessemer nelle fabbriche di acciaio, per la preparazione di cartoni catramati, del nerofumo, di antisettici varî. Può usarsi anche per l'innaffiatura di strade, onde renderle meno polverose.
Se si vuole adoperare il catrame grezzo per le pavimentazioni stradali, uso però che dal punto di vista tecnico non è molto consigliabile, occorre almeno togliere l'acqua che in esso è contenuta e che, anche dopo la decantazione nelle fosse di raccolta, raggiunge ancora una misura oscillante dal 4 al 10%. Per l'eliminazione di quest'acqua si può fare ricorso alla centrifugazione, e più specialmente agli apparecchi ultraveloci, ad alta produzione e molto adatti al trattamento di materiali di difficile depurazione. Così, per es., si può ricorrere alla centrifuga Sharples formata da un recipiente cilindrico allungato a forma di provetta, dotato d'un movimento di rotazione che varia da 16 a 40 mila giri al minuto (v. centrifugazione). Il catrame, il quale giunge in questi apparecchi alla temperatura di circa 70-80°, per la forza centrifuga è spinto contro le pareti del cilindro e sfugge attraverso un apposito canale di scarico, mentre l'acqua, separatasi, si raccoglie un po' più in fondo per sfuggire a sua volta attraverso un altro canale di scarico.
In alcuni paesi esistono disposizioni legislative che proibiscono l'uso del catrame grezzo, imponendo che a esso vengano tolte quelle frazioni che distillano a una temperatura fissata, generalmente oscillante fra 180° e 200°. Ma oltre a queste norme di legge, che si ispirano al concetto di recuperare sostanze d'alto valore ai fini della difesa nazionale, ragioni tecniche si impongono perché sia evitato l'impiego del catrame per usi stradali senza averlo sottoposto a una lavorazione preliminare.
Il catrame viene adoperato nelle pavimentazioni stradali come legante, cioè serve a tenere insieme i varî elementi che costituiscono la pavimentazione, in modo da renderla anche insensibile agli agenti atmosferici e serve altresì ad assorbire elasticamente parte delle deformazioni del manto stradale dovute all'usura e all'azione di strappo dei pneumatici o dei cerchioni. Occorre però eliminare dal catrame tutte quelle sostanze che possono essere solubili nell'acqua o possono volatilizzare. È necessario quindi eliminare i fenoli, perché solubili nell'acqua, la naftalina e gli olî leggieri, che sotto l'azione del calore solare distillerebbero.
La ditta Sulzer ha costruito un apparecchio che risponde molto bene allo scopo di produrre catrame per uso stradale con una distillazione continua. L'apparecchio è formato da una stortina metallica (nei grandi impianti anche due affiancate) nella quale gira un tamburo munito di palette ditributrici (fig. 6). Il catrame giunge nel mezzo del tamburo ed è obbligato dalle palette a inaffiare le pareti della stortina, riscaldata a fuoco diretto, e distilla. Il catrame all'uscita dalla storta passa in un recuperatore e riscalda quello che si avvia al trattamento. Regolando l'efflusso del catrame è possibile spingere la distillazione fino a quelle frazioni che si vogliono togliere. I vapori che sfuggono dalla storta vanno a condensarsi in un refrigerante; i prodotti di condensazione si raccolgono in un separatore dove l'olio si decanta dall'acqua ammoniacale.
Esistono varî tipi di apparecchi per la disidratazione del catrame. Alcuni per riscaldare il catrame usano il vapor d'acqua, specialmente se occorre trattare grandi masse di catrame con forti percentuali d'acqua, per evitare formazione di schiuma. Il numero dei componenti fino ad oggi accertati nel catrame, è molto vasto; essi costituiscono la materia prima per molte industrie chimiche, da quella dei coloranti a quella degli esplosivi.
