catastrofi indotte da eventi naturali
catàstrofi indótte da evènti naturali. – Nel primo decennio del Duemila i disastri provocati da catastrofi naturali (terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni, cicloni tropicali, siccità ecc.) sono aumentati di numero e il loro impatto sullo sviluppo umano ed economico del pianeta si è aggravato. Considerando i dieci eventi più calamitosi in termini di vittime avvenuti dal 1970, sei si sono verificati in questo decennio, a cui si devono ascrivere anche sette tra i primi dieci eventi più distruttivi per per danni arrecati (v. tabella). La catastrofe più costosa in valore economico si è verificata nel 2011 in Giappone e ha causato perdite per 210 miliardi di dollari (v. Fukushima, catastrofe di). Nel 2010 di sono verificate 385 catastrofi naturali che hanno provocato 297.000 decessi, coinvolgendo 217 milioni di persone con danni stimati in 124 miliardi di dollari. Il numero dei morti esprime solo parzialmente le perdite umane subite da una collettività, che andrebbero misurate anche in termini di ritardato sviluppo e di sofferenze diffuse. Analogamente, la quantificazione del danno economico si riferisce solo alle perdite dirette derivanti dalla distruzione di infrastrutture e di beni pubblici e privati: raramente, infatti, le stime tengono conto anche di quelle connesse alla riduzione dei livelli di produzione a seguito dei danni riportati dagli apparati agricoli, industriali o terziari e dalle vie di comunicazione.
Rischio e vulnerabilità. – Le cause del progressivo aumento delle perdite di vite e di beni materiali a scala mondiale per effetto delle catastrofi naturali sono da ricercare non tanto nelle aumentate frequenza e intensità degli eventi, in particolare con riferimento ai terremoti (v. tabella) e agli eventi classificati non climatologici, quanto nell’aumento generale della vulnerabilità umana, che è una funzione dell’azione e del comportamento delle popolazioni del pianeta. La vulnerabilita è determinata da un complesso di fattori: la densità e il livello di sviluppo della popolazione, il grado di integrità degli ecosistemi, le condizioni degli insediamenti e delle infrastrutture, la maggiore o minore efficienza dell’amministrazione e delle politiche pubbliche, la consapevolezza del rischio, la disponibilità di mezzi e il livello di capacità e di organizzazione nel fronteggiare gli eventi naturali estremi. La vulnerabilità esprime dunque la suscettibilità (oppure la resilienza) di un sistema socio-economico o di un complesso di beni materiali nei confronti dell’impatto delle calamità. Specialmente nei paesi meno sviluppati è evidente la correlazione tra crescente pressione demografica e aggravarsi della degradazione ambientale, con conseguente aumento della vulnerabilità umana e della gravità dell’impatto dei disastri. Le statistiche sugli eventi calamitosi dal 1980 al 2009 dimostrano che mentre la maggior parte di essi avviene in paesi a elevato reddito pro capite, il numero decisamente preponderante di decessi si deve registrare nei paesi a basso reddito (in gran parte a causa di bufere, inondazioni e tempeste). Uno dei principali fattori che contribuisce ad accrescere tale vulnerabilità in molte parti del mondo è la rapida e spesso incontrollata crescita delle città, alimentata dall’afflusso di immigrati poveri da aree rurali. Nel periodo 1975-2005 la popolazione urbana dei paesi in via di sviluppo è triplicata, fino a comprendere 1,3 miliardidi individui, concentrandosi in aree (quali pianure alluvionali, pendii instabili o terreni disboscati) di cui è spesso nota la predisposizione alle inondazioni o ai terremoti. ll terremoto di Haiti, nel 2010, ha causato oltre 220.000 morti colpendo l'area più densamente popolata di un Paese tra i più poveri. Molte grandi città sono diventate più vulnerabili alle piene improvvise dei fiumi, in quanto le modificazioni degli equilibri dei bacini idrografici di appartenenza, la mancanza di appropriati sistemi di drenaggio e l’impermeabilizzazione dei suoli hanno avuto l’effetto di accrescere il volume e la velocità di deflusso superficiale delle precipitazioni.
Calamità naturali e cambiamenti climatici. L’intensità degli eventi idrometeorologici estremi (punte estreme di caldo e di freddo, inondazioni, tempeste, uragani e cicloni tropicali) tende ad aumentare e si può supporre che gli effetti dei cambiamenti del clima conseguenti ad attività antropiche abbiano già cominciato ad aggravarsi (v. cambiamenti climatici). Nella lista delle peggiori catastrofi in termini di vittime avvenute a partire dal 1970, figurano le due ondate di calore verificatesi nel 2003 e nel 2010, rispettivamente in Europa occidentale (circa 70.000 morti) e Russia (circa 55.000 morti). Secondo le previsioni effettuate dall'IPCC, con la confidenza statistica propria delle elaborazioni sul sistema climatico, in base a modelli che prendono in considerazione diversi scenari di emissioni in atmosfera di gas responsabili dell'effetto serra, nel 21° secolo si assisterà a un progressivo aumento per frequenza, lunghezza e intensità delle ondate di calore in molte aree continentali. Sono inoltre probabili l'aumento in frequenza delle precipitazioni pesanti in molte aree del globo (con gravi conseguenze sui fenomeni associati all'instabilità dei versanti) e l'aumento della velocità media massima dei cicloni tropicali. Sono considerate attendibili le previsioni di incremento in alcune aree di episodi siccitosi.
Strategie e politiche di prevenzione e di riduzione dei rischi. Con l’aumento del numero e della gravità delle catastrofi naturali, la pianificazione di misure preventive e, dove necessario, volte a limitare i danni è diventata una necessità. È superata la strategia di concentrarsi sulla reazione ai disastri: un approccio destinato a comportare un aumento continuo dei costi, sia per i prevedibili effetti dei mutamenti climatici, sia per la crescita continua della popolazione e delle costruzioni in aree vulnerabili. Un’efficace misura di riduzione del rischio consiste nella predisposizione di specifiche ‘carte del rischio’ per regolamentare le attività di costruzione in aree vulnerabili, quali pianure alluvionali, aree franose o sismiche, prima che le calamità naturali si verifichino. In tali aree i piani di sviluppo edilizio dovrebbero adeguarsi a disposizioni di legge stringenti, calibrate in funzione del grado di pericolosità; precise indicazioni in merito potrebbero essere ottenute mediante l’installazione in queste aree di sistemi di monitoraggio e di allerta. Le complesse problematiche connesse con la riduzione del rischio, nonché dei costi sociali ed economici dei disastri, sono state oggetto di numerose iniziative internazionali, molte delle quali promosse e coordinate dalle Nazioni Unite. Nel quadro della Conferenza mondiale sulla prevenzione dei disastri naturali, tenutasi in seconda sessione a Kobe, in Giappone, nel 2005, e finalizzata a delineare le strategie per il 21° secolo, è stato adottato il documento operativo Framework for action 2005-15 per promuovere la resilienza delle nazioni e delle comunità ai disastri naturali.