MEDICI, Caterina
– Nacque a Broni, nell’Oltrepò pavese, intorno al 1573 da Giovanni, maestro di scuola a Pavia.
A tredici anni fu data in sposa a Bernardino Zagalia detto Pinotto, di Piacenza, e si trasferì con lui a Pavia. Il marito la maltrattava, picchiandola e costringendola a prostituirsi. Nel 1592, forse in seguito alla morte del marito, la M. iniziò a lavorare come serva, dapprima a Pavia, presso Apollonia Brusca, poi a Livorno (oggi Livorno Ferraris) nel Monferrato, dove fece la sguattera in un’osteria. A Trino Vercellese, tra il 1594 e il 1598, fu a servizio presso un mercante di panni; poi, per ben dodici anni, lavorò per il capitano Giovanni Pietro Squarciafico, a Occimiano, sempre nel Monferrato. Da Squarciafico la M. ebbe due figlie, Vittoria e Angelica (quest’ultima nata intorno al 1610). Una terza figlia, di cui s’ignora il nome, non fu riconosciuta da Squarciafico. Il legame col capitano non valse a migliorare la situazione personale della M.: nel processo che subì per maleficio e stregoneria, infatti, ella fece risalire l’apostasia al demonio e la prima partecipazione al «barilotto» (cioè al sabba) proprio agli ultimi anni di convivenza con Squarciafico. La loro separazione fu comunque decisa dal vescovo di Casale Monferrato, che, per far cessare quello scandaloso legame concubinario, collocò la M. a servizio presso una gentildonna.
Nell’aprile 1611 la M. tornò a Pavia presso un suo fratello. Esattamente un anno dopo, trasferitasi a Milano, si mise al servizio del conte Filiberto Cavazzi della Somaglia. Dal gennaio 1613, per un periodo di tempo probabilmente piuttosto breve, fu serva di un tale capitano Vacallo. Dalla casa di costui, però, fu licenziata perché ritenuta complice di un maleficio amoroso ai danni del padrone perpetrato da una certa Caterina da Varese.
Nei tre anni seguenti, sempre a Milano, fu a servizio presso diverse persone, finché, il 15 ag. 1616, divenne serva in casa del senatore Luigi Melzi d’Eril. Circa due mesi dopo, questi cominciò ad accusare forti disturbi di stomaco accompagnati da «malinconia», che i medici – i celebri Lodovico Settala e Giovanni Battista Selvatico – non riuscivano a curare. Agli inizi di dicembre capitò a casa Melzi il capitano Vacallo, che riconobbe la M. e disse al senatore che la responsabilità della sua misteriosa e inguaribile malattia era da attribuire certamente alla donna e alle sue arti magiche. Il capitano trovò ascolto – oltre che presso i medici, ben lieti di attribuire i loro insuccessi a cause soprannaturali – presso i figli di Melzi, Lodovico, Margherita e Faustina, entrambe monache nel convento di S. Bernardino. Furono proprio le due religiose a rinvenire gli oggetti del maleficio nascosti nei cuscini del letto del senatore; essi vennero poi bruciati dal curato di S. Giovanni Laterano, esorcista. Subito dopo, la M. fu sottoposta a diversi interrogatori extragiudiziali, da parte sia dei parenti e degli amici di Melzi sia dei medici e degli esorcisti accorsi a curare il senatore; in alcuni di essi intervenne anche il cancelliere del S. Ufficio Giampietro Soresina. La M. confessò di essere autrice del maleficio, che il diavolo in persona le aveva insegnato a confezionare. Il 26 dic. 1616 Lodovico, il figlio del senatore Melzi, querelò formalmente la M. di fronte al capitano di giustizia di Milano, dichiarando che da quattordici anni la donna era «strega professa» (Farinelli - Paccagnini, p. 249). Lodovico avrebbe poi ripetuto e integrato la querela con nuovi elementi a carico della M. il 5 genn. 1617. Dopo l’escussione dei testimoni, dal 30 dic. 1616 al 4 febbr. 1617, l’inquisita fu sottoposta a otto interrogatori, di cui almeno due sotto tortura. Incalzata dalle domande, la M. confessò di essere una strega, di aver partecipato a numerosi sabba e di aver perpetrato malefici ai danni di molte persone, oltre che di Melzi. Il 4 febbraio il Senato di Milano condannò la M. al rogo, decretando però che prima dell’esecuzione fosse consegnata all’Inquisizione per essere interrogata sui reati che ricadevano sotto la competenza di quel tribunale.
Compiuto quest’ultimo atto, il 4 marzo 1617 la M. venne trasportata per Milano su un carro, mentre il carnefice la torturava con tenaglie roventi, infine impiccata su un palco eretto per l’occasione e quindi bruciata.
La tragica storia della M. è documentata da un ampio riassunto manoscritto del processo, conservato nell’archivio della famiglia Melzi d’Eril e recentemente pubblicato. A occuparsi della vicenda in base a quella fonte fu per primo Pietro Verri, che tuttavia lasciò al riguardo soltanto appunti manoscritti. Fu invece Pietro Custodi, curatore dell’edizione del 1825 della Storia di Milano di Verri, a inserire nel testo la narrazione del caso della M. tratta dai manoscritti dell’illuminista lombardo. Verri tuttavia – tra altri errori e imprecisioni – aveva equivocato sull’omonimia tra la M. e l’innamorata del capitano Vacallo, attribuendo a quest’ultimo un forte trasporto amoroso nei confronti della M., che non corrisponde alla realtà. Gli errori di Verri furono ripetuti da tutti coloro che in seguito si occuparono a vario titolo di quella vicenda: da Alessandro Manzoni che, citando espressamente Verri, accennò brevemente al processo nel capitolo XXXI dei Promessi sposi (senza peraltro nominare la M.) ad Achille Mauri, che ne fece oggetto di una Novella storica, fino ad altri storici e letterati novecenteschi. A ripristinare una narrazione criticamente fondata, risalendo alle fonti, fu per primo Leonardo Sciascia, con una monografia del 1986, che precede di tre anni l’edizione moderna del processo.
Fonti e Bibl.: G. Farinelli - E. Paccagnini, Processo per stregoneria a C. de M., 1616-1617, Milano 1989; P. Verri, Storia di Milano, IV, Milano 1825, pp. 151-157; A. Mauri, C. M. di Brono. Novella storica…, Livorno 1831; F. Cusani, Storia di Milano dall’origine ai nostri giorni e cenni storico-statistici sulle città e province lombarde, I, Milano 1861, p. 291; C. Cantù, Storie minori, II, Torino 1864, pp. 143, 281; P. Bellezza, Federigo Borromeo: nella vita, nell’opera, negli scritti, con notizie ricavate da documenti inediti, Milano 1931, pp. 137 s.; F. Nicolini, Aspetti della vita italo-spagnuola nel Cinque e Seicento, Napoli 1934, pp. 131-135; M. Bendiscioli, Vita sociale e culturale, in Storia di Milano, X, L’età della Riforma cattolica (1559-1630), Milano 1957, pp. 294 ss.; A. Manzoni, Opere, a cura di L. Caretti, Milano 1964, p. 666; L. Sciascia, La strega e il capitano, Milano 1986.
G. Dall’Olio