DE' NOBILI, Caterina
Nacque a Montepulciano (Siena) intorno al 1535, da Vincenzo conte di Civitello e da Maddalena dei conti di Montauto.
Da parte paterna la D. poteva vantare una illustre ascendenza, poiché la nonna, Ludovica (Ciocchi) Del Monte, era sorella del papa Giulio III. Il padre, ufficiale al servizio di Cosimo I de' Medici durante la guerra con la Repubblica di Siena e nominato da questo generale della fanteria italiana, morì nel 1560; dei fratelli della D. Roberto fu nominato cardinale dal prozio Giulio III, ma morì, a diciotto anni di età, nel 1560.
La D. nel 1553 sposò il conte Sforza Sforza di Santa Fiora, già precedentemente sposato a Luigia Pallavicino, e di quindici anni circa più anziano di lei. Condottiero tra i più famosi dell'epoca a quel tempo egli era capitano generale della cavalleria italiana e spagnola, mandato da Carlo V a Firenze in soccorso di Cosimo I, impegnato nella guerra con Siena. Quando questa fu sottomessa ai Medici, lo Sforza vi fu nominato governatore. Fu poi mandato da Pio V in soccorso di Carlo IX contro gli ugonotti e li batté a Moncontour. Partecipò alla battaglia di Lepanto, che lo vide generale della fanteria spagnola e consigliere di don Giovanni d'Austria a bordo della nave ammiraglia.
La D. dopo il matrimonio risiedette a Roma per due anni, ma quando morì Giulio III, nel 1555, cominciò a seguire il marito prima in Toscana, poi a Parma, dove la famiglia Sforza possedeva un palazzo e vari feudi, eretti a marchesato nel 1567, donde il titolo di marchese di Castell'Arquato e dove nel 1568 ella tenne a battesimo la futura duchessa di Mantova, Margherita Farnese. A Parma si fermò a lungo e là allevò i due figli che le erano rimasti (Bosio e Vincenzo erano morti in tenera età), Costanza, nata nel 1559, e Francesco, che le sopravvissero. Per quest'ultimo, nato il 6 nov. 1562 a Parma e da cui pare avesse avuto due nipoti, la D. nutrì sempre un particolare e profondo affetto, probabilmente perché egli sarebbe stato l'unico a continuare la stirpe; la D. cercò durante tutta la sua vita di salvaguardare e l'anima e i beni di Francesco, il quale nel dicembre 1583 venne elevato alla porpora cardinalizia da Gregorio XIII.
Mortole il marito il 21 ott. 1575, la D. lasciò la Lombardia e si trasferì a Roma, dove risiedette fino alla morte. Il trasferimento fu motivato dal matrimonio che il cardinale Alessandro Sforza, fratello di Sforza, aveva combinato fra Costanza, figlia della D., e Giacomo Boncompagni, figlio di Gregorio XIII, il futuro duca di Sora. La madre e la figlia, allora diciassettenne, arrivarono a Roma l'ultimo giorno di febbraio del 1576 e le nozze furono celebrate con grande pompa il 1º marzo successivo. Se notevole fu lo sfarzo del corteo nuziale e del banchetto che si tenne nel palazzo del cardinale Sforza, e notevole per quei tempi la dote della sposa che ammontava a 50.000 scudi, altrettanto notevole fu lo scandalo provocato a Roma da queste nozze, suntuosa ufficializzazione della figliolanza del papa. Pare che subito dopo il matrimonio della figlia la D. andasse ad abitare in via Giulia e solo qualche tempo dopo si trasferisse sull'Esquilino, dove la famiglia Sforza possedeva un palazzo, vicino alla chiesa di S. Lucia in Selci.
Nel maggio del 1584, il figlio Francesco si ammalò gravemente nella villa Rufina a Frascati, allora proprietà degli Sforza, e la D. fece avvisare Filippo Neri, da cui ella si era fatta confessare alcune volte e che conosceva personalmente. Egli predisse che il cardinale sarebbe guarito nel giro di due giorni, e così pare avvenisse, tanto che il 17 ott. 1595 la D. fu chiamata a testimoniare su questo episodio al primo processo di canonizzazione di Filippo. Fu comunque dopo la nomina cardinalizia del figlio che la D. cominciò a condurre una vita ritirata e contrassegnata dalla devozione.
Il poeta Muzio Sforza, così la descrive: "Donna, che sù l'Esquilie al Ciel vicina / ti stai col cor lontan dal mondo errante / Romita: e sola al tuo superno amante / Ragioni in lingua eccelsa e pellegrina...". Il suo romitaggio non le impedì tuttavia di partecipare in prima persona al fermento religioso di quel periodo postconciliare e allo sviluppo edilizio di Roma a cui Sisto V proprio in quegli anni aveva dato un'efficace impronta.
Uno dei primi atti della D. fu l'erezione nel 1593 di una cappella dedicata alla Madonna del Carmelo nella chiesa di S. Martino ai Monti, alla quale il 2 marzo dell'anno successivo fece una donazione di 300 scudi. Verso la fine degli anni Ottanta entrò in contatto con Jean de la Barrière, fondatore dei monaci riformati cistercensi (in Francia chiamati i "euillants", i foglianti), il quale nel 1592 venne condannato dal tribunale ecclesiastico in quanto sospetto di eresia e sospeso a divinis., privato quindi dell'amministrazione sia spirituale sia temporale della sua abbazia. Fu inoltre fatto prigioniero a Roma con l'ordine di presentarsi ogni mese di fronte al tribunale del S. Offizio. La D. chiese insistentemente la revisione del processo e, grazie all'intervento di Roberto Bellarmino con cui ella si trovava probabilmente in rapporti di amicizia, Clemente VIII riabilitò J. de la Barrière poco tempo prima della morte di questo, avvenuta il 25 apr. 1600; in seguito lo proclamò beato.