Per potere estrarre i componenti che interessano queste varie industrie, occorre prima di tutto sottoporre il catrame a una distillazione frazionata; il frazionamento deve essere fatto in modo da isolare entro limiti abbastanza ristretti i varî componenti. In generale dalla distillazione si ricavano le seguenti frazioni: oli leggieri, olî medî o di creosoto, olî pesanti o verdi, olî di antracene, pece.
Gli apparecchi nei quali si effettua la distillazione, possono essere dei tipi più svariati. La distillazione può essere continua o discontinua; il riscaldamento può essere diretto, cioè a fuoco nudo, o indiretto, sia con acqua sia con vapore sotto pressione. Per diminuire la temperatura di ebollizione degli olî, si può fare avvenire la distillazione nel vuoto; si lavora anche con un vuoto del 90%, circa e si ottiene una riduzione di circa 1000 nella temperatura di distillazione. Lo stesso effetto si ottiene riscaldando il catrame direttamente e contemporaneamente con iniezioni di vapor vivo. Questi processi mirano non solo ad abbassare il punto d'ebollizione delle frazioni; ma anche a ottenere una resa maggiore in olî.
In ogni apparecchio di distillazione si ha una storta, nella quale il catrame è riscaldato, un refrigerante, in generale del tipo a serpentino, dei separatori; per aumentare il rendimento termico del processo di distillazione, sul circuito sono inseriti dei recuperatori di calore. La pece che rimane nella storta viene scaricata in un serbatoio a chiusura ermetica, in modo da evitare il contatto con l'aria e diminuire i pericoli di combustione. Dopo raffreddamento, la pece è colata in stampi di forma adatta, o versata in fosse di muratura, da cui poi è tratta man mano che serve.
Uno dei varî apparecchi oggi usati è quello Mallet, per distillazione discontinua (fig., 7).
In esso, il catrame dal serbatoio passa in una caldaia 1 ove viene disidratato; la caldaia ha la capacità di 18-20 tonn. e viene riempita all'inizio della distillazione con catrame fino a un certo livello; il riscaldamento è, sul principio, molto lento fino a raggiungere la temperatura di marcia di circa 200, a questa temperatura si fa entrare del catrame dalla caldaia, mentre quello disidratato ne esce continuamente e si avvia alla storta di distillazione. I vapori distillati passano al refrigerante 2 e si decantano nel sepatatore 3. La storta di distillazione 4 è verticale, in lamiera d'acciaio con fondo stampato in un sol pezzo e provveduta di agitatore meccanico. Essa ha generalmente la capacità di 22 mc. Il riscaldamento a gas o con combustibile liquido è da preferirsi, sia per l'economia di mano d'opera e di consumo, sia per la facilità di regolazione del fuoco.
I vapori, man mano che si sviluppano, passano nel condensatore 5 e i prodotti di condensazione si raccolgono nei serbatoi sottostanti. Di tempo in tempo l'operaio addetto alla sorveglianza dell'esercizio, preleva dal sifoncino di scarico del refrigerante un campione dell'olio e ne determina la densità; da questa egli si accorge quando la frazione che sta distillando cambia di natura e allora cambia i serbatoi sottostanti al refrigerante.
A distillazione finita, nella storta rimane la pece che viene scaricata nel ricevitore 6 dal quale poi a tempo debito viene estratta.
Quando si tratta di dover lavorare una grande quantità di catrame al giorno, i sistemi di distillazione discontinui non convengono più, e bisogna ricorrere alla distillazione continua.
Questa però ha molti inconvenienti, come depositi carboniosi nelle storte, ostruzioni nelle tubazioni, difficoltà di una separazione netta delle varie frazioni.
In America è abbastanza diffuso il sistema Hird. Il catrame, dopo essere stato riscaldato, passa continuamente e successivamente nelle storte A1, A2, A3, A4, (fig. 8) disposte l'una dopo l'altra. Ogni storta ha la capacità di circa 1000 litri, e siccome il catrame circola con una portata oraria di 1000 litri, finisce col permanere circa un'ora in ogni storta. Le prime tre storte sono riscaldate mediante gas caldi mentre l'ultima è riscaldata da vapore. Il catrame grezzo viene preriscaldato nei recuperatori C1, C2, C3, C4, dai vapori caldi che si sviluppano dalle storte e nel recipiente B dalla pece che esce dalla storta A4; poi va alle storte di distillazione. Nei preriscaldatori il catrame perde acqua ammoniacale e olî leggieri; gli-olî medî si ottengono dalla storta A1; dalle due successive si hanno gli olî pesanti e infine dall'ultima, con iniezione di vapore, si ha l'olio di antracene.
Dato che i recuperi sono molto ben disposti, il consumo di combustibile è limitato; in media bastano 80 kg. di polverino di coke per una tonnellata di catrame distillato.
Un apparecchio a distillazione continua nel vuoto è quello di Raschig (fig. 9) costruito dalla Bamag.
Il catrame attraversa successivamente tre storte che lavorano press0 a poco alla stessa temperatura, ma con una depressione che aumema dalla prima all'ultima. Il catrame dal vascone 1 mediante la pompa 2 è spinto nel serbatoio superiore 3 che alimenta direttamente gli apparecchi di distillazione. Prima di penetrare nella prima storta esso si preriscalda nel recuperatore 4 a spese della pece che man mano viene fuori. Nella storta 5 la temperatura è di circa 150°, e la pressione di poco inferiore a quella atmosferica; in essa il catrame abbandona l'acqua ammoniacale e gli olî leggieri, i quali si condensano nel refrigerante 6 e si raccolgono nel separatore 7; l'olio decantato dall'acqua scorre nel serbatoio 8, mentre l'acqua si scarica continuamente dallo sfioratore 9.
Siccome le due storte successive lavorano a una pressione inferiore a quella atmosferica, così le storte sono in comunicazione fra loro attraverso le canne barometriche 21 e 22. Il catrame passa quindi dalla storta 5 a quella 10 ove la temperatura è quasi uguale a quella della precedente, ma la pressione è di soli 70 mm. di mercurio. I vapori che si sviluppano sono formati di fenoli e naftalina. La separazione si effettua nella colonna rettificatrice 11; dalla base vengono fuori gli olî di naftalina che si condensano nel refrigerante 12 e si raccolgono nelle vasche sottostanti, mentre i fenoli sfuggono dalla sommità della colonna e si condensano nel refrigerante 13 per raccogliersi nel serbatoio 14.
Dalla storta 10 il catrame entra in quella 15 ove la pressione è ancor più bassa e cioè di circa 30 mm. di mercurio; la pece che rimane nella storta passa nel recuperatore 4 e preriscalda il catrame grezzo; i vapori, formati di olio di antracene e di olî pesanti si separano, come per le frazioni precedenti, nella colonna rettificatrice 16; dalla estremità superiore escono gli olî pesanti, che si condensano nel refrigerante 17, mentre dalla base si ottengono gli olî di antracene dopo condensazione nel refrigerante 18.
Le prime due storte sono di lamiera d'acciaio e il riscaldamento è fatto con vapore; l'ultima storta è di ghisa ed è riscaldata da acqua calda sotto 200 atmosfere di pressione, prodotta nella caldaia 19. La pompa 20 serve a mantenere il vuoto necessario nelle storte.
Descriveremo infine il processo Abderhalden nel quale la distillazione è fatta riscaldando il catrame direttamente mediante iniezione di vapore vivo e nel tempo stesso indirettamente mediante fuoco nudo di un ordinario fornello.
Questo processo si basa sulla proprietà che ha il vapor d'acqua surriscaldato di trascinare i vapori di idrocarburi a una temperatura inferiore a quella di ebollizione.
La distillazione con vapor d'acqua surriscaldato permette di ottenere una pece le cui caratteristiche dipendono dalla temperatura di distillazione; da questa a sua volta dipende la quantità di vapore usata; se la temperatura viene tenuta intorno ai 300° la quantità di vapore da usare è circa il 40 o 50% del peso del catrame da distillare.
Il catrame grezzo del vascone B mediante la pompa 1 (fig. 10) è spinto entro il recuperatore 2 ove si riscalda a circa 70°, raffreddando la pece che viene fuori dalla storta; passa poi nell'economizzatore 3 inserito nei canali del fumo ove raggiunge la temperatura di circa 100° in modo che nella storta 4 entra una miscela di catrame disidratato e vapor d'acqua; contemporaneamente vi entra mediante la tubazione E anche il vapore che si è surriscaldato circolando in un serpentino inserito nei canali del fumo.
I vapori d'olio escono dalla parte superiore della storta mentre contemporaneamente la pece viene estratta.
Il frazionamento degli olî è fatto nelle due colonne 5 e 6, provvedute di deflammatore in modo da poter regolare la temperatura di frazionamento. Dalla colonna 5 vengono fuori olî di antracene e dalla 6 olî medî.
All'uscita di queste colonne abbiamo una miscela di olî di naftalina, olî leggieri e acqua. Regolando la temperatura del refrigerante 7 è possibile fare in modo che esso trattenga la naftalina, mentre gli olî leggieri sono condensati nel refrigerante 9, dopo essere stati rettificati in 8. L'acqua che si separa dai refrigeranti 7 e 9 si decanta dalle due frazioni corrispondenti nei separatori 10 e 11.
Questo processo è adoperato a Lens per trattare 60.000 tonn. di catrame all'anno e rende in modo soddisfacente.
Oltre questi processi di distillazione continua ve ne sono altri; per es. il processo Rey usato in Boemia, il processo Koppers, il processo Lehnard adoperato nelle officine della South Metropolitan di Londra.
Dalla distillazione frazionata si ottiene in media: acqua ammoniacale 5,0%, olî leggieri 1,5%, olî di naftalina 19,5%, olî pesanti 6,5%, olî di antracene 10,0%, pece 56,5%, perdite 1,0%.
Le acque ammoniacali, se la lavorazione del catrame è fatta in una officina a gas o in una cokeria, possono essere riunite alle altre acque e trattate con queste.
Gli olî leggieri contengono benzolo, toluolo, xilolo, composti solforati (solluro di carbonio, tiofene ecc.), fenoli, creosoti, piridina e dei composti non saturi che tendono a polimerizzare formando delle resine. La loro lavorazione è identica a quella degli olî derivanti dal debenzolaggio del gas. Essi sono prima sottoposti a una distillazione per portar via le frazioni più pesanti e poi a un lavaggio con acido solforico concentrato. I composti non-saturi resinificano; le resine ottenute sono solubili nel benzolo, ma si ritrovano sul fondo della storta di distillazione nella rettifica finale. Al lavaggio acido tien dietro uno con soda per neutralizzare l'azione dell'acido. Il benzolo ottenuto è infine sottoposto a una rettificazione che permette di isolare i seguenti prodotti: benzolo a 90% (cioè il 90% distilla a 100°), benzolo a 50%, toluolo, xilolo, solvente nafta.
Le resine, che, come si è detto, rimangono sul fondo della storta, servono alla preparazione delle lacche.
Gli olî medî di naftalina sono formati del 40% di naftalina, 30% di fenoli e omologhi, basi piridiche, ecc. Questi olî vengono raffreddati per separarne la naftalina e poi filtrati. La cristallizzazione è fatta in grossi vasconi della capacità di 5 o 10 mc. e di piccola altezza per poter facilmente estrarre la naftalina che cristallizza; la cristallizzazione deve essere condotta molto lentamente. La naftalina viene centrifugata, lavata con acido solforico e infine distillata in storte di ferro; la naftalina sublima sotto forma di minute pagliette nelle camere di condensazione.
Gli olî rimasti nei cristallizzatori dopo la separazione della naftalina, quelli derivanti dalla centrifugazione e dalla distillazione successiva, sono raccolti e trattati con soda. Il fenato ottenuto viene a sua volta trattato con acido solforico e per decantazione dal solfato di soda si ottiene il fenolo grezzo. Questo prodotto è formato da una miscela di fenolo, creosoto, xilenolo, ecc., separati mediante successive distillazioni frazionate, che permettono di arricchire sempre più le singole frazioni dei varî componenti.
Si ottengono così frazioni ricche di fenolo e di creosoto, che con successive distillazioni e cristallizzazioni permettono di ottenere prodotti puri, che possono essere ulteriormente lavorati.
L'olio pesante è un prodotto intermedio, quasi un anello d'unione fra quello di naftalina e quello di antracene. In generale ci si limita a estrarre la naftalina per cristallizzazione; il residuo liquido serve come olio combustibile o olio da impregnazione del legname.
Sottoponendo però questo olio a trattamenti appr0priati è possibile ricavarne sostanze, come l'acenaftene, che servono per la preparazione dei coloranti sintetici.
Gli olî di antracene contengono circa il 20% di antracene grezzo, che viene separato per cristallizzazione come la naftalina. L'antracene grezzo ha solo il 25% di antracene puro; il resto è formato di naftalina, acenaftene, fluorene, fenantrene, carbazolo, ecc. La separazione dell'antracene è fatta arricchendo il prodotto grezzo con successivi lavaggi seguiti da sublimazioni; si ricava così un prodotto al 95% di antracene.
Il liquido rimasto nei cristallizzatori può essere adoperato come olio combustibile ed olio da impregnazione del legno.
La pece non viene sottoposta ad alcuna raffinazione; essa è adoperata come legante nella fabbricazione degli agglomerati, per le pavimentazioni stradali; sciolta nell'olio d'antracene, come impermeabilizzante delle coperture dei fabbricati; sciolta nell'olio leggero forma delle vernici per le costruzioni in ferro. La pece può essere sottoposta a cracking, il coke di pece serve alla preparazione degli elettrodi, mentre gli olî possono essere adoperati come combustibili.
I derivati del catrame trovano una larghissima applicazione nell'industria dei coloranti. Da essi si possono infatti ottenere: l'indaco, l'indulina, la safranina, la crisoidina, l'alizarina, la fucsina, il violantrene, il flavantrene, la rosanilina e altre materie coloranti.
Anche nell'industria degli esplosivi i derivati del catrame hanno una parte importante. Il primo, in ordine di tempo, degli esplosivi ottenuti dal catrame è l'acido picrico o trinitrofenolo, che nei varî paesi è conosciuto con nomi diversi, p. es.: pertite, dunnite, ecc.
Abbiamo tutta una serie di esplosivi derivati dal toluolo, fra i quali il più importante è il trinitrotoluolo o tritolo. Esso è l'esplosivo di sicurezza per eccellenza e può essere mescolato con altri esplosivi.
La maggior parte degli antipiretici e antinevralgici che oggi si usano in medicina si ottengono dal catrame e così la antipirina, la fenacetina, l'aspirina, il piramidone, l'antifebbrina. Come antisettici vanno citati l'acido fenico, l'acido salicilico, il salolo; come anestetici, l'anestesina, la novocaina, la stovaina; come specialità l'atozil, il salvarsan (composti arsenicali).
Dagli amidofenoli si ricavano la maggior parte dei rivelatori fotografici e cioè il metolo, il rodinal, l'ortol, l'amidol; parimente da composti del catrame si ottengono l'idrochinone, la glicina, l'iconogeno.
Dal fenolo e dal cresolo si ottengono le resine sintetiche e cioè la bakelite, assai importante per le industrie elettriche, la condensite, il redmanol.
Infine anche l'industria dei profumi trova qui le sue materie prime e infatti si ottengono il salicilato di metile, il muschio di Baur (trinitrobutil toluolo) e tutti i muschi comuni.
Dall'idrogenazione della naftalina si hanno due idruri: il tetraidruro o tetralina e il decaidruro o decalina. Questi composti vengono usati come combustibile nei motori a scoppio, anche mescolati con altri carburanti, specie in Germania; come solventi per la preparazione di vernici; la tetralina si usa anche per lavare la naftalina dal gas illuminante.
Dall'idrogenazione dei fenoli e dei cresoli si hanno invece il cicloesanolo e il metilcicloesanolo che possono sostituire l'alcool amilico nella preparazione delle vernici.
I catrami primarî, cioè quelli ottenuti con la distillazione a bassa temperatura, sono caratterizzati dall'assenza di naftalina, da una grande percentuale di fenoli, paraffine e acqua che, formando una emulsione, è difficile eliminare. Nei catrami di ligniti vi sono molte paraffine (15%) mentre invece in quelli di litantrace abbondano i fenoli (30%).
Sulla utilizzazione di questi catrami vi sono due tendenze: alcuni credono che il sistema migliore sia di sottoporre il catrame a una distillazione frazionata come i catrami di alta temperatura; altri invece che sia più conveniente ricorrere all'idrogenazione.
Per ottenere con la distillazione la massima resa possibile in olî, è necessario spingerla molto di là da quello che non si usi col catrame ordinario. La distillazione avviene generalmente in due tempi. La prima parte è fatta con distillazione continua e si toglie l'80% di olî; la pece rimasta viene ridistillata nel vuoto con processo discontinuo fino a ottenere del coke. Il coke serve alla preparazione degli elettrodi. Gli olî ottenuti sono frazionati nelle seguenti parti: benzina, olio solare, olio da gas, paraffine, creosoto.
La benzina dopo depurazione, può essere adoperata come carburante; l'olio solare per illuminazione come il petrolio; il gasoil per la carburazione del gas di città; le paraffine servono per la fabbricazione delle candele, come isolanti nella industria elettrica, come impermeabilizzanti, ecc.
Un apparecchio che può essere adoperato per questa distillazione è quello di Ab Der Alden che già abbiamo descritto.
La Babcok ha eseguito a Duston per la Newcastle upon Tyne Electric Supply Co. un impianto per distillazione a bassa temperatura di 40 tonn. di fossile al giorno. Il semicoke viene direttamente bruciato nelle caldaie; il catrame è distillato e si ricava benzina da motore, paraffina, fenolo, creosoto e pece.
Con l'idrogenazione si cerca di ottenere una maggiore resa in benzine e olî. Effettivamente si tratta di processi che sono allo studio e quindi non si possono dare definitive notizie sui risultati ottenuti.
È da osservare infine che nella Svezia, in Norvegia, nel Canada si ottiene catrame anche dalla distillazione del legno, colà molto sviluppata. Questo tipo di catrame contiene sostanze di grande interesse per la medicina come il creosoto e il guaiacolo.
La produzione mondiale di catrame fu valutata nel 1926 in 7,5 milioni di tonnellate circa. I maggiori produttori sono la Gran Bretagna, che nel 1926 ne produsse 2,2 milioni di tonnellate; gli Stati Uniti, che ne produssero 2, 1 milioni di tonnellate; la Germania con 1,2 circa; il Giappone con o,7 circa; la Francia con 0,5 milioni di tonnellate.
In Italia la produzione del catrame di carbon fossile fu di 61.410 tonnellate nel 1925, di 64.000 nel 1926, di 67.758 nel 1927. I tre quarti circa di questa produzione sono dati da officine a gas, il resto da cokerie. La distillazione del fossile viene infatti effettuata in Italia da circa 190 officine da gas distribuite in tutte le regioni, e da 6 stabilimenti con 638 forni circa per la produzione di coke metallurgico, di cui uno situato a Trieste, uno a Napoli, uno a Porto Marghera, uno a Vado Ligure, due in provincia di Livorno. Nel 1927 si produsse anche catrame di lignite per 1230 tonnellate. La distillazione del catrame viene effettuata in Italia da 29 ditte, distribuite in tutto il territorio, ma più specialmente nelle regioni settentrionali e nella zona di Napoli. I prodotti ottenuti da questi stabilimenti di distillazione del catrame, sono costituiti da olî leggieri, medî, pesanti e antracenici, da naftalina greggia e pece. Alcuni di questi prodotti vengono elaborati da altri stabilimenti per ricavarne benzolo, fenolo, naftalina depurata, antracene, ecc.
Nel 1928 si importarono in Italia tonn. 1494 di catrame e se ne esportarono tonn. 1664 circa. Si importarono inoltre tonn. 1420 di olî di catrame, tonn. 2743 di benzolo, toluolo e xilolo greggi e tonn. 2573 degli stessi prodotti puri; tonn. 487 di acido fenico greggio e 210 puro; tonn. 1159 di naftalina grezza e 2106 di raffinata.
Farmacologia. - Il catrame fu introdotto come medicamento nel sec. XVIII: Giorgio Berkeley vescovo di Cloyne lo propose in un suo opuscolo del 1745. Egli raccontava di aver veduto in America mettere la pece liquida nell'acqua, sbattere il miscuglio e poi usare l'acqua così preparata per la cura del vaiolo. Pensò di ripetere l'esperimento, e avendo ottenuto buon successo, propose l'acqua di catrame contro le impurità del sangue, le ulcerazioni intestinali e nella polmonite.
In principio del sec. XIX. l'acqua di catrame fu usata largamente contro la tubercolosi, lo scorbuto e le malattie della pelle, e ancor oggi come antisettico e balsamico si usa nei catarri delle vie respiratorie e genito-urinarie. Esternamente è adoperato come stimolante e parassiticida in molte malattie cutanee. In queste infermità si usa anche il catrame di ginepro noto sotto il nome di olio di cade.
In terapia insieme con l'acqua di catrame, che si somministra a'cucchiai, si usano pure il glicerolato di catrame, le pillole di catrame, lo sciroppo di catrame e codeina e altre svariate preparazioni.
IL cancro da catrame. - Fino dal 1775 Percival Pott aveva descritto in Inghilterra il cancro degli spazzacamini, dovuto all'azione irritante cronica della fuliggine sulla pelle (con frequente localizzazione allo scroto); parecchi autori riferirono cancri cutanei dovuti al catrame, alla pece, alla paraffina. Questi agenti chimici producono prima una dermatite più o meno grave; e dopo molti anni, e soltanto in un numero relativamente limitato di casi, si ha l'esito nella forma neoplastica. Il cancro da catrame è rarissimo in Italia, più frequente in Inghilterra. Taluno ha supposto che l'aumento di forme neoplastiche del polmone, verificatosi, secondo certi autori tedeschi, in questi ultimi tempi, possa essere in rapporto con l'irritazione operata dalla inalazione di particelle di catrame ed asfalto provenienti dalle molto diffuse pavimentazioni con questi materiali. Dopo varî tentativi sfortunati (i primi di Hanau del 1889), è riuscito prima ai due giapponesi Yamagiwa e Itchikawa (1915) di produrre tipici cancri sulla pelle del padiglione auricolare dei conigli, ripetutamente e a lungo spennellandola con catrame; poi a Tsustsui (1918) sulla pelle del dorso.
Altri animali, anche assai prossimi ai ricordati (per esempio il ratto), sono poco ricettivi all'azione cancrogena del catrame. È ignoto il preciso meccanismo per cui il catrame può eccitare le cellule alla trasformazione maligna.
Bibl.: Riassunti completi della questione sono dovuti a E. Bizzozero, Cancro sperim. della pelle, in Relaz. XXI riun. Soc. ital. di dermatol., Padova 1924 e a Truffi, in Neoplasie. Lezioni tenute per iniziativa dell'Istituto Sieroterapico milanese (1926); numerosi lavori recenti sono recensiti nelle riviste Tumori e Zeitschr. f. Krebsforschung.