SFORZA RIARIO, Caterina
Nacque intorno al 1463 dall'unione illegittima di Galeazzo Maria Sforza, futuro duca di Milano, e di Lucrezia Landriani e fu legittimata dal padre. Nel 1473 fu promessa a Girolamo Riario, nipote di Sisto IV, e nel 1477 gli fu data a consorte. Bella, colta, energica, dominò presto il marito, che, già signore di Imola, ottenne nel 1480 dal papa l'investitura di Forlì. E stette più anni ora a Forlì, dove fece compiere la rocca di Ravaldino e innalzare un palazzo principesco, ora a Roma. Alla morte di Sisto IV (1484) occupò Castel S. Angelo per imporsi al conclave o al pontefice futuro. Cedette di fronte alle minacce dei cardinali e alla volontà del marito, e ritornò a Forlì con questo, che da Innocenzo VIII era stato confermato nell'investitura delle due città di Romagna; quando il Riario fu ucciso (14 aprile 1488) e Forlì si diede al pontefice, Caterina riuscì a penetrare nella rocca di Ravaldino e non volle cederla, neppure quando i congiurati minacciarono di ucciderle i figlioli. Liberata dall'esercito dello Sforza e del Bentivoglio, vietò il saccheggio di Forlì, e vi ritornò padrona, come tutrice del figliolo Ottaviano; dei congiurati fu fatta aspra vendetta. La "Madonna di Forlì" e Iacopo Feo, da lei fatto castellano di Ravaldino (1490) e accolto come amante, o forse come sposo segreto, ebbero allora una parte di molto rilievo nella politica italiana: Ludovico il Moro e i Medici se ne contesero l'amicizia, soprattutto quando la discesa di Carlo VIII rendeva necessario allo Sforza e ai Francesi, come agli Aragonesi e ai Fiorentini e al papa, l'avere sicura la Romagna. Dopo lungo, cauto esame delle circostanze, Caterina sembrò piegare agli Aragonesi, costrinse sforzeschi e Francesi a ritirarsi, accolse nelle sue terre l'esercito aragonese. Ma, dopo la presa e il sacco di Mordano e la resa di Bubano (20, 22 ottobre 1494), capitolò con i Francesi (25), compromettendo in modo irreparabile la difesa del regno: e alla Francia e a Firenze francofila si tenne stretta poi.
Quando Iacopo Feo le fu ucciso sotto gli occhi (27 agosto 1495), Caterina si sfrenò a "sanguinolentie inaudite" contro i veri o supposti autori dell'uccisione. Ma fu poi (1496 o 1497) sposa segreta di Giovanni di Pierfrancesco de' Medici, oratore della repubblica fiorentina, dal quale matrimonio nacque (1498) Giovanni dalle Bande Nere e discese la linea granducale di Toscana.
Politicamente, stette con i Fiorentini, a soldo dei quali mandò Ottaviano; poi si raffreddò con loro, che, per consolidare l'amicizia, le mandarono oratore Niccolò Machiavelli (luglio 1499). Quando Alessandro VI, per favorire il suo Cesare, la dichiarò privata degli stati (9 marzo 1499) e il Valentino l'assalì con le armi francesi, Caterina si difese animosamente; ma non poté impedire la resa di Imola (25 novembre 1499) e l'ingresso del Borgia in Forlì (19 dicembre). Mantenne la rocca di Ravaldino, combattendo ella stessa e dirigendo la difesa, finché essa cadde (12 gennaio 1500), forse per tradimento.
Arresasi ai Francesi, ma consegnata al Borgia, fu tratta a Roma; liberata per volontà dei Francesi (30 giugno 1501), dovette rinunziare ai suoi stati; e, sebbene non lasciasse né le speranze, né gli intrighi per ricuperarli, apparve fiaccata nel corpo e spiritualmente mutata, e nelle preghiere e nelle elemosine cercò sollievo al rimorso e all'angoscia dell'abbandono. Ritrattasi in Toscana, morì in Firenze il 28 maggio 1509. "Femina, quasi virago, crudelissima e di grande animo", lasciò di sé grande memoria. Scrisse un ricettario di Experimenti, nel quale sono osservazioni sagaci e preziose notizie di cure mediche e di osservazioni chirurgiche.
Bibl.: P. D. Pasolini, C. S., Roma 1893, voll. 3; ediz. ridotta, Firenze 1913; V. Cian, C. S., Torino 1893; P. D. Pasolini, Nuovi documenti su C. S., in Atti e mem. della R. Dep. di st. pat. per le prov. di Romagna, s. 3ª, XV (1897), p. 72 segg.; L. G. Pelissier, Alcuni documenti sconosciuti su C. S., in Arch. stor. ital., s. 5ª, XXII (1898), p. 322 segg.; L. Marinelli, C. S. alla difesa dei suoi domini nella Romagna, in Atti e mem. citati, s. 4ª, XXII (1932), p. 95 segg.