Nel frattempo la D. aveva acquistato dai frati certosini, il 4 maggio 1593, per 10.000 scudi i terreni facenti parte una volta delle terme di Diocleziano, allora chiamati orti Belleiani (dal cardinal Bellaj, precedente proprietario). L'anno successivo ella li donò ai foglianti con l'impegno di farvi edificare una chiesa e un monastero che sarebbe divenuto la residenza dei Barrière e dei suoi monaci, dopo il processo privati della loro sede a S. Pudenziana. Nell'attesa che i lavori terminassero fece edificare una cappella dedicata alle ss. Caterina di Siena e Caterina di Alessandria e una piccola abitazione adiacente, dove J. de la Barrière abitò dal 1596 fino al 1598, anno in cui fu terminata la costruzione del monastero.
Nell'atto di donazione la D., con la determinazione che la caratterizzava, fece includere alcune clausole circa il suo diritto di Proprietà sugli oggetti venuti alla luce durante gli scavi e su quelli che già si trovavano su quei terreni; inoltre, impegnava i monaci a celebrare due messe giornaliere e due messe cantate annuali in suffragio della sua anima e di quella del figlio Francesco. Tali condizioni furono fatte affiggere su una lapide posta sulla porta della sagrestia della chiesa grande, chiamata S. Bernardo alle Terme, terminata nel 1600. Morto il Barrière in quello stesso anno, la D. lo fece seppellire a sue spese in S.Bernardo, nel cui interno fece apporre alcune lapidi commemorative dei suoi familiari, fra le quali quella dedicata al prozio Giulio III, al fratello Roberto, all'ava Ludovica, al padre, alla madre e al marito, cosicché la chiesa, grazie anche alla sua forma circolare, prese l'aspetto di un piccolo pantheon. Commissionò inoltre ad alcuni artisti dell'epoca, fra cui il pittore T. Laureti, quadri e sculture che fossero ornamento della chiesa stessa.
Negli ultimi anni di vita la D. si prodigò molto per sovvenire alle necessità economiche dei monaci riformati e convinse la duchessa Eleonora Orsini, moglie di Alessandro Sforza, suo parente, e la propria figlia Costanza a fare ingenti donazioni alla chiesa di S. Bernardo alle Terme. Ammalatasi sul finire del 1605, nonostante fosse in gravi condizioni, dettò il suo testamento, datato 5 dic. 1605, alla presenza del cardinal Roberto Bellarmino: la D. nominò il figlio Francesco suo erede universale, destinando alla figlia Costanza 4.000scudi. Altri lasciti riguardarono i suoi nipoti, alcuni altri parenti e i frati di S. Bernardo alle Terme; a Francesco fu lasciato l'incarico di donar loro una provvigione mensile di 20scudi.
La D. si spense a Roma il 12dic. 1605 a circa settant'anni di età, appena una settimana dopo aver dettato le sue ultime volontà; la notte stessa il suo corpo fu trasportato a S. Bernardo alle Terme dove fu sepolto.
Nonostante il suo impegno negli affari religiosi fosse stato molto intenso, la D. non tralasciò di coltivare i suoi interessi artistici, secondo lo stile delle nobildonne della sua epoca, raccogliendo intorno a sé molte opere d'arte. In particolare facevano parte della sua collezione lo Sposalizio mistico di s. Caterina del Correggio, donatole dal cardinal d'Este il 15 maggio del 1582, due Madonne del Parmigianino, una Decollazione del Battista, probabilmente di Andrea del Sarto o di Leonardo da Vinci e La Fornarina di Raffaello. A proposito di questi due quadri la D. dimostrò il suo carattere risoluto, rifiutando con fermezza di venderli al duca di Mantova che aveva mandato presso di lei nel febbraio del 1597 un suo messo, Ludovico Cremaschi; questi, non avendola potuta convincere, così scriveva al suo signore: "Mi fece rispondere ... che Ella era ormai in età decrepita et ritirata dal mondo et che aveva riservata a se quella et alcune altre pitture per sola consolatione et sollevamento dalla faticosa vita che le restava" (L. Corsini Sforza, La collezione artistica di C. Nobili Sforza, in L'Arte, V [1898], p.273). Probabilmente l'opera di Raffaello fu venduta o donata da suo figlio Francesco alla famiglia Barberini, poiché già dal 1624 il quadro apparteneva a costoro.
Fonti e Bibl.: Arch. di.Stato di Roma, Notai dell'auditor Camerae, 23, Testamenti, ff.28 s.; Roma, Arch. stor. del Vicariato, S. Martino ai Monti. Liber defunctorum, II, 1602-1659;Bibl. ap. Vat., P. L. Galletti, Vat. lat. 7875, f. 68;Roma, Arch. S. Martino ai Monti, Registrum Bonorum Ss. Silvestri et Martini de Urbe ... (Il Campione), Roma 1681, ff. 66, 449, 698 s.; Ibid., Arch. S. Croce in Gerusalemme, B. Tessari, Storia della chiesa di S. Caterina alle Terme Diocleziane, I, ff. 112 ss., 121 ss., 271ss.;M. Sforza, Rime..., Roma 1594, sonetto 52, p. 55, canz. 7, p. 31; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma, IX, Roma 1877, pp. 1173-178; Il primo processo per s. Filippo Neri, nel cod. Vat. lat. 3798 ..., a cura di G. Incisa della Rocchetta-N. Vian, Città del Vaticano 1957-63, ad Indicem; Le chiese di Roma illustrate, n. 8, S. Ortolani, S. Bernardo alle Terme, Roma 1927, ad Ind.;M. Armellini, Le chiese di Roma, II, Roma 1942, p.1105